CADEL, FINALMENTE TU!

Le pagelle del Tour de France vinto dal ciclista australiano Cadel Evans.

Due settimane di stallo, con i favoriti della classifica che giocavano a nascondino: poi sulle Alpi il Tour si è infiammato, i pretendenti alla maglia gialla si sono assottigliati sempre più (con Voeckler che pure ha incredibilmente resistito ben oltre il previsto) e alla fine Cadel Evans, uno dei pochi big attivi in montagna e formidabile nella cronometro conclusiva, ha meritatamente vinto la corsa, coronando così quel lungo inseguimento ad una grande gara a tappe iniziato sin da quella storica crisi in maglia rosa a Folgaria nel 2002. Il voto, per questo australiano d’Italia (vive in Canton Ticino, a pochi passi dal Varesotto dove è cresciuto agonisticamente), non può che essere 10.

La valutazione più alta va estesa almeno ad altri tre atleti: in primis a quel Mark Cavendish vero cannibale degli sprint, schizzato a quota venti successi in carriera al Tour, a soli 26 anni; e quindi alla fortunata accoppiata Thomas VoecklerPierre Rolland, eroi di Francia in grado di far sognare milioni di transalpini, con T-Blanc che, dopo la lunga cavalcata in giallo, chiude in una più che dignitosa quarta posizione, e Rolland che, pur da fido scudiero dell’alsaziano, vedrà il suo nome per sempre inscritto sui tornanti dell’Alpe d’Huez, oltre che nell’albo d’oro della maglia bianca di miglior giovane.

I fratelli Schleck non possono essere da 10: è vero, Andy ha regalato l’impresa più bella di queste tre settimane con la coraggiosa fuga sull’Izoard, ma i due lussemburghesi avevano in assoluto la squadra più forte e avrebbero dovuto sfruttarla meglio sin dai Pirenei, per mettere in difficoltà Evans e gli altri; si sapeva che Cadel sarebbe stato più forte nella cronometro conclusiva, ed è stato un errore lasciar trascorrere le prime montagne senza attaccarlo.

8 è il meritato voto per la straordinaria coppia di norvegesi composta da Thor Hushovd ed Edvald Boasson Hagen, che si sono aggiudicati due tappe a testa, e il campione del mondo ha anche indossato la maglia gialla nelle prime frazioni. Corridori straordinari, veloci ma resistenti, rappresentano il presente e il futuro per il ciclismo nel paese dei fiordi.

7,5 per Samuel Sánchez: il podio finale di una grande corsa a tappe sfugge nuovamente al campione olimpico, tuttavia l’asturiano dell’Euskaltel, complici alcuni errori nelle primissime tappe, è stato l’unico a dare spettacolo già sui Pirenei, con la vittoria a Luz Ardiden ad impreziosire il tutto; lo stesso voto va esteso a Jelle Vanendert, anche lui protagonista nella seconda settimana e meritata maglia a pois di miglior scalatore, e a Damiano Cunego, di nuovo protagonista in un grande giro, per quanto gli sia mancata la possibilità di impreziosire il suo Tour con un successo di tappa.

7 a Gilbert, una tappa, una maglia e tanti piazzamenti, 7 anche a chi ha avuto la gioia di un successo parziale, da Farrar a Greipel, da Rui Costa a Martin, a León Sánchez: vincere una frazione della Grande Boucle, soprattutto in una corsa incerta come quella di quest’anno, è sempre una perla prestigiosa per la propria carriera.

6,5 per Alberto Contador, chiamato ad una storica doppietta ma sfortunato in partenza, lodevole per il suo tentativo di far saltare il banco nell’ultima tappa alpina; insufficienze per Levi Leipheimer, Ivan Basso e Alessandro Petacchi. Lo statunitense, vincitore del Giro di Svizzera, non si è praticamente mai visto, simbolo di una RadioShack fortissima, andata tuttavia alla deriva in breve tempo; il varesino aveva puntato tutto sulla corsa francese, senza però riuscire a fare la differenza in salita, e perdendo un’eternità tra discese e cronometro; lo spezzino disputa praticamente solo due volate cogliendo anche un secondo posto, ma la condizione non è delle migliori e contro un Cavendish così c’è poco da fare.

Tra gli altri italiani, quasi tutti chiamati a ruoli di gregariato, si sono visti solamente Adriano Malori, Marco Marcato e Daniel Oss: coraggiosi i primi due, all’attacco in fughe impossibili, molto duttile il trentino, bravo sia ad aiutare Basso in più occasioni, sia a districarsi nelle volate di gruppo, sebbene le sue attitudini siano più da passista. Zero successi di tappa, zero giorni in maglia gialla e nessuna classifica finale portata a casa è comunque un bilancio troppo magro per la pattuglia azzurra.

Infine, una nota di merito per Johhny Hoogerland: travolto da una macchina della tv francese, ha scalato Pirenei ed Alpi con 33 (trentatré!) punti di sutura nelle gambe a causa del filo spinato, attaccando a più riprese e giungendo sino a Parigi, simbolo di un ciclismo stoico che, nonostante la modernità, continua a resistere.

UNA SETTIMANA DA GREGARI

Potremmo parlare dei big che latitano, si controllano, si marcano a uomo, si annullano a vicenda. Potremmo parlare di T-Blanc Voeckler, che ripete i fasti in giallo del 2004, con la differenza che, in Tour anarchico come quello di quest’anno, la sua leadership prosegue ben oltre le più rosee previsioni. Oppure potremmo parlare ancora di Thor Hushovd, che onora al meglio la maglia di campione del mondo con un’impresa eccezionale, per un passista veloce come lui, nella tappa dell’Aubisque. E invece, in attesa che le Alpi e la cronometro finale sanciscano l’esito di questa corsa senza padroni, parliamo di tre corridori tra i tanti, tre gregari, tre uomini di fatica, che in queste giornate pirenaiche hanno sputato l’anima per i propri capitani.

In primis, Sylvester Szmyd: polacco di nascita ma italiano d’adozione, al servizio di Frigo, Pantani e Cunego nelle prime stagioni della carriera, è ora il fidato uomo di Ivan Basso per le salite, l’unico Liquigas in grado di scortare il capitano sulle ascese più impegnative. Gatto Silvestro, la tappa del Mont Ventoux al Delfinato 2009 come unica gioia personale, viene da una stagione difficile, costellata da difficoltà fisiche: ma a Luz Ardiden, primo arrivo tosto di questo Tour, si è messo in testa e ha battuto il ritmo per chilometri e chilometri, alla velocità comandata da Basso, mettendo in fila tutti i rivali del varesino. Un lavoro durissimo, forse ben oltre le attuali possibilità fisiche del polacco, che infatti nel successivo tappone pirenaico ha pagato dazio, ma che ha confermato come un gregario sappia sacrificarsi per il proprio capitano anche quando non è al top della condizione.

Poi Stuart O’Grady, non uno qualunque: espertissimo australiano, quattro medaglie olimpiche su pista, una Parigi-Roubaix e due tappe al Tour in passato, corre per la Leopard-Trek dei fratelli Schleck. Il suo capolavoro, poi mal concretizzato dai lussemburghesi, nella frazione di Plateau de Beille: tra un colle e l’altro, lui che certo scalatore non è, ha di fatto annullato la maxifuga di una ventina di atleti, ricompattando il gruppo prima della salita finale. 38 anni da compiere ad agosto, è un vero esempio di professionalità per ogni corridore, visto che, nonostante i fasti del suo glorioso passato, nelle ultime stagioni non ha avuto problemi a mettere la sua esperienza al servizio dei più giovani e pimpanti capitani.

E infine Pierre Rolland, forse il meno noto dei tre: 25enne di Orléans, grande promessa tra i grimpeur (settore dove i francesi cercano ancora l’erede di Richard Virenque), è sostanzialmente il coautore del miracolo giallo di Voeckler. Quando la strada sale, e le squadre dei migliori dormono in seconda fila, il giovane transalpino si porta in testa a scandire quel ritmo regolare ma non certo infernale che tanto fa bene al suo capitano; quando invece gli uomini Leopard e Liquigas prendono in mano la corsa, si affianca all’alsaziano e lo porta letteralmente in cima all’asperità, facendogli da apripista, recuperandogli le borracce e incitandolo continuamente. Finora è andato tutto bene: T-Blanc veste sempre la maglia di leader, e al termine dei due tapponi pirenaici, conclusi rigorosamente al fianco del fidato gregario, si è sempre sciolto in abbracci commoventi con Rolland. Forse è questa la scena più bella di un Tour che finora ha regalato tante cadute e poche emozioni: un abbraccio sincero e onesto che suggella l’impresa in divenire di Voeckler.

UNA SETTIMANA NORVEGESE

Thor HushovdChi si aspettava che dalla prima settimana di Tour de France uscisse già un dominatore della corsa è rimasto deluso. Nonostante una cronosquadre ed un terzetto di tappe perlomeno miste (certo, nulla di paragonabile alle grandi montagne che vedremo da qui a poco), i primi venti in classifica generale sono rinchiusi nello spazio di 1’42’’. L’alfa e l’omega di questo gruppetto sono piuttosto sorprendenti: da un lato, il campione del mondo Thor Hushovd, sempre meno velocista e sempre più passista duro e resistente, tanto da aver resistito ottimamente anche su un arrivo impegnativo come quello di Super-Besse Sancy; dall’altro lato, Alberto Contador. Un Contador indubbiamente sfortunato, che ha passato molto, troppo tempo a rialzarsi da cadute ed incidenti vari; ma anche un Contador nervoso, con l’aggravante di aver corso le prime, rischiosissime frazioni nella pancia del gruppo, non potendo così evitare di essere coinvolto nei numerosi capitomboli del plotone. In più, la sua Saxo Bank non ha certo brillato nella cronosquadre, e tutti questi fattori spiegano un ritardo che comunque lascia stupiti. In mezzo ai due, i vari Evans, Klöden, fratelli Schleck, Vinokourov, Basso, Cunego e Gesink con i due italiani che sembrano in crescendo di condizione dopo una cronosquadre che, soprattutto per il varesino, non è stata molto positiva. L’australiano sembra invece l’atleta più in forma tra i favoriti per la vittoria finale, come ha dimostrato sullo strappetto del Mur de Bretagne,  anche se naturalmente le verifiche più ardue devono ancora arrivare. All’appello mancano il campione olimpico Sánchez, che con una pessima gestione di corsa si ritrova a 2’36’’, lo statunitense Leipheimer, presumibilmente tagliato fuori dai giochi a causa dei suoi 4’43’’ di ritardo, e il britannico Wiggins, costretto al ritiro a causa di una delle tante cadute che hanno segnato questa prima fase di corsa.

Ma nel titolo si parla di “settimana norvegese” perché oltre a Hushovd che resiste in giallo anche l’unico altro corridore del paese dei fiordi ha vissuto il suo giorno di gloria: Edvald Boasson Hagen, talento cristallino come pochi altri, si è infatti imposto a Lisieux, confermando le sue grandissime doti. Per il resto, le tre volate di gruppo hanno visto due successi di Cavendish e uno di Farrar, con Petacchi lontanissimo dai primi e coinvolto in un poco piacevole match d’insulti con lo spagnolo Rojas. A Super-Besse il portoghese Faria da Costa ha sorpreso tutti, mentre la prima tappa (e la prima maglia) erano andate a Philippe Gilbert, che ha fatto suo il traguardo di Monts des Alouettes disegnato apposta per lui, sfiorando il successo in altre due circostante.

E gli italiani? Detto di Basso, Cunego e Petacchi, c’è poco da segnalare. Una corsa onesta degli altri corridori azzurri, chiamati perlopiù a ruoli di gregariato: spiccano solo l’azione con cui Paolino Tiralongo, cercando di favorire Vinokourov, ha dato il via alle danze nella tappa di sabato, e la lunghissima fuga del campione nazionale a cronometro Adriano Malori, 220 chilometri davanti (gli ultimi in solitaria) verso Lisieux e il premio di combattività di giornata. La locomotiva di Parma, com’è stato prontamente soprannominato, sembra sempre più intenzionata a sbuffare verso un futuro di successi.

CONTADOR CONTRO TUTTI, ATTO IV°

Sabato scatta la 98a edizione del Tour de France: lo spagnolo è, ancora una volta, il principale favorito.

La novantottesima edizione del Tour de France scatta sabato dalla Vandea con un favorito d’obbligo: Alberto Contador. Questo moderno cannibale, più volte al centro di inchieste e veleni, ha letteralmente dominato il Giro d’Italia, vinto con oltre sei minuti di margine su Vincenzo Nibali, e punta ora a conquistare la quarta Grande Boucle della carriera, che gli consentirebbe oltretutto di realizzare quella magica doppietta Giro-Tour assente dai trionfi di Pantani nel 1998. Per quanto apparentemente la sua Saxo Bank non sembri la squadra più forte ai nastri di partenza, soprattutto se paragonata alla Leopard o alla RadioShack, la superiorità atletica e tattica dimostrata dal madrileno nell’ultima corsa rosa è tale da consegnargli ancora una volta i ranghi di favorito assoluto, lasciando agli altri, perlomeno in apparenza, l’onere di inseguire.

Già, gli altri. Su un percorso quanto mai povero di cronometro (cronosquadre di 23 km il secondo giorno e individuale di 41 il penultimo), la corsa si farà sulle montagne: Luz Ardiden, l’Aubisque, Plateau de Beille, il Galibier, da affrontare per ben due volte, Sestriere e l’Alpe d’Huez saranno i giudici inappellabili per le speranze dei vari Andy Schleck, Ivan Basso, Robert Gesink, Samuel Sánchez e Cadel Evans. Il lussemburghese, con al fianco il fidato fratello Fränk, il sempre più brillante Jakob Fuglsang e la locomotiva di Berna Fabian Cancellara , è probabilmente il rivale più accreditato di Contador, ma dovrà veramente cercare di fare una sua corsa, senza accontentarsi di agire di rimessa rispetto alle azioni del madrileno. Ivan Basso si è preparato appositamente per questo appuntamento, pur con una caduta in uno stage in Sicilia che gli ha rallentato la preparazione: tuttavia, il varesino sembra tranquillo e motivato come non mai e ha al suo fianco un team che farà buona figura sia nella cronosquadre, sia sulle montagne. Gesink, Sánchez ed Evans sono probabilmente un gradino sotto nella griglia dei pronostici rispetto agli atleti citati finora: l’olandese, brillante scalatore, è migliorato molto anche a cronometro e avrà al suo fianco quel Bauke Mollema sorprendentemente quinto all’ultimo Giro di Svizzera. Sánchez, alla ricerca disperata del primo podio al Tour, guida una Euskaltel-Euskadi la cui età media è in drammatica crescita, ma che non mancherà certo di attaccare ad ogni occasione, nella migliore tradizione basca; Cadel Evans, maglia gialla per un giorno e gomito fratturato nella scorsa edizione del Tour, ha guadagnato negli anni un certo credito con la sorte, perlomeno per quanto riguarda le corse a tappe, e chissà mai che questa non sia l’occasione buona per fare l’impresa inseguita da una vita.

Possibili outsider per la classifica generale sono l’eterno Levi Leipheimer, carattere poco apprezzato ma regolarissimo tanto in montagna quanto a cronometro, nonché vincitore dell’ultimo Tour de Suisse e col vantaggio di avere al suo fianco una squadra davvero forte (Brajkovic, Klöden, Popovich giusto per citarne tre); Damiano Cunego è l’eterno punto interrogativo, perennemente bello ma sfortunato, sempre combattuto tra le corse di un giorno e quelle a tappe, ma l’ottima condizione intravista in Svizzera lascia ben sperare anche per questa Grande Boucle; e poi Van den Broeck, Vinokourov, Wiggins, Roche, Velits, chi all’ultima chiamata di una gloriosa carriera, chi chiamato alla conferma di un risultato insperato e chi a caccia, per la prima volta, del risultato che vale una vita.

Ma il Tour non è solo montagne e classifiche: come dimenticare infatti lo spettacolo delle volate? Mark Cavendish è l’equivalente di Contador per gli sprint, un cannibale, un dominatore, un padrone assoluto. Anche in questo settore la concorrenza è ampia: dall’immortale Alessandro Petacchi a Tyler Farrar, dal campione del mondo Thor Hushovd a Tom Boonen, dall’emergente Romain Feillu al tedescone André Greipel, per il ragazzo dell’Isola di Man non sarà facile piegare questa serie agguerrita di rivali.

E infine gli uomini da un giorno, siano essi cronoman formidabili come il già citato Fabian Cancellara e il britannico David Millar, o affermati talenti delle corse in linea come Philippe Gilbert ed Alexandr Kolobnev, o giovani attaccanti come il trentino Daniel Oss e lo stellare Edvald Boasson Hagen: nessuna ambizione di classifica per loro e nessuna possibilità di sfidare Cavendish in volata, per cui questi atleti dovranno inventarsi qualcosa in quella lunga serie di tappe intermedie che non saranno appannaggio né degli scalatori, né dei velocisti.

Dunque, l’imminente Tour de France si prospetta davvero ricco di spunti di interesse: sin dalle primissime tappe, capiremo se sarà un duopolio Contador-Cavendish o se invece si combatterà fino all’ultimo giorno per tutti i traguardi.

LUCIA RECCHIA: IN LOTTA CONTRO LA SFORTUNA

Un talento cristallino, come pochi altri del panorama sciistico mondiale, troppo spesso fermato dalla malasorte: potrebbe essere questa una sintesi della parabola di Lucia Recchia. Nata a Rovereto l’8 gennaio del 1980, ma da sempre residente a Brunico, questa finanziera amante delle discipline veloci si era messa in luce già da giovanissima, con l’argento ai mondiali juniores in discesa libera nel 2000, in Canada. Con l’esordio in Coppa del Mondo avvenuto poche settimane prima, Lucia si conferma ad ottimi livelli, cogliendo una serie di piazzamenti di rilievo anche nel massimo circuito: spiccano il secondo posto in discesa ad Altenmarkt nel dicembre 2004 e il terzo posto nel supergigante di Aare due mesi più tardi: in mezzo, uno scintillante argento mondiale in SG, sulla pista di Santa Caterina Valfurva, che resta il suo miglior risultato di sempre. Tra gioie del genere ed innumerevoli infortuni, Lucia ha sempre tenuto duro ed ora, nonostante i 31 anni, è più motivata che mai a ripartire per una nuova stagione ricca di soddisfazioni, come ci dimostra in questa intervista nella quale ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

 

Lucia, com’è avvenuto il tuo primo incontro con gli sci? E le prime gare?

“Ho iniziato a sciare all’età di tre anni sulle piste vicino a casa, con i miei genitori. Dopo aver frequentato una serie di corsi di perfezionamento, ho gareggiato per la prima volta a 10 anni, e da lì non ho praticamente più smesso!”

 

Hai un nome ed un cognome assolutamente “italiani”, eppure vivi da sempre nel cuore dell’Alto Adige, regione dove le spinte indipendentiste sono molto forti. Hai mai avuto problemi per questo?

“Mi sento assolutamente cittadina del mondo. Non ho mai avuto problemi, non mi sono mai sentita non accettata, perché ho sempre vissuto per lo sport e non per la politica: infatti, gli unici momenti spinosi li ho vissuti quando un giornalista si è inventato, su un quotidiano locale, delle cose mai dette, cercando di mettermi in contrapposizione al presidente della Provincia di Bolzano Luis Durnwalder, ma si tratta veramente di una storia assurda e senza fondamento.”

 

In tutti questi anni di carriera, qual è stata la tua soddisfazione più grande?

“Indubbiamente l’argento mondiale a Bormio-Santa Caterina, però ricordo con orgoglio anche le gare alle Olimpiadi di Vancouver, dove ho concluso al settimo e al nono posto sebbene corressi con un crociato rotto (operato nella primavera 2010) e avessi appena risolto gli innumerevoli problemi alla schiena. Un’esperienza davvero incredibile, la considero come una vittoria sia per me stessa che per le persone che mi sono state vicino durante i vari infortuni”.

 

Come hai accennato nell’ultima risposta, nel corso delle stagioni hai avuto numerosi infortuni. Dove hai trovato, ogni volta, la forza per ripartire? Adesso è tutto a posto?

“Ogni infortunio è una sfida da accettare e da vincere, questa è stata e resta la mia mentalità. Il gioco vale la candela: la risalita dopo il baratro è indubbiamente difficile ma genera una soddisfazione davvero enorme. Gli infortuni mi hanno insegnato ad essere paziente, ad ascoltare il mio corpo, a non forzare più del dovuto e, quindi, a godermi al massimo i momenti di salute, quando posso divertirmi praticando il mio lavoro, che per me resta innanzitutto un grande divertimento. A febbraio ho avuto una commozione cerebrale, ma adesso è tutto risolto: proseguo con il lavoro specifico per il ginocchio operato, notando giorno dopo giorno dei miglioramenti sensibili”.

 

C’è una pista del destino, sulla quale ti trovi benissimo e vorresti gareggiare sempre?

“La pista dei sogni è l’Olimpia delle Tofane di Cortina d’Ampezzo. Mi è sempre piaciuta in modo particolare, e vincere lì sarebbe una gioia incredibile: non credo sia troppo tardi, e dalla prossima stagione ce la metterò tutta per realizzare questo obiettivo”.

 

Com’è l’estate di una sciatrice, lontana dalle gare invernali?

“L’estate è il momento del rifornimento, quello in cui metti la benzina per la stagione successiva: tanta bicicletta (a maggio ho fatto il giro della Corsica, un’esperienza fantastica), che preferisco alla corsa anche per il benessere del ginocchio, e tanta palestra, senza dimenticare i fondamentali esercizi di equilibrio. Ovviamente, si va anche in ghiacciaio a sciare, ma è il lavoro atletico a predominare. Inoltre, l’estate è per me un periodo dove posso recuperare meglio dagli infortuni dell’annata precedente, non avendo l’urgenza della competizione”.

 

A sci fermi, com’è e cosa fa Lucia Recchia?

“Faccio veramente fatica a restare ferma. Amo lo sport in generale e mi diverto troppo a praticarlo. Con l’esperienza ho tuttavia imparato che serve anche qualche momento nel quale staccare la spina e distrarsi da tutto, e allora mi dedico agli amici, alla musica e alla lettura di un buon libro. Questi attimi di relax hanno una grande importanza e devono andare di pari passo con gli allenamenti”.

 

Una promessa per la prossima stagione?

“Divertirmi e farvi divertire! È il mio motto da sempre, e questa è la promessa per il prossimo inverno!”