LA CORSA ALLE OLIMPIADI INVERNALI 2018

Francia, Corea del Sud e Germania si candidano per ospitare la rassegna a cinque cerchi degli sport invernali: chi la spunterà?

Dove si svolgeranno le Olimpiadi invernali del 2018? I paradossi di un mondo sempre più interdipendente faranno sì che lo scopriremo in Sudafrica, un paese con una tradizione per gli sport invernali pressoché nulla. La città di Durban (possibile candidata per la corsa ai Giochi estivi del 2020) ospiterà, dal 4 al 9 luglio, la 123° Sessione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) che culminerà, il 6 luglio, con la selezione della città candidata a ospitare i XXIII° Giochi Olimpici Invernali. Le tre candidature in lizza sono: Annecy, città delle Alpi francesi in Alta Savoia, P’yŏngch’ang, in Corea del Sud, e Monaco di Baviera, in Germania.

 

Disputatisi per la prima volta nel 1924 a Chamonix, in Francia, sotto la denominazione di Semaine Internationale des Sports d’Hiver, i Giochi Olimpici invernali hanno cominciato ad assumere un carattere globale a partire dagli anni Novanta, da quando cioè si sono smarcati da un punto di vista temporale dai Giochi Olimpici estivi. Basti pensare che alle Olimpiadi di Vancouver 2010 hanno partecipato 2629 atleti, rappresentativi di ben 82 nazioni. Rispetto alle Olimpiadi estive che, salvo qualche grande eccezione, tendono a riflettere i rapporti di forza internazionali, quelle invernali seguono inevitabilmente dinamiche legate maggiormente alla geografia e alla presenza della neve. Se è vero che al pari di quelle estive le Olimpiadi invernali sono state uno dei campi di battaglia della Guerra Fredda, durante il loro svolgimento il predominio delle due superpotenze è stato in parte bilanciato dalle prestazioni degli atleti scandinavi ed alpini. In tempi più recenti l’egemonia europea ed occidentale nei Giochi invernali è stata calmierata dall’emergere dei Paesi del Sud-est asiatico. Prima il Giappone, poi la Corea del Sud e più recentemente anche dalla Cina, hanno cominciato a presentare squadre competitive in grado di fare incetta di medaglie specialmente nel pattinaggio (velocità, short track e di figura).

 

La sfida di Durban sarà proprio fra la “Vecchia Europa” (Francia e Germania), ancora molto potente ed influente in seno al CIO, e l’emergente Asia, rappresentata dalla Corea. P’yŏngch’ang, che prova a candidarsi per la terza volta consecutiva, teme molto un possibile “inciucio occidentale”. Già nel 2010 e nel 2014, dopo essere risultata in testa al primo turno di voto, la candidatura coreana era stata sconfitta da quelle di Vancouver e Soči, proprio grazie ai voti dell’eliminata Salisburgo.

 

Secondo l’attendibile sito GamesBids.com la candidatura di P’yŏngch’ang (data a 66.29) è leggermente favorita su quella di Monaco (64.99), mentre meno credibile appare la candidatura di Annecy (53.85), la cui corsa verso Durban è stata alquanto tribolata. Pur avendo sconfitto la concorrenza interna di Grenoble, Nizza e Pelvoux, ed essendosi assicurata il sostegno governativo, la candidatura di Annecy non sembra godere di un forte sostegno dei cittadini (tanto che è stato costituito un comitato anti-Olimpiade) ed il progetto iniziale è stato interamente rivisto poiché il CIO lo aveva considerato troppo dispersivo.

La candidatura di Monaco invece ha preso forma dopo il fallimento di Salisburgo. La sconfitta della candidatura austriaca a vantaggio di Soči per i Giochi del 2014, ha infatti reso credibili le possibilità di vittoria per una candidatura europea nel 2018. Se vincesse, la città bavarese sarebbe la prima ad aver ospitato sia i Giochi estivi che quelli invernali. Molte infrastrutture sono già esistenti anche perché le gare di sci si terranno a Garmisch-Partenkirchen (sede olimpica nel 1936) che quest’inverno ha ospitato i Mondiali di sci alpino, tuttavia, così come in Francia, al sostegno governativo non pare combaciare quello dei cittadini. Il consenso alla candidatura olimpica è in calo, influenzato dall’attivismo di gruppi ambientalisti della società civile. Considerando però la tradizione tedesca negli sport invernali e le grandi capacità organizzative dimostrate anche recentemente, è impossibile non ritenere Monaco come una delle candidate favorite.

Dopo due sconfitte sul filo di lana P’yŏngch’ang vuole cercare di evitare la terza beffa. Il Comitato Organizzatore ha ulteriormente migliorato il proprio dossier e nel frattempo sono già state costruite numerose infrastrutture. Al contrario delle candidature europee quella coreana può contare sul sostegno quasi incondizionato dei suoi cittadini e sul fatto di rappresentare un mercato ancora in buona parte inesplorato da parte degli sponsor del settore. Il motto della candidatura “Nuovi orizzonti” sembra proprio ammiccare alle forze economiche degli sport invernali, che in Europa fanno i conti con un mercato ormai saturo. Probabilmente quindi il voto finirà per essere un testa a testa fra le ambizioni tedesche e quelle coreane.

 

Infine la Sessione di Durban rappresenta una tappa fondamentale anche per la diplomazia sportiva italiana, che sta lavorando per portare a Roma le Olimpiadi del 2020. Così come già avvenuto con il sostegno a Soči 2014, i dirigenti italiani cercheranno probabilmente di appoggiare la candidatura vincente per chiedere a tempo debito il sostegno per Roma 2020.

Siccome in caso di sconfitta i comitati olimpici tedesco, francese e coreano avrebbero ancora il tempo per presentare una candidatura per le Olimpiadi estive del 2020, stringere in questa circostanza le giuste alleanze potrebbe rivelarsi determinante nel lungo periodo.

LUCIA RECCHIA: IN LOTTA CONTRO LA SFORTUNA

Un talento cristallino, come pochi altri del panorama sciistico mondiale, troppo spesso fermato dalla malasorte: potrebbe essere questa una sintesi della parabola di Lucia Recchia. Nata a Rovereto l’8 gennaio del 1980, ma da sempre residente a Brunico, questa finanziera amante delle discipline veloci si era messa in luce già da giovanissima, con l’argento ai mondiali juniores in discesa libera nel 2000, in Canada. Con l’esordio in Coppa del Mondo avvenuto poche settimane prima, Lucia si conferma ad ottimi livelli, cogliendo una serie di piazzamenti di rilievo anche nel massimo circuito: spiccano il secondo posto in discesa ad Altenmarkt nel dicembre 2004 e il terzo posto nel supergigante di Aare due mesi più tardi: in mezzo, uno scintillante argento mondiale in SG, sulla pista di Santa Caterina Valfurva, che resta il suo miglior risultato di sempre. Tra gioie del genere ed innumerevoli infortuni, Lucia ha sempre tenuto duro ed ora, nonostante i 31 anni, è più motivata che mai a ripartire per una nuova stagione ricca di soddisfazioni, come ci dimostra in questa intervista nella quale ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

 

Lucia, com’è avvenuto il tuo primo incontro con gli sci? E le prime gare?

“Ho iniziato a sciare all’età di tre anni sulle piste vicino a casa, con i miei genitori. Dopo aver frequentato una serie di corsi di perfezionamento, ho gareggiato per la prima volta a 10 anni, e da lì non ho praticamente più smesso!”

 

Hai un nome ed un cognome assolutamente “italiani”, eppure vivi da sempre nel cuore dell’Alto Adige, regione dove le spinte indipendentiste sono molto forti. Hai mai avuto problemi per questo?

“Mi sento assolutamente cittadina del mondo. Non ho mai avuto problemi, non mi sono mai sentita non accettata, perché ho sempre vissuto per lo sport e non per la politica: infatti, gli unici momenti spinosi li ho vissuti quando un giornalista si è inventato, su un quotidiano locale, delle cose mai dette, cercando di mettermi in contrapposizione al presidente della Provincia di Bolzano Luis Durnwalder, ma si tratta veramente di una storia assurda e senza fondamento.”

 

In tutti questi anni di carriera, qual è stata la tua soddisfazione più grande?

“Indubbiamente l’argento mondiale a Bormio-Santa Caterina, però ricordo con orgoglio anche le gare alle Olimpiadi di Vancouver, dove ho concluso al settimo e al nono posto sebbene corressi con un crociato rotto (operato nella primavera 2010) e avessi appena risolto gli innumerevoli problemi alla schiena. Un’esperienza davvero incredibile, la considero come una vittoria sia per me stessa che per le persone che mi sono state vicino durante i vari infortuni”.

 

Come hai accennato nell’ultima risposta, nel corso delle stagioni hai avuto numerosi infortuni. Dove hai trovato, ogni volta, la forza per ripartire? Adesso è tutto a posto?

“Ogni infortunio è una sfida da accettare e da vincere, questa è stata e resta la mia mentalità. Il gioco vale la candela: la risalita dopo il baratro è indubbiamente difficile ma genera una soddisfazione davvero enorme. Gli infortuni mi hanno insegnato ad essere paziente, ad ascoltare il mio corpo, a non forzare più del dovuto e, quindi, a godermi al massimo i momenti di salute, quando posso divertirmi praticando il mio lavoro, che per me resta innanzitutto un grande divertimento. A febbraio ho avuto una commozione cerebrale, ma adesso è tutto risolto: proseguo con il lavoro specifico per il ginocchio operato, notando giorno dopo giorno dei miglioramenti sensibili”.

 

C’è una pista del destino, sulla quale ti trovi benissimo e vorresti gareggiare sempre?

“La pista dei sogni è l’Olimpia delle Tofane di Cortina d’Ampezzo. Mi è sempre piaciuta in modo particolare, e vincere lì sarebbe una gioia incredibile: non credo sia troppo tardi, e dalla prossima stagione ce la metterò tutta per realizzare questo obiettivo”.

 

Com’è l’estate di una sciatrice, lontana dalle gare invernali?

“L’estate è il momento del rifornimento, quello in cui metti la benzina per la stagione successiva: tanta bicicletta (a maggio ho fatto il giro della Corsica, un’esperienza fantastica), che preferisco alla corsa anche per il benessere del ginocchio, e tanta palestra, senza dimenticare i fondamentali esercizi di equilibrio. Ovviamente, si va anche in ghiacciaio a sciare, ma è il lavoro atletico a predominare. Inoltre, l’estate è per me un periodo dove posso recuperare meglio dagli infortuni dell’annata precedente, non avendo l’urgenza della competizione”.

 

A sci fermi, com’è e cosa fa Lucia Recchia?

“Faccio veramente fatica a restare ferma. Amo lo sport in generale e mi diverto troppo a praticarlo. Con l’esperienza ho tuttavia imparato che serve anche qualche momento nel quale staccare la spina e distrarsi da tutto, e allora mi dedico agli amici, alla musica e alla lettura di un buon libro. Questi attimi di relax hanno una grande importanza e devono andare di pari passo con gli allenamenti”.

 

Una promessa per la prossima stagione?

“Divertirmi e farvi divertire! È il mio motto da sempre, e questa è la promessa per il prossimo inverno!”

 

 

MARSAGLIA, SCI E ADRENALINA

Nell’ultima stagione, una delle sorprese più piacevoli della squadra azzurra di sci alpino è stata senza dubbio Matteo Marsaglia: romano trapiantato a San Sicario, ventisei anni da compiere ad ottobre, in questi mesi è riuscito a trovare quella continuità di rendimento necessaria per ottenere ottimi risultati. Del resto, il passato era stato avaro di soddisfazioni soprattutto a causa degli innumerevoli infortuni. E, una volta messa da parte la mala sorte, il ragazzo tesserato per il Centro Sportivo Esercito è riuscito ad imporsi come uno degli azzurri più brillanti nelle discipline della discesa, del supergigante e della supercombinata, con la gioia della partecipazione ai Mondiali di Garmisch-Partenkirchen. Inoltre, Matteo ha in casa un bel metro di paragone: è la sorella Francesca, che ha vissuto la migliore stagione della giovane carriera, con una serie di ottime prestazioni soprattutto in discesa libera.

A proposito di Francesca: ad inizio stagione tua sorella disse “Questo sarà l’anno di Matteo”. Pronostico rispettato?

«Direi proprio di sì, il pronostico della sorellina ha portato assolutamente bene. Ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato e sono andato anche oltre. Sì, credo proprio che sia stata la migliore stagione della mia carriera, ma non la vedo come un punto di arrivo, quanto come un ottimo punto di partenza per il futuro. Il fatto di essere riuscito ad andare regolarmente a punti in tutte e tre le discipline mi ha consentito di scalare le classifiche e dunque, nella prossima stagione, avrò dei numeri di partenza ancora migliori: in supercombinata rischio addirittura di essere nel primo gruppo, quindi ci sarà da divertirsi».

Tanti infortuni in passato, il più spaventoso è stato forse la caduta ai Campionati Nazionali Svizzeri nel 2009: come ci si rialza ogni volta?

«Già, nelle passate stagioni ho frequentato le sale operatorie decisamente troppo spesso, ma fortunatamente sono sempre riuscito a trovare la forza e la pazienza di rialzarmi ogni volta. Secondo me, in questo mi ha aiutato la consapevolezza che questo fantastico sport aveva ancora molto da darmi, era come se mi sentissi un po’ in credito con la Dea Bendata. Ovviamente, ringrazio anche i miei allenatori per la fiducia che mi hanno sempre dimostrato in quei momenti bui».

Cosa ha significato partecipare ai Campionati del Mondo di Garmisch?

«La possibilità di prendere parte ai Mondiali, oltretutto in supergigante che è la mia disciplina preferita, ha rappresentato la ciliegina sulla torta di questa annata indimenticabile. Inoltre, la convocazione è stata parecchio sudata, con una lotta fino all’ultima gara utile per guadagnarmi quell’agognato posto nel quartetto iridato, e quindi le emozioni in quei giorni erano fortissime: tuttavia, sono riuscito a trasformare quella grande attesa in una forza propulsiva che mi ha permesso di disputare un’ottima gara, conclusa al quindicesimo posto. Peccato solo per quell’erroraccio a metà gara, senza il quale avrei chiuso molto più avanti, ma non mi lamento perché comunque sono riuscito ad arrivare in fondo, ottenendo un risultato più che dignitoso».

Un parere sulla spinosa vicenda legata all’ormai ex direttore tecnico Claudio Ravetto?

«Non voglio entrare troppo nei vari discorsi politici interni alla federazione, ma al di là del fatto che personalmente ho sempre avuto un ottimo rapporto con Claudio, posso solo dire che io avrei seguito la regola “Squadra che vince non si cambia”. Non so quanto sia sensato stravolgere certe cose dopo una stagione brillante come quella appena trascorsa».

Com’è Matteo Marsaglia fuori dalle piste? Che passioni ha?

«In pista mi piace andare forte, e fuori non riesco a trattenermi. Pratico qualsiasi sport ma prediligo quelli più “adrenalinici”, in particolare tutto quello che riguarda il mondo dei motori e il mare. Infatti, appena riceverò il programma degli allenamenti estivi potrò scappare per qualche settimana a Fuerteventura, per praticare quel surf da onda che coltivo da anni, nei ritagli di tempo tra una stagione e l’altra. Indubbiamente un’altra grande passione è la musica, senza la quale non potrei davvero vivere!»

Avere una sorella con cui raffrontarsi costantemente è un vantaggio o uno svantaggio?

«Avere una sorella con cui condividere la stessa vita è assolutamente una fortuna, siamo sempre stati molto legati tra di noi e con l’altro nostro fratello Eugenio, anche lui nel giro delle nazionali fino a qualche stagione fa e ora maestro di sci, oltre che studente di giurisprudenza a Torino. Questo legame speciale ci ha spinto reciprocamente a tirar fuori il meglio di noi stessi, superando assieme tutte le difficoltà».

Infine, guardando avanti: qual è il sogno più grande?

«Proprio perché di sogno si tratta, mi piacerebbe in qualche modo riportare lo sci a quei livelli di popolarità raggiunti ai tempi di Alberto Tomba, ovviamente con l’aiuto di qualche compagno di squadra. Se proprio non ci riusciamo, quantomeno cercare di avvicinarsi».

CLAUDIA MORANDINI, DAGLI SCI AI MICROFONI

Da qualche stagione a questa parte, le telecronache di Eurosport delle gare femminili di sci alpino sono state impreziosite dalla partecipazione di Claudia Morandini, che affianca a turno i sempre preparati Gianmario Bonzi ed Andrea Berton. La bionda Claudia, nata a Trento il 25 giugno 1982, ha un passato da sciatrice di alto livello, mentre il suo presente e il futuro sembrano decisamente essere nell’ambito della comunicazione di massa: non solo telecronache, ma anche la conduzione di programmi di vario genere su radio e televisioni, oltre alla presentazione di eventi, sempre con quel sorriso smagliante che è un po’ il leit-motiv della sua vita.  Da atleta, Claudia ha all’attivo una ventina di gare in Coppa del Mondo tra i paletti stretti dello slalom e le porte larghe del gigante, con un sedicesimo posto ad Aare, nel marzo 2003, come miglior risultato, oltre a tre podi in Coppa Europa.

Claudia, com’è stato il salto dalle piste alla cabina di commento?

«È stato abbastanza naturale: mi sono sempre occupata di comunicazione, e quando mi sono proposta, Eurosport ha voluto credere in me. Tra tutti i lavori televisivi che faccio, quello del commento tecnico è indubbiamente il più difficile. Ma io amo le sfide e, soprattutto, mi sembra ogni giorno di tornare in gara.»

Qual è stato il motivo che ti ha spinto, a soli 26 anni, ad appendere gli sci al chiodo?

«Il motivo è drammaticamente semplice: cinque ernie al disco. Ho sofferto moltissimo soprattutto negli ultimi due anni di carriera, tra il 2006 e il 2008, arrivando ad un punto in cui non riuscivo più a dare il massimo. Certo, avrei voluto continuare, soprattutto dopo la prima operazione, e ritornare a gareggiare in Coppa del Mondo, ma per competere ad un livello così alto bisogna sempre essere al top, e io non lo ero più.»

In quegli anni di carriera, c’è un momento particolare che ti va di ricordare?

«Ho davvero tanti ricordi, perché lo sci mi ha permesso di girare il mondo, di instaurare amicizie speciali: non mi viene in mente un momento particolare, forse perché preferisco ricordare tutti i miei dieci anni in nazionale come una delle esperienze più belle e soddisfacenti della mia vita.»

Il tuo giudizio sulla performance azzurra ai Mondiali di Garmisch-Partenkirchen?

«Che dire? Una perfomance davvero inaspettata, soprattutto considerando la prima parte della stagione. I ragazzi e le ragazze hanno dimostrato di riuscire ad entrare nella magica atmosfera mondiale quasi senza sentire la pressione e le attese, riuscendo a dare il massimo in ogni gara, con gli splendidi risultati che tutti sappiamo.»

Cosa ne pensi, da ex atleta, della diatriba in corso tra la FISI e lo staff tecnico, relativa soprattutto al direttore tecnico Claudio Ravetto?

«Mi sento di dire che la rovina dello sport è la politica, e sicuramente Claudio non è un politico: il suo lavoro, come quello di ogni bravo direttore tecnico, deve incentrarsi prevalentemente nel dare serenità e fiducia al gruppo di atleti e allo staff, e credo che in questo lui non abbia mai fallito. Mi auguro che alla fine si ascoltino i nostri sciatori e si decida tenendo conto della loro opinione.»

C’è un’atleta azzurra sulla quale punti particolarmente per il futuro?

«Ci sono delle giovani veramente interessanti, in primis Elena Curtoni e Federica Brignone, come si è visto anche ai Mondiali. Tuttavia, io non dimenticherei le più esperte, quelle leonesse che lottano sempre con gli acciacchi ma, quando sono in forma, rappresentano una garanzia. Mi riferisco in particolare a Manuela Moelgg, Daniela Merighetti e Denise Karbon. Anche le sorelle Fanchini sono dei talenti, hanno un piede d’oro e quindi delle straordinarie doti naturali, ma vengono spesso limitate dai problemi fisici.»

Oltre al commento delle gare, conduci anche delle trasmissioni culturali e sportive su radio e tv: come è nata questa attività?

«Diciamo che come conduttrice me la sono sempre cavata bene, e mi è sempre piaciuto farlo. Credo di avere un carattere molto solare, e soprattutto, davanti ad una telecamera riesco a dare davvero il meglio di me, cercando sempre una certa vena ironica e mettendo a frutto l’esperienza sportiva accumulata sulle piste da sci. Certo, l’aspetto fisico offre un bell’aiuto, ma da solo non basta assolutamente: dietro ad ogni trasmissione, ci sono una preparazione ed un lavoro lunghissimo.»

Ultima domanda: come si vede Claudia Morandini tra dieci anni?

«Mi vedo…realizzata, mamma e felice. Banale? Dai, ho ancora un po’ di tempo per essere egoista. Poi mi piacerebbe fare la mamma».

CHRISTOF INNERHOFER, ALFIERE D’ITALIA

Christof InnerhoferL’Italia festeggia quest’anno i suoi 150 anni di unità nazionale, un traguardo importante che rischia di non essere celebrato a dovere. Tutti i presupposti sembrano indicare l’ineluttabilità di un compleanno triste: il paese infatti vivacchia da quasi un anno sul filo di una crisi istituzionale, il Primo Ministro è sotto processo, il Ministro della Cultura, responsabile delle commemorazioni, ha rischiato di essere sfiduciato. All’interno del governo un partito che non riconosce l’idea stessa di Italia acquisisce di giorno in giorno un potere crescente e, dopo le esternazioni del presidente della Confindustria e del Ministro dell’Istruzione, la data del 17 marzo, che nel 1861 con la proclamazione del regno d’Italia suggellò l’unità nazionale, rischia di essere declassata da “festa nazionale” a semplice “solennità civile”. Tempi duri, insomma, per il nazionalismo italiano.

Come spesso accade quando la politica si dimostra assente o inadeguata, sono le forze culturali e la società civile a farne le veci. In questo senso lo sport rappresenta un vettore dell’identità nazionale italiana molto importante e troppo spesso sottovalutato. Senza voler scomodare i successi ai mondiali di calcio o la leggenda secondo cui la vittoria di Gino Bartali al Tour de France del 1948 salvò l’Italia dalla guerra civile, è abbastanza evidente che, proprio in virtù della debolezza di simboli istituzionali identitari condivisi, il rapporto fra sport e nazione nel nostro paese è sempre stato molto forte.

Una conferma della continuità di questo legame ci è arrivata proprio in questi giorni. La scorsa settimana il presidente della provincia autonoma di Bolzano e leader del partito Südtiroler Volkspartei Luis Durnwalder ha dichiarato che il suo partito e la sua provincia, in quanto minoranza austriaca che non ha scelto di vivere in Italia ma vi è stata costretta, non prenderanno parte alle celebrazioni dell’unità d’Italia. Ovviamente la presa di posizione del presidente della provincia autonoma di Bolzano ha suscitato critiche e ha costretto il Presidente della Repubblica Napolitano a intervenire per ricordare a Durnwalder il suo dovere di rappresentare non solo una “pretesa minoranza austriaca” ma anche quelle italiane e ladine presenti nel territorio. La migliore risposta alle polemiche è però arrivata da Garmisch-Partenkirchen, dove si stanno svolgendo i Campionati Mondiali di Sci Alpino, grazie a Christof Innerhofer, uno sciatore altoatesino nato a Brunico (Bruneck) il 17 dicembre di 26 anni fa, che, tra super gigante, discesa libera e supercombinata, ha portato a casa tre medaglie: una d’oro, una d’argento e una di bronzo.

Christof non ha fatto proclami né dichiarazioni politiche, ma ha semplicemente sciato alla grande e vinto. Così facendo ha fatto esplodere di gioia centinaia di migliaia di tifosi italiani e sudtirolesi, gettando invece nello sconforto quelli austriaci e nord tirolesi che, senza le strepitose prestazioni dello sciatore azzurro, avrebbero potuto aggiungere al palmares un oro e due bronzi. Inconsapevolmente, a pochi giorni dallo scontro verbale tra Durnwalder e Napolitano, Christof ha saputo più di chiunque altro ricucire lo strappo del presidente della provincia autonoma di Bolzano rendendo, per lo meno in campo sportivo, l’Italia orgogliosa dell’Alto Adige e l’Alto Adige orgogliosa dell’Italia.

Articolo scritto per www.pianeta-sport.net e riproposto su www.thepostinternazionale.it