CHRISTOF INNERHOFER, ALFIERE D’ITALIA

Christof InnerhoferL’Italia festeggia quest’anno i suoi 150 anni di unità nazionale, un traguardo importante che rischia di non essere celebrato a dovere. Tutti i presupposti sembrano indicare l’ineluttabilità di un compleanno triste: il paese infatti vivacchia da quasi un anno sul filo di una crisi istituzionale, il Primo Ministro è sotto processo, il Ministro della Cultura, responsabile delle commemorazioni, ha rischiato di essere sfiduciato. All’interno del governo un partito che non riconosce l’idea stessa di Italia acquisisce di giorno in giorno un potere crescente e, dopo le esternazioni del presidente della Confindustria e del Ministro dell’Istruzione, la data del 17 marzo, che nel 1861 con la proclamazione del regno d’Italia suggellò l’unità nazionale, rischia di essere declassata da “festa nazionale” a semplice “solennità civile”. Tempi duri, insomma, per il nazionalismo italiano.

Come spesso accade quando la politica si dimostra assente o inadeguata, sono le forze culturali e la società civile a farne le veci. In questo senso lo sport rappresenta un vettore dell’identità nazionale italiana molto importante e troppo spesso sottovalutato. Senza voler scomodare i successi ai mondiali di calcio o la leggenda secondo cui la vittoria di Gino Bartali al Tour de France del 1948 salvò l’Italia dalla guerra civile, è abbastanza evidente che, proprio in virtù della debolezza di simboli istituzionali identitari condivisi, il rapporto fra sport e nazione nel nostro paese è sempre stato molto forte.

Una conferma della continuità di questo legame ci è arrivata proprio in questi giorni. La scorsa settimana il presidente della provincia autonoma di Bolzano e leader del partito Südtiroler Volkspartei Luis Durnwalder ha dichiarato che il suo partito e la sua provincia, in quanto minoranza austriaca che non ha scelto di vivere in Italia ma vi è stata costretta, non prenderanno parte alle celebrazioni dell’unità d’Italia. Ovviamente la presa di posizione del presidente della provincia autonoma di Bolzano ha suscitato critiche e ha costretto il Presidente della Repubblica Napolitano a intervenire per ricordare a Durnwalder il suo dovere di rappresentare non solo una “pretesa minoranza austriaca” ma anche quelle italiane e ladine presenti nel territorio. La migliore risposta alle polemiche è però arrivata da Garmisch-Partenkirchen, dove si stanno svolgendo i Campionati Mondiali di Sci Alpino, grazie a Christof Innerhofer, uno sciatore altoatesino nato a Brunico (Bruneck) il 17 dicembre di 26 anni fa, che, tra super gigante, discesa libera e supercombinata, ha portato a casa tre medaglie: una d’oro, una d’argento e una di bronzo.

Christof non ha fatto proclami né dichiarazioni politiche, ma ha semplicemente sciato alla grande e vinto. Così facendo ha fatto esplodere di gioia centinaia di migliaia di tifosi italiani e sudtirolesi, gettando invece nello sconforto quelli austriaci e nord tirolesi che, senza le strepitose prestazioni dello sciatore azzurro, avrebbero potuto aggiungere al palmares un oro e due bronzi. Inconsapevolmente, a pochi giorni dallo scontro verbale tra Durnwalder e Napolitano, Christof ha saputo più di chiunque altro ricucire lo strappo del presidente della provincia autonoma di Bolzano rendendo, per lo meno in campo sportivo, l’Italia orgogliosa dell’Alto Adige e l’Alto Adige orgogliosa dell’Italia.

Articolo scritto per www.pianeta-sport.net e riproposto su www.thepostinternazionale.it

IERI & OGGI: E IL LIBANO SOTTO ASSEDIO SCONFISSE LA FRANCIA

Nel corso della storia non sono mai mancate, in occasione di Giochi Olimpici o Mondiali, sfide sportive che mettevano di fronte colonizzatori e colonizzati. Ma questa aveva un fascino tutto particolare.

Libano-FranciaNel corso della storia non sono mai mancate, in occasione di Giochi Olimpici o Mondiali, sfide sportive che mettevano di fronte colonizzatori (europei) e colonizzati (africani, americani o asiatici). Ma questa aveva un fascino tutto particolare.

È il 23 agosto del 2006 ed in Giappone si gioca la penultima giornata del girone A dei Mondiali di basket maschile. A Sendai si affrontano due squadre che, in comune, hanno forse la lingua parlata. Da una parte c’è la Francia terza classificata agli Europei di un anno prima che, pur priva della stella Tony Parker, può schierare un parterre de roi di assoluto rispetto: Gomis e Florent Piétrus hanno vinto il campionato spagnolo con l’Unicaja Málaga, mentre sono ben quattro i giocatori – Diaw, Petro, Mickaël Piétrus e Turiaf – impegnati nella NBA. Dall’altra c’è il Libano, alla seconda partecipazione mondiale della sua storia, guidato in panchina da un allenatore giramondo, lo statunitense Paul Coughter. I suoi uomini giocano tutti in patria. Per la nazionale mediorientale non è una partita qualsiasi. Perché una vittoria potrebbe far avvicinare la squadra allo storico traguardo degli ottavi di finale. Perché, nel lungo arco temporale compreso tra i due conflitti mondiali, il Libano era un protettorato francese. E, soprattutto, perché il loro paese è in guerra da oltre un mese con Israele: a dir la verità da nove giorni è entrato in vigore il cessate il fuoco, ma è solo con la fine del blocco navale imposto dagli israeliani che, a settembre, calerà definitivamente il sipario su un’altra pagina di sangue in Medio Oriente. La preparazione ai Mondiali è stata un vero incubo per i giocatori, che si allenavano sapendo che gli F16 israeliani sorvolavano sulle loro case. E poi l’odissea per raggiungere Turchia e Slovenia, per disputare due tornei di preparazione, tra aeroporti bombardati ed autostrade danneggiate che, di fatto, avevano isolato il paese. I giocatori non volevano saperne di andare al Mondiale: troppo importante la vita dei loro familiari. Ma, alla fine, la spedizione libanese parte alla volta della terra del Sol Levante: dopo la vittoria all’esordio contro il Venezuela, i mediorientali hanno perso contro Serbia-Montenegro ed Argentina. E adesso ci sono loro, i colonizzatori.

Il parquet di Sendai sovverte inizialmente il pronostico che vede la Francia favorita: la stella Fadi El Khatib trascina il Libano con le sue giocate, sul fronte francese l’assenza dell’infortunato Jeanneau si traduce in una fase offensiva molto compassata e stagnante. Dopo il sostanziale equilibrio delle battute iniziali, il Libano prende il largo grazie ad un paio di tiri liberi di Roy Samaha: le due squadre chiudono così il primo quarto sul 21-14. Anche nel successivo la Francia non fa molto per arginare le folate libanesi: una schiacchiata di Mickaël Piétrus riduce il distacco a due sole lunghezze, ma un lay-up di El Khatib e le bordate di Rony Fahed, complesa una tripla, riportano avanti la nazionale mediorientale che va al riposo con il massimo vantaggio (43-30).

La Francia, tuttavia, si risveglia brutalmente nella seconda metà dell’incontro: gli uomini di Claude Bergeaud assestano un parziale di 9-0 e poi, grazie al canestro del madridista Gelabale, ancora una volta si portano a due punti di ritardo dal Libano. Dilapidato il prezioso vantaggio, i mediorientali rialzano la testa ed è il solito El Khatib a mantenerli in vita con i suoi punti. Ma è soprattutto Florent Piétrus il protagonista dell’ultimo quarto: il giocatore dell’Unicaja regala spettacolo con rimbalzi e schiacchiate. Regala soprattutto punti preziosi alla Francia che consentono di risalire la china: mediorientali e transalpini giocano a rincorrersi, con i primi che viaggiano a una media di quattro punti di vantaggio. Fino a quando Boris Diaw, pure lui uscito dal guscio dell’anonimato nella seconda parte, non fissa il risultato sul 68-68. La gioia per aver agganciato, dopo un lungo inseguimento, il Libano dura tuttavia il breve spazio di una dozzina di secondi: Rony Fahed mette dentro una tripla e dà nuovamente il vantaggio alla sua squadra. Manca un minuto e mezzo alla fine. E la Francia deve recuperare tre punti. Florent Piétrus non fallisce dalla lunetta e così pure Foirest: adesso sono i libanesi a dover inseguire (72-71) quando mancano quaranta secondi. Ti aspetti una giocata decisiva di El Khatabi – a fine gara sarà il miglior marcatore con 29 punti personali – e invece è Joseph “Joe” Vogel, centro di origini statunitensi, a scrivere la storia del basket: riceve palla, si gira, segna subendo fallo e poi realizza il tiro libero aggiuntivo. 74-72. L’appuntamento con la storia è lì a ventiquattro secondi, ma c’è ancora da soffrire: Diaw va in lunetta, può riequilibrare nuovamente le sorti dell’incontro a sei secondi dalla conclusione. Mette dentro il primo: 74-73. Prosegue con il secondo. Il tiro è corto, la palla tocca il ferro e torna in campo: all’ultimo secondo finisce tra i palmi di Foirest che tenta il tiro della disperazione. Palla fuori bersaglio. Fischio finale. Vince il Libano delle famiglie sotto assedio, vince il Libano senza giocatori nella NBA, vince il Libano umile contro una Francia presuntuosa. “Siamo stati davvero deludenti e non abbiamo preso abbastanza sul serio la partita – ammette a fine partita Bergeaud – questo è un momento storico per noi perché non abbiamo rispettato i nostri avversari”. Con il sorriso fanciullesco di chi ha appena compiuto un’impresa, Khalaf commenta una vittoria inattesa: “Questa vittoria, comunque, non significa nulla se domani non facciamo risultato contro la Nigeria. Per me, quella partita è più importante del successo di oggi”.

Ma il miracolo non si ripeterà: il Libano esce sconfitto 95-72 contro la formazione africana, fallendo così la qualificazione al turno successivo. La Francia avanza e chiuderà al quinto posto la sua avventura in terra nipponica. Ma sulle maglie dei transalpini rimarrà per sempre incancellabile la macchia della sconfitta contro i libanesi. I quali tornano comunque a casa con una storia da poter raccontare ai propri figli, nel frattempo tornati alla normale vita di tutti i giorni dopo il cessate il fuoco del 14 agosto. Eccola, la vittoria più bella, da aggiungere al 74-73 di Sendai.

Simone Pierotti

LACROSSE: LA MARCIA DELL’ITALIA AI MONDIALI DI MANCHESTER

LacrosseContinua trionfale la marcia su Manchester degli azzurri che ottengono un posto garantito tra le prime 20 del Mondo, risultato imprevisto ed eccezionale quanto basta per ottenere menzione anche nei media internazionali.

Gli uomini di coach Dellisser vincono quattro partite consecutive e si affermano come una realtà nel panorama del lacrosse; exploit ancora più significativo per il movimento nazionale considerando che il numero di vittorie ottenute dall’Italia quest’anno pareggia il record di quattro anni fa a London (Canada) quando la squadra composta interamente da americani mise in fila Hong Kong, Galles, Repubblica Ceca e Scozia.

Quest’anno, invece, la presenza nativa è massiccia e ben miscelata con l’esperienza dei “naturalizzati”, che non vanno comunque dimenticati: dal bomber austro-italiano Steven Whitford, assistente allenatore e giocatore classe 1965 che si è scrollato di dosso in breve tempo 18 anni, tanti quanti i gol messi a segno nelle sue sette partite, al vero spauracchio offensivo degli azzurri Tim Fuchs per il quale parlano i numeri: 20 reti e 7 assist.

Avevamo lasciato questa squadra dopo la positiva, ma non esaltante, prima fase: due sconfitte iniziali contro Repubblica Ceca e Svezia mitigate dalla vittoria in scioltezza sui messicani ed un posto nella lower division da testa di serie. Qui comincia la scalata dei nostri: prima l’Argentina, poi le più quotate Danimarca e Svizzera cadono nel tritacarne azzurro e solo una sconfitta contro la Slovacchia, evidente contraccolpo di una serie di vittorie tanto esaltante quanto fisicamente dispendiosa, nega loro una posizione che avrebbero ampiamente meritato. Non vi è comunque nulla di cui disperare, come detto. È vero che quattro anni fa ci si piazzò decimi su venti squadre, ma quest’anno con dieci squadre in più – ovvero più concorrenza, più partite, più possibilità di fare passi falsi, più rischi – ed un team azzurro dall’incisiva presenza nativa si è ottenuto un risultato forse meno affascinante dal punto di vista della mera classifica, ma ben più significativo.

Dopo il Messico un’altra squadra del continente americano attendeva gli azzurri, l’Argentina: “molto forte nei faceoff” ci fa notare lo specialista azzurro Carlo Bernard, e capace di passare in vantaggio dopo soli 45″ per mano del bomber Zack Kahn (assist di Astrada). Ecco che prontamente torna fuori l’Italia vista contro il Messico: Fuchs (2:32), Withford (3:52, Fuchs), Mark Fortunato (8:34) e la doppietta di Fuchs (11:11) sbeffeggiano i sussulti argentini che riescono comunque a raddoppiare con Kahn (12:27) e mantenere aperta la partita. Allungo del difensore italo-canadese Miceli (16:46, M.Fortunato) e risposta immediata di Chemi (17:52, Astrada) cui seguono altre quattro sberle azzurre (tre del letale Withford – 19:04, Wilmot; 21:49; 29:13, Fuchs – e timbro di Mark Fortunato a 23:39) che sembrano consegnare la partita alla storia. Ma gli argentini escono dal loro guscio, reagiscono con una rete di Kahn (40:22) prontamente compensata dalla doppietta di Miceli (44:49) e godono di dieci minuti di autentico berserksgangr: tripletta e assist di Kahn (55:42; 58:04, Brown; 60:24, Hylen; assist a 66:27 per la rete di Brown) mitigata dalla segnatura di Withford (63:13) su assistenza di De Lisser ed ancora Brown (66:27, Kahn). Qui, sull’11-8, gli argentini possono davvero riaprire la partita, ma l’improbo sforzo necessario a ridimensionare la squadra italiana si fa sentire ed una doppietta di Withford (69:37, Fuchs e 74:35) chiude i giochi. Solo alla soddisfazione personale serve la rete di Campos a 78:28. Grande prova della squadra, grande prova di Withford, Fuchs, Miceli, ma Lubrano ci tiene a sottolineare la prova, non solo in questa gara, del portiere Matteo Magugliani da Valmontone: 79% di salvataggi, eccezionale.

“In molti aspetti tiene testa al titolare italo-americano Fortunato, che è comunque il secondo di Virginia” aggiunge Iubini.

Nell’altro match del “mini-playoff” la Danimarca beneficiava di una vittoria a tavolino poichè destinata agli assenti Iroquois. Azzurri dunque che partono in deficit di condizione contro una “squadra fisica: alti, veloci e ben organizzati” ci dice Lubrano. La prestazione dell’Italia non può che risentirne: dopo 7:13 di studio reciproco passa in vantaggio la Danimarca con Dane Hansen (assist di Lund), ma nel lungo periodo la schiacciante superiorità tecnica dei nostri ha la meglio. I muscoli nordici plasmati al vento dello Jutland nulla possono contro l’abilità della coppia Withford-Fuchs che solo con la carabina si può contenere: una tripletta a testa (9:22 Withford, Fuchs; 15:52 Withford, M.Fortunato; 19:34, 37:41 e 42:12 Fuchs; 43:14 Withford) perfettamente inframezzata dalla prima rete al Mondiale del classe 1988 Federico Galperti, romano tesserato per la Bocconi Lacrosse. Dane Hansen, mai così profilico finora, raggiunge la tripletta personale (46:57, Larsen; 57:49, B.Hansen) mentre Wilmot (54:33) segna la sua seconda rete del torneo. Sull’8-3 i danesi “non ne hanno più” e l’Italia chiude la partita senza troppi patemi d’animo con Mark Fortunato (71:10, Wilmot) ed il poker personale di Fuchs (75:24, Withford).

Superato lo scoglio nordico, gli azzurri sfidano la Svizzera al play-in: chi vincerà lotterà per un posto tra il 17esimo ed il 19esimo, chi perderà proverà a chiudere 21esimo. Gli elvetici sono squadra sulla carta superiore all’Italia, “molto veloce, priva di tiratori pericolosi oltre i 15 metri, con un gioco improntato a far girare palla di fronte alla porta, cosa che gli riesce molto bene, e cercare l’uomo libero sotto porta” il parere di Lubrano. Il match è combattuto fino alla fine, l’esito incerto: all’uno-due svizzero di Bame (07:28) e Kannape (11:34) risponde la doppietta del mastino Fuchs (19:40, M.Fortunato e 25:00). Altro uno-due svizzero stavolta firmato Schoch (26:32), tra i migliori dei suoi, e Burger (31:27) ed incredibile sorpasso azzurro firmato Galperti (36:25), Fuchs (42:40, Miceli) e Giorgini (45:55). Il match seguita nella sua imprevedibilità e la Svizzera si riporta avanti con Burger (61:09, Bame) e Schoch (63:46, Kaiser). Pochi minuti di gioco ed arriva il pareggio di Fuchs (69:32), seguito a ruota dal KO di Withford (72:35, Wilmot). Un duro colpo per gli elvetici che avevano definito l’Italia “squadra cuscinetto” ed ora hanno fatto i conti con la caparbietà e la tecnica dei nostri, capaci di piantare l’italica bandiera sulla cima delle ripide montagne svizzere. Bernard rimarca la velocità, il dribbling e la precisione di Schoch, mentre Iubini sottolinea la prova del portiere Bertsch, oppostosi valorosamente ai tiri di Fuchs nel primo quarto. Sempre Iubini esalta la vittoria “di squadra, ottenuta contro avversari superiori sulla carta tatticamente e fisicamente, con una grande organizzazione di gioco. Abbiamo sempre avuto la lucidità per essere su tutte le palle”.

In questa seconda metà del mese di luglio dell’anno di grazia 2010 all’Armitage Centre ha combattuto, sudato, digrignato i denti e colpito duro tutto il movimento internazionale del lacrosse e gli azzurri sono arrivati tra i primi venti del Mondo: una vera e propria pietra miliare per il movimento, i Leoni di Manchester hanno fatto la storia.

Nel prossimo appuntamento il resoconto della sconfitta contro la Slovacchia e della partita in svolgimento contro la Lettonia.

Christian Tugnoli

(si ringraziano Andrea Lubrano, Carlo Bernard e Alessandro Iubini per la disponibilità, la simpatia e la pazienza con cui hanno reso conto delle gare disputate)

SPORT & SOCIETA’: L’ESPERIENZA DI ALTRIMONDIALI

Ospitiamo un articolo di Luca Marchina che ci racconta l’esperienza di Altrimondiali da Nairobi a Johannesburg, e oltre.

Altri MondialiPianeta Sport ha seguito attentamente i Mondiali 2010 cercando di sfuggire alla retorica occidentalista dell’“Africa buona” che solo perché ha organizzato un mondiale di calcio ha messo alle spalle tutti i suoi problemi. C’è però chi ha fatto di più; invece di poltrire davanti alla televisione la “squadra” di Altrimondiali ha fatto armi e bagagli e con un pulmino e un pallone ha girato il continente. Luca Marchina ci racconta quest’esperienza. (N.S.)

C’è un’altra squadra vincente in questo mondiale oltre alla Spagna: è la squadra del matatu di Altrimondiali, la campagna lanciata in occasione dei Mondiali di calcio sudafricani dall’associazione Altropallone, in collaborazione con CoLomba, la rete delle Ong lombarde, e con Karibu Afrika, partner italo – kenyano dell’iniziativa. L’equipaggio, formato da tre guidatori italiani, due esperti sportivi e un video-reporter keniani, è partito il primo giugno da Nairobi dopo il torneo d’apertura tenutosi nella baraccopoli di Mathare. Il mezzo di trasporto scelto è il “matatu”, tipico pulmino di marca giapponese, principale mezzo pubblico in tutte le città d’Africa, in grado di caricare fino al triplo dei passeggeri consentito e di affrontare sia le affollatissime vie del centro che le sgangherate strade delle periferie.

Lungo la strada sono stati organizzati partitelle e tornei di calcio. L’utilizzo del calcio, con il suo linguaggio universale, si è rivelato uno strumento di inclusione e aggregazione davvero efficace. Alcuni tornei erano stati organizzati per tempo e grazie al supporto di Ong lombarde, altre attività sportive invece sono nate in maniera spontanea lanciando semplicemente un pallone. Grazie al contributo di Guna Spa e Coop Lombardia ad ogni tappa il matatu ha potuto aprire il baule, per tirare fuori palloni, pettorine e porte pieghevoli.

In Tanzania abbiamo giocato con i pastori masai, con gli albini e con i disabili. “Dopo aver visto giocare a calcio persone con solo una gamba, ora credo che la disabilità non è inabilità” conferma Hillary, allenatore di calcio di strada. In Malawi il matatu si è aggregato a un gruppo di bambini che stavano giocando a calcio con un pallone auto-costruito fatto con borsine di plastica e spago. Alla fine della partita quando abbiamo regalato loro il pallone i bambini sono scappati di corsa per andare con orgoglio a mostrarlo a tutti. In Zambia ci si è ritrovati a giocare ben oltre il tramonto con centinaia di bambini. In Zimbabwe abbiamo incontrato un calcio più organizzato e di squadra.

In Mozambico abbiamo avuto l’esperienza più forte: dopo esserci fermati presso una scuola (una serie di banchi artigianali posizionati sotto un immenso baobab) Emiliano calcia il pallone all’interno del piazzale e la maggior parte dei bambini scappa non appena il pallone rimbalza. Proviamo a gesti a radunare i bambini e diamo il via alla partita in un imbarazzo generale. I ragazzi non sanno come si batte il calcio d’inizio e appena battuto nessuno si muove, la palla rotola fuori dal campo. Dominic prova a spiegare a gesti alcune regole, due ragazzi più grandi ci aiutano e riusciamo pian piano a far correre i bambini. La palla viene inizialmente presa di più con le mani che non con i piedi, il primo gol arriva solo dopo 20 minuti di gioco. Alla fine della partita il maestro (unico per questa scuola) ci dice che i ragazzi non avevano mai visto un pallone da calcio e la maggior parte di loro non aveva mai giocato. I mondiali qui li seguono per radio. Passiamo quindi per lo Swaziland ed entriamo in Sudafrica: lo specchio dell’Africa che si può riassumere nella parola “contraddizione”. Francesco lo descrive così: “Grandi colline e foreste di quartieri residenziali molto ben tenuti e curati. Fuori, lontani, non considerati dalle strade principali ci sono le case e la terra di chi fatica a sopravvivere. Lo spettacolo è triste, ma nascosto. La maggioranza è composta da persone che vivono in condizioni disastrate, ma non si vedono. Non salgono sul palcoscenico in prima fila davanti al pubblico ma da dietro in maniera invisibile sorreggono le scenografie di uno spettacolo consumista sulla gioia di vivere”. Passando per Cape Town in un clima invernale il matatu è quindi arrivato a Johannesburg l’11 luglio, giorno della finale della Coppa del Mondo, dopo aver percorso circa 9000 Km.

Con il diario di viaggio, le fotografie e i video realizzati on the road e pubblicati sul sito di Altrimondiali, i ragazzi del Matatu hanno fatto conoscere a tutti il vero vincitore di questi mondiali: l’Africa che scende in campo tutti i giorni contro i pregiudizi; quell’Africa che gioca le sue partite fino al 90° minuto.

Ma gli “Altrimondiali” si sono giocati anche in Italia, grazie ai tornei di calcio multietnici, feste e incontri culturali organizzati a Milano, Lumezzane, Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni, Firenze.

A differenza dei Mondiali della Fifa, la sfida degli Altrimondiali non si è chiusa con la finale dell’11 luglio: il viaggio del Matatu diventerà un film-documentario, e sarà presentato ai festival del cinema italiani. Inoltre, poiché di restare in garage il Matatu non ne vuole proprio sapere, già si prepara la prossima sfida: non solo Brasile 2014 ma anche Polonia e Ucraina nel 2012 con gli Altrieuropei, per dimostrare come il calcio possa essere strumento di coesione sociale e integrazione anche nelle metropoli europee.

Luca Marchina

IERI & OGGI: E COREA ENTRO’ NEL DEVOTO-OLI

Il 19 luglio 1966, la Corea del Nord elimina l’Italia dalla Coppa del Mondo inglese. Riviviamo la disfatta per antonomasia del calcio italiano.

La rete di Pak Doo IkIl fantasma è stato evocato dopo le reti di Vittek che hanno causato l’ingloriosa uscita della nazionale di Lippi dal mondiale sudafricano e ancora oggi, 44 anni dopo, rappresenta la disfatta per antonomasia al punto che negli anni successivi al fatto il termine Corea entrò addirittura nel Devoto-Oli come neologismo.

Siamo nel 1966, i Campionati Mondiali si svolgono in Inghilterra e l’Italia dopo essere uscita dai Mondiali cileni tra cazzotti e indegne gazzarre con i padroni di casa si presenta sull’onda dell’entusiasmo per una serie di risultati positivi nelle ultime partite. Da quattro anni siede sulla panchina azzurra Edmondo Fabbri, detto Mondino, che cerca di fare coesistere in azzurro i due blocchi che nel calcio nazionale si stanno contrapponendo: da una parte gli interpreti della grande Inter di Helenio Herrera, dall’altra la scuola del Bologna che nel 1964 si è aggiudicato lo scudetto allo spareggio al quale si era aggiunto Gianni Rivera, il golden boy. E il cuore di Mondino pende spesso verso la via Emilia.

Nel percorso di qualificazione, l’Italia travolge in casa la Scozia di Bremner (3-0), la Polonia di Lubanski (6-1) e la Finlandia (6-1); nelle amichevoli premondiali fioccano le vittorie e i goal (6-1 alla Bulgaria, 3-0 all’Argentina, 5-0 al Messico): si arriva in Inghilterra sulle ali dell’entusiasmo. Il girone preliminare presenta Cile, Unione Sovietica e Corea del Nord. Gli azzurri vincono, giocando male con il Cile; perdono contro l’Unione Sovietica di Yashin per 1-0 e Giacomo Bulgarelli, cuore del gioco della squadra di Fabbri, accusa un malanno al ginocchio. Mentre l’ambiente si spacca sempre più per le scelte di Fabbri che sembra privilegiare il blocco del Bologna si arriva all’incontro decisivo contro la Corea del Nord dove un pareggio qualificherebbe l’Italia per i quarti di finale.

I bookmakers quotano le chance di vittoria degli asiatici 500 a 1, Ferruccio Valcareggi, secondo di Fabbri e futuro ct della Nazionale, definisce i coreani “una squadra di Ridolini che sa solamente correre”, Gianni Brera annuncia che in caso di sconfitta smetterà di scrivere di calcio. Alle 20.30 del 19 luglio 1966, nello stadio di Middlesbrough all’annuncio delle formazioni inizia a compiersi il destino dell’Italia di Fabbri.

Il tecnico emiliano decide di rischiare Bulgarelli, sofferente al ginocchio, preannunciando tre reti nel primo quarto d’ora e una passeggiata di salute; rinuncia ad Armando Picchi in difesa preferendogli il bolognese Janich. Albertosi – Landini – Facchetti – Guarneri – Janich – Fogli – Perani – Bulgarelli – Mazzola – Rivera –  Barison. E’ la formazione che scende in campo e nella prima mezz’ora riesce anche a procurarsi quattro-cinque palle goal e a sciupare. Al 35′ Bulgarelli si infortuna definitivamente ed è costretto ad uscire dal campo e, ai tempi non erano previste sostituzioni, l’Italia è costretta a giocare in 10. I ridolini coreani ci sovrastano nella corsa e persino nel gioco aereo.

Al 42′ Pak Doo Ik, caporale maggiore dell’esercito nordcoreano passato alla storia del giornalismo nostrano come improbabile dentista, ruba palla a centrocampo a Rivera e fila verso l’area e supera Albertosi con un diagonale dal limite. L’Italia crolla e non riesce a reagire ed esce tra le polemiche dal Mondiale. Ad attendere Fabbri e gli azzurri allo sbarco sono i pomodori marci e le solite chiacchere a base di complotti, vendette, accuse.

Non va meglio ai nordcoreani che festeggiano in modo troppo “borghese” la vittoria e dopo aver messo paura al Portogallo di Eusebio che deve recuperare uno svantaggio di tre reti in un’ora di gioco al ritorno a casa vengono spediti nei gulag da Kim Il Sung in persona.

Massimo Brignolo