UNA SETTIMANA DA GREGARI

Potremmo parlare dei big che latitano, si controllano, si marcano a uomo, si annullano a vicenda. Potremmo parlare di T-Blanc Voeckler, che ripete i fasti in giallo del 2004, con la differenza che, in Tour anarchico come quello di quest’anno, la sua leadership prosegue ben oltre le più rosee previsioni. Oppure potremmo parlare ancora di Thor Hushovd, che onora al meglio la maglia di campione del mondo con un’impresa eccezionale, per un passista veloce come lui, nella tappa dell’Aubisque. E invece, in attesa che le Alpi e la cronometro finale sanciscano l’esito di questa corsa senza padroni, parliamo di tre corridori tra i tanti, tre gregari, tre uomini di fatica, che in queste giornate pirenaiche hanno sputato l’anima per i propri capitani.

In primis, Sylvester Szmyd: polacco di nascita ma italiano d’adozione, al servizio di Frigo, Pantani e Cunego nelle prime stagioni della carriera, è ora il fidato uomo di Ivan Basso per le salite, l’unico Liquigas in grado di scortare il capitano sulle ascese più impegnative. Gatto Silvestro, la tappa del Mont Ventoux al Delfinato 2009 come unica gioia personale, viene da una stagione difficile, costellata da difficoltà fisiche: ma a Luz Ardiden, primo arrivo tosto di questo Tour, si è messo in testa e ha battuto il ritmo per chilometri e chilometri, alla velocità comandata da Basso, mettendo in fila tutti i rivali del varesino. Un lavoro durissimo, forse ben oltre le attuali possibilità fisiche del polacco, che infatti nel successivo tappone pirenaico ha pagato dazio, ma che ha confermato come un gregario sappia sacrificarsi per il proprio capitano anche quando non è al top della condizione.

Poi Stuart O’Grady, non uno qualunque: espertissimo australiano, quattro medaglie olimpiche su pista, una Parigi-Roubaix e due tappe al Tour in passato, corre per la Leopard-Trek dei fratelli Schleck. Il suo capolavoro, poi mal concretizzato dai lussemburghesi, nella frazione di Plateau de Beille: tra un colle e l’altro, lui che certo scalatore non è, ha di fatto annullato la maxifuga di una ventina di atleti, ricompattando il gruppo prima della salita finale. 38 anni da compiere ad agosto, è un vero esempio di professionalità per ogni corridore, visto che, nonostante i fasti del suo glorioso passato, nelle ultime stagioni non ha avuto problemi a mettere la sua esperienza al servizio dei più giovani e pimpanti capitani.

E infine Pierre Rolland, forse il meno noto dei tre: 25enne di Orléans, grande promessa tra i grimpeur (settore dove i francesi cercano ancora l’erede di Richard Virenque), è sostanzialmente il coautore del miracolo giallo di Voeckler. Quando la strada sale, e le squadre dei migliori dormono in seconda fila, il giovane transalpino si porta in testa a scandire quel ritmo regolare ma non certo infernale che tanto fa bene al suo capitano; quando invece gli uomini Leopard e Liquigas prendono in mano la corsa, si affianca all’alsaziano e lo porta letteralmente in cima all’asperità, facendogli da apripista, recuperandogli le borracce e incitandolo continuamente. Finora è andato tutto bene: T-Blanc veste sempre la maglia di leader, e al termine dei due tapponi pirenaici, conclusi rigorosamente al fianco del fidato gregario, si è sempre sciolto in abbracci commoventi con Rolland. Forse è questa la scena più bella di un Tour che finora ha regalato tante cadute e poche emozioni: un abbraccio sincero e onesto che suggella l’impresa in divenire di Voeckler.