PALLANUOTO: DERBY BALCANICO IN SEMIFINALE

Nuovo capitolo della saga dei Balcani: Croazia-Serbia è l’altra semifinale degli Europei di Zagabria.

Se è vero, come dicevano i nostri antenati latini, che historia magistra vitae, l’auspicio è che dalle parti di Zagabria abbiano appreso la lezione fornita dal recente passato e che non ci facciano assistere ad uno spettacolo indecoroso come quello di sette anni fa a Kranj, che tutto fece alla pallanuoto fuorché bella pubblicità. Per l’ennesima volta le strade di Croazia e Serbia si incrociano. E per questo derby balcanico vale lo stesso parallelismo fatto per l’altra semifinale, quella tra Ungheria e Italia: le due squadre si affrontarono nell’anticamera della finalissima a Budapest, nel 2001. La Serbia si chiamava ancora Jugoslavia, anche se di quella realtà territoriale rimaneva ormai il nome. E vinse, battendo gli azzurri nell’atto supremo.

La notizia, dunque, è che il Montenegro non potrà difendere lo storico titolo conquistato due anni fa a Málaga. Vi è di più: non potrà concorrere neppure per una medaglia. Gli squali rossi di Petar Porobić escono di scena per mano dei “cugini” serbi – gli stessi che sconfissero nella finalissima agli Europei in Andalusia – al termine di una partita a dir poco tirata, povera di gol (undici) così come Italia-Germania. Inevitabile che la sfida si giocasse sul filo del rasoio, senza che una delle due contendenti prevalesse nettamente nei confronti dell’altra: il Montenegro conduce sempre e la Serbia lo riacciuffa prontamente, fino a compiere il sorpasso decisivo nel quarto tempo. Inutile assalto del Montenegro nei secondi finali: Soro salva su Vukčević, poi sulla ribattuta Ivović fallisce miseramente. Su questa impresa si legge, nitida, la firma di Vanja Udovičić: il capitano mette a segno quattro delle sei reti serbe. Serbi che portano a compimento la vendetta nei confronti del “traditore” Šefik, il portiere protagonista di mille battaglie che proprio quest’anno ha scelto la nazionalità montenegrina. E adesso sotto con un altro derby, quello (infinito) contro la Croazia. Nella finale degli Europei di Kranj sappiamo tutti come finì: lancio di oggetti in acqua, scontri tra tifosi, incidenti a Belgrado e Novi Sad e pure un incidente diplomatico tra i due paesi. Una situazione favorita anche dallo scarso numero di forze dell’ordine, insufficiente per far fronte all’afflusso delle due tifoserie. Sette anni fa si giocava in campo neutro, questa volta è la Croazia a godere del sostegno del pubblico di casa. Un motivo in più per non sottovalutare il problema dell’ordine pubblico.

Si sono giocate anche i quarti di finale valevoli per i piazzamenti dal settimo al dodicesimo posto: se era stata preventivata la vittoria della Spagna ai danni di una Russia mai caduta così in basso (e la serie negativa prosegue dopo essere arrivata nona a Belgrado e decima a Málaga), non altrettanto si può dire del 9-6 inflitto dalla Turchia alla Macedonia. Per la nazionale guidata da Sinan Turunc è una vittoria a suo modo storica: nel peggiore dei casi i turchi chiudererebbero al decimo posto, mai si erano spinti così in alto. Vittoria limpida quella con i balcanici, mai capaci di cogliere il pareggio, anche momentaneo: gli eroi di giornata, è il caso di dirlo, sono Oytun Okman (tripletta), Alican Çağatay e Yiğithan Hantal (doppiette).

EUROPEI DI PALLANUOTO 2010

RISULTATI TORNEO MASCHILE

QUARTI DI FINALE 7°-12° POSTO

Spagna-Russia 9-6

Turchia-Macedonia 9-6

QUARTI DI FINALE 1°-6° POSTO

Italia-Germania 6-2

Montenegro-Serbia 5-6

PROGRAMMA SEMIFINALI

Serbia-Croazia

Italia-Ungheria

OGGI IN ACQUA – TORNEO FEMMINILE

ore 15.30  Ungheria-Spagna (finale 5°-6° posto)

ore 17.30  Italia-Grecia (semifinale)

ore 19.30  Russia-Olanda (semifinale)

Simone Pierotti

PALLANUOTO: ITALIA KO, CROAZIA IN SEMIFINALE

Il Settebello incappa nella prima sconfitta (8-5) agli Europei di Zagabria: va ai quarti, dove affronterà la Germania.

Peccato. Proprio sul più bello, proprio al crocevia tra quarti e semifinali, il Settebello conosce per la prima volta l’amaro sapore della sconfitta agli Europei di Zagabria. Sconfitta che arriva al cospetto della Croazia padrona di casa, supportata da un esercito di 5mila tifosi, che ci aggancia al primo posto in classifica ma, in virtù della vittoria nello scontro diretto, si qualifica direttamente in semifinale al posto degli azzurri. Che, invece, la semifinale dovranno guadagnarsela superando lo scoglio della Germania. Ma la battuta d’arresto subita per mano dei croati non può e non deve inficiare quanto di buono fatto dal Settebello che anche questa sera ha dimostrato di potersela giocare ad armi pari con chiunque.

Il pubblico del Mladost Sports Center carica i suoi beniamini e fischia gli azzurri quando sono in possesso palla. Ma, almeno nelle battute iniziali, il Settebello pare non sentirci da quell’orecchio. Perché Felugo sblocca il risultato dopo due minuti con una deliziosa palombella che Pavić non può proprio fermare. L’Italia, tuttavia, festeggia per pochissimo tempo: in superiorità numerica i croati pareggiano con la stella Bošković – con il mancino Joković che attira su di sé la difesa per poi cedere palla al compagno – e poi passano in vantaggio con una prodezza del ventenne Sandro Sukno,  in gol proprio sotto gli occhi di papà Goran. E, a poco più di due minuti dal termine, il destro di Muslim ci castiga ancora, portando la Croazia al massimo vantaggio. L’Italia spreca nella stessa azione, in superiorità numerica, due occasioni con Figlioli e Luongo: il giovane ex Sori, comunque, si fa perdonare in men che non si dica con un gran diagonale. Il Settebello, insomma, c’è. Va ancor meglio nel secondo parziale: è vero che gli azzurri fanno una fatica immane a schierarsi in attacco e a rendersi pericolosi, ma la difesa esegue alla perfezione il proprio compito, sbarrando i varchi ai cecchini croati. Per i rispettivi centroboa è una notte da vacche magre: Dobud e Hinić si vedono puntualmente soffiare sotto il naso i palloni che i compagni recapitano a loro, Aicardi e Deserti soccombono davanti alla fisicità di Burić e Buslje e al lassismo dei due arbitri. Menomale che Gallo guadagna fallo dai cinque metri e scarica sotto la traversa, cogliendo di sorpresa un disattento Pavić. Sull’altra sponda, però, pare essersi risvegliato il talento di Sandro Sukno che va ancora a segno in superiorità numerica: il genietto dello Jug Dubrovnik è un giocatore troppo pericoloso per essere lasciato così solo e in condizione di fare tutte quelle finte. Ma l’Italia riesce ancora a pareggiare: la controfuga sprecata da Burić, con miracolo prodigioso di Tempesti, si trasforma in un rovesciamento di fronte che Presciutti non spreca siglando il 4-4.

Quanto di buono fatto vedere dal Settebello finora, però, svanisce come per sortilegio nella terza frazione: Joković finta la conclusione e serve Dobud che, sul dorso, infila in rete con un tocco leggero ma efficace, favorito da una disattenzione della difesa italiana. Felugo dalla lunga distanza – gran gol il suo – tiene a galla il Settebello. Che successivamente inizia ad affondare: Joković infila Tempesti proprio nell’angolo che il custode recchelino non riesce a coprire e poi Sukno conferma di essere in serata di grazia siglando il suo terzo gol in altrettante situazioni di superiorità numerica. Mancano tre minuti alla fine del parziale: mentre la Croazia in attacco ci punisce appena ne ha l’opportunità, in difesa fa valere centimetri e kilogrammi in più tenendoci a debita distanza dalla porta di Pavić, che si fa sempre più piccola. La coppia arbitrale ci rimette in carreggiata: l’israeliano Levin dice che Buljubasić deve accomodarsi nel pozzetto, il collega turco Tulga indica invece l’8 di Buslje. Morale della favola: i giocatori croati non capiscono chi debba scontare i venti secondi di penalità e Tulga assegna un rigore all’Italia. Dai cinque metri Figlioli conferma che la sua mano destra non è in vena di prodezze e spara addosso a Pavić che poi salva su un autentico rigore in movimento di Aicardi, con la Croazia costretta a difendere con ben due uomini in meno. Tempesti fa altrettanto su Dobud, ma poi si arrende al micidiale tiro a schizzo scagliato da Muslim nell’ultimo minuto. Nel quarto parziale non succede nulla: l’Italia si conferma ermetica in difesa, specialmente a uomini pari, e per contro assolutamente innocua in attacco (1/7 il dato finale delle superiorità numeriche). Per la prima volta dopo quattro vittorie – e che vittorie! – ci può anche stare. C’è tutto il tempo di preparare il delicato quarto di finale contro la Germania, squadra solida ma decisamente meno pericolosa della Serbia, l’altra nazionale del girone B costretta a passare dai quarti. Per dirla con le belle parole di Joe Biden, vicepresidente USA, “non importa quante volte cadi, quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi”.

Domenica 5 settembre 2010

ITALIA-CROAZIA 5-8 (2-3, 2-1, 1-4, 0-0)

Mladost Sports Center, Zagabria

ITALIA: Tempesti, Gallo 1, Felugo 2, Gitto, Figlioli, Presciutti 1, Aicardi; Pastorino, Luongo 1, Bertoli, Giacoppo, Fiorentini, Deserti. All. Campagna.

CROAZIA: Pavić, Joković 1, Bošković 1, Burić, Barač, Sukno 3, Dobud 1; Muslim 2, Karač, Buslje, Hinić, Obradović, Buljubasić. All. Rudić.

ARBITRI: Tulga (Turchia) e Levin (Israele).

NOTE: superiorità numeriche Italia 1/7, Croazia 4/8. Uscito per limite di falli Buslje (C) a 5’24” del terzo tempo. Pavić (C) para un rigore a Figlioli a 5’24” del terzo tempo. Spettatori 5mila.

Simone Pierotti

LA PRIMA GUERRA DELLA PALLANUOTO

Gli innumerevoli conflitti nei Balcani vissuti attraverso uno degli sport più popolari della regione: la pallanuoto.

Quando, nel 1926, si svolsero a Budapest i primi campionati europei riservati agli sport acquatici, la Jugoslavia era un’unica entità nazionale: all’epoca si chiamava Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni ed inglobava anche gli attuali territori di Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia e Montenegro. Di lì a tre anni sarebbe diventato, più semplicemente, Regno di Jugoslavia. La prima medaglia della nazionale di pallanuoto, tuttavia, arriva solamente nel 1950 ed è un bronzo: nel frattempo è nuovamente cambiata la situazione sul piano geopolitico. Pochi mesi dopo la conclusione della seconda Guerra Mondiale, infatti, era stata proclamata la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, anche se la transizione dalla monarchia alla nuova forma di governo era già avvenuta negli anni precedenti.

Una volta conquistato il bronzo a Vienna – strano scherzo del destino, giacché parte dei territori jugoslavi erano stati, un tempo, sotto il dominio dell’impero austro-ungarico -, la nazionale di pallanuoto siede fin da subito al tavolo delle grandi del Vecchio Continente: il settebello slavo salirà sul podio per ben otto edizioni consecutive, portando a casa quattro medaglie d’argento. Quasi sempre la squadra deve cedere il passo alle altre due potenze pallanotistiche d’Oltrecortina, Ungheria ed Unione Sovietica, ma si vede che manca poco per compiere il salto definitivo.

I primi successi. Negli anni Ottanta, quando iniziano i primi fermenti nazionalisti in seguito alla morte del maresciallo Tito, la Jugoslavia raggiunge finalmente l’apice sotto la guida del santone Ratko Rudić (nella foto a destra): ben due ori olimpici (1984 e 1988, entrambi conquistati ai danni degli Stati Uniti) ed il primo trionfo mondiale, nel 1986 a Madrid con una vittoria all’ultimo secondo sull’Italia. Ed è proprio sulla panchina del Settebello che andrà Rudić, lasciando spazio a Nikola Stamenić. Il nuovo allenatore si guadagna subito la stima dei vertici federali, vincendo nel gennaio 1991 i Mondiali a Perth: in finale la Jugoslavia supera di misura (9-8) la nascente Spagna dei vari Estiarte, Rollán e Sans. La forza della nazionale si basa tutta su due blocchi, quello serbo e quello croato, con il montenegrino Mirko Vičević, protagonista in Italia con la calottina del Savona, come unica eccezione.

Ma, proprio quando sembra che la nazionale balcanica non abbia avversari in grado di contrastarla, ecco piovere dal cielo una nuova tegola: la vittoria, avvenuta l’anno precedente, dei partiti anticomunisti di Jože Pučnik in Slovenia e, soprattutto, di Franjo Tuđman in Croazia. Iniziano le prime rivendicazioni di indipendenza, la situazione precipita e nell’estate del 1991 le autorità sportive croata e slovena proibiscono ai loro atleti di partecipare alle varie competizioni con la selezione jugoslava. Di lì a pochi giorni si aprono gli Europei ad Atene e la squadra di Stamenić, fresca vincitrice del Mondiale, deve rinunciare a cinque pezzi pregiati come Mislav Bezmalinović, Perica Bukić (oggi presidente della federpallanuoto croata), Ranko Posinković, Dubravko Šimenc e persino Ante Vasović, padre serbo e madre croata, appiedato dal suo club, lo Jadran Spalato. I sostituti, comunque, si rivelano all’altezza della situazione e la Jugoslavia sale per la prima volta sul tetto d’Europa: pochi mesi dopo Perth, in finale è nuovamente duello con la Spagna, battuta ancora una volta sul filo di lana (11-10). Croazia e Slovenia si separano. È, comunque, il canto del cigno della nazionale della Jugoslavia unita, giacché l’anno successivo nessuna delle selezioni balcaniche figurerà tra le partecipanti ai Giochi olimpici di Barcellona dove, peraltro, arrivano in finale due allenatori croati: da una parte Ratko Rudić sulla panchina dell’Italia, dall’altra Dragan Matutinović su quella della Spagna. Nel frattempo scoppia la guerra nei Balcani e Bosnia, Croazia, Macedonia e Slovenia ottengono l’agognata indipendenza: la vecchia Jugoslavia di Tito si sgretola, dalla bandiera viene rimossa la celebre stella rossa e a rappresentare la vecchia repubblica federale restano solo Serbia, Montenegro e Kosovo. La nuova nazionale, che rimane sotto la guida di Stamenić, soffre il definitivo addio della componente croata ed impiega qualche anno per rimettere al proprio posto i suoi pezzi: nel 1997, agli Europei di Siviglia, deve accontentarsi dell’argento e l’anno successivo finisce terza ai Mondiali di Perth. Inizia il nuovo millennio e, a dieci anni esatti dal primo trionfo continentale, la Jugoslavia torna nuovamente a dettar legge: chiusa la lunga era di Stamenić, è Nenad Manojlović il nuovo selezionatore. A Budapest serbi e montenegrini battono in finale l’Italia del nuovo corso di Sandro Campagna, che ha preso il posto di Rudic: l’argento in terra magiara rimane, tuttora, l’ultimo podio del Settebello agli Europei.

La battaglia di Kranj. Sebbene gli anni Novanta siano stati quelli che hanno deciso in via definitiva le sorti dei Balcani, è nella successiva decade che sport e politica incrociano maggiormente le loro strade. Lo scenario “perfetto” è quello disegnato dagli Europei del 2003: si gioca a Kranj, in Slovenia, ed in finale arrivano la Croazia e la neonata Serbia-Montenegro (che però sulle calottine riporta ancora la sigla YUG). In acqua ed in tribuna non mancano le scintille: una finale è pur sempre una finale e si affrontano due paesi separati un tempo da un odio reciproco. Alcuni tifosi croati forzano gli ingressi ed entrano senza pagare regolarmente il biglietto La Croazia conduce per lungo tempo l’incontro e arriva fino al 7-4, ma dall’altra parte c’è un avversario indomito che riesce a prolungare la sfida ai tempi supplementari, intervallati dalle medicazioni all’arbitro slovacco Kratovchil, colpito alla testa da un bullone: nella prima delle due proroghe il serbo Šapić segna il gol del definitivo 9-8. Sugli spalti si scatena l’inferno, complice un servizio di sicurezza inadeguato per la circostanza (appena quaranta gli agenti impiegati per controllare quasi tremila persone): gli uligani croati, molti dei quali ubriachi, sradicano i seggiolini e li lanciano con veemenza in acqua e verso le panchine. Un altro gruppo si avvicina alla zona delle tv e danneggia impianti e materiali, interrompendo per alcuni minuti il collegamento Rai. A rinfocolare gli animi ci pensano persino le autorità, con i ministri serbi Boris Tadić e Goran Svilanović che si danno alla pazza gioia: quest’ultimo addirittura si tuffa in acqua per festeggiare la squadra. Non è tutto: a Belgrado i tifosi scendono in strada per festeggiare ma, una volta viste le immagini in tv, si dirigono all’ambasciata croata. Vetri infranti, muri imbrattati, la bandiera a scacchi bianchi e rossi bruciata e sostituita con il tricolore serbo-montenegrino. Analoga situazione a Novi Sad, dove la folla inneggia addirittura ai criminali di guerra Mladić e Karadžić. Scoppia il caso diplomatico: Milan Simurdić, ambasciatore serbo in Croazia, viene convocato d’urgenza dal governo di Zagabria mentre il ministro degli Esteri Tonino Picula annulla una visita in Montenegro.

Dall’ex Jugoslavia alla Serbia. Passano tre anni: gli Europei si svolgono ancora nei Balcani, a Belgrado. Vince la Serbia padrona di casa, orfana però dei giocatori montenegrini: pochi mesi prima (21 maggio) un referendum aveva infatti sancito l’indipendenza del Montenegro, comunque riconosciuta dal governo serbo. Tuttavia, prima della scissione, sotto la bandiera delle due nazioni ancora unite la squadra aveva vinto la sua seconda World League, torneo che solitamente serve come banco di prova in vista degli eventi più importanti. E così la nazionale serba, ora allenata da Dejan Udovičić, passa alla storia per aver vinto quattro volte il titolo europeo con altrettante, diverse denominazioni. L’ultimo episodio degli intrecci tra sport e politica nei Balcani risale all’estate 2008, alla vigilia dei Giochi olimpici di Pechino: a Málaga arrivano in finale proprio Serbia e Montenegro, con vittoria, neanche poi sorprendente, di questi ultimi. La saga si è recentemente arricchita di un nuovo capitolo: a Zagabria indosserà la calottina montenegrina l’esperto portiere Denis Šefik, fino al 2008 in forza alla nazionale serba. La sua ultima apparizione risale ai Giochi di Pechino: qui si rese protagonista di un acceso diverbio (poi degenerato in rissa) all’interno del villaggio olimpico con Aleksandar Šapić, che accusò Šefik di essere stato corrotto proprio dai montenegrini in occasione della finale di Málaga. Le due nazionali non figurano nello stesso girone, ma chissà che il destino non decida di porle nuovamente una di fronte all’altra come nella recente finale di World League e, chissà, regalare altre storie da raccontare.

(Articolo pubblicato sul Numero 1 di Pianeta Sport)

PALLANUOTO: LA SERBIA TRIONFA ANCHE IN COPPA FINA E GUARDA A ZAGABRIA

A un mese dagli Europei di Zagabria la Serbia fa piazza pulita di World League e Coppa FINA

A due settimane dalla vittoria in World League la Serbia si aggiudica anche la Coppa FINA, battendo 13-7 in quella che potrebbe essere la finale degli Europei che si terranno a Zagabria tra meno di un mese. La formazione serba si è rifatta della sconfitta patita dai croati durante la fase preliminare soprattutto grazie all’ottima partenza nella prima frazione di gioco: sono Živko Gocić e Vanja Udovičić, con due reti a testa, a fissare il primo parziale sul 4-0 per la Serbia. Partita chiusa, visto che la squadra allenata da Ratko Rudić non riesce più ad avvicinarsi ai propri avversari, che amministrano tranquillamente il match: il passivo minimo è il -3 con cui si chiude la seconda frazione e la nervosa e poco concentrata Croazia perde per espulsioni definitive Burić, Dobud e Bušlje nel corso della terza frazione di gioco. Migliori marcatori del match i serbi Gocić e Udovičić, oltre a Filip Filipović e al croato Sandro Sukno, tutti a segno tre volte.

1 agosto 2010
CROAZIA – SERBIA 7-13
(0-4; 3-2; 3-5; 1-2)
Oradea (ROU)

CROAZIA: Brica, Burić, Bošković, Dobud, Joković, Karač 1, Muslim, Bušlje 2, Sukno 3 (1 rig), Barač 1, Hinić, Buljubašić, Pavić.

SERBIA: Soro, Avramović, Gocić 3, V.Udovičić 3, Vapenski, D.Pijetlović 2, Nikić, Aleksić, Miličić, Filipović 3, Prlainović, Mitrović 2, G.Pjetlović.

ARBITRI: Goldenberg (USA) e Koganov (Aze)

NOTE: superiorità numeriche Croazia 5/14 + 1 rig Serbia 7/12. Espulsioni definitive prima del terzo fallo per Burić e Dobud (CRO) nel III° periodo. Espulsioni definitive per limite di falli per Bušlje (CRO) nel III° periodo e per Prlainović (SRB) nel IV° periodo.

Nella finale di consolazione la Spagna ha sconfitto gli Stati Uniti per ottenere il terzo piazzamento in classifica: un 12-8 che ha visto la Spagna trovare il vantaggio dopo un minuto e venti secondi e mantenerlo fino alla fine, grazie alle quattro reti di Xavier García, capocannoniere del torneo, e alla tripletta di Albert Español. La Romania invece si è piazzata al quinto posto battendo l’Australia in una finale che valeva anche un posto per i Mondiali di Shangai dell’anno prossimo. Dopo un primo quarto in parità, i rumeni hanno iniziato ad allungare a metà del secondo periodo anche grazie ai tre rigori concessi dagli australiani. Mattatore della giornata Andrei Iosep, mancino del Latina a segno tre volte, due delle quali su rigore, mentre per gli australiani ha segnato tre reti Sam McGregor, anche lui marcando un rigore nell’ultimo minuto di gioco. Infine, l’Iran non è riuscito ad arginare neanche la Cina ed è uscito sconfitto 20-5 nella finale per il settimo posto. I cinesi hanno marcato quattro reti con Guo, mentre Wang Yang e Han hanno messo a segno una tripletta ciascuno.

Damiano Benzoni

STATI UNITI E SERBIA SBARRANO LA STRADA A ROMANIA E AUSTRALIA

Stati Uniti, Croazia e Spagna si qualificano ai Mondiali insieme alla Serbia, mentre Romania e Australia restano in lotta per un altro slot.

Fuori la Romania e l’Australia, dentro Serbia e Stati Uniti: questo il verdetto dei quarti di finale della Coppa FINA che hanno definito la composizione del tabellone alto e del tabellone basso del torneo. Restano quindi Stati Uniti, Croazia, Serbia e Spagna in lotta per il titolo e qualificate ai Mondiali di Shangai del prossimo anno. Nel tabellone basso invece occhi puntati su Australia e Romania che, con ogni probabilità, si scontreranno in una finale per il quinto posto con più argomenti del tabellone alto, visto che definirà quale tra le due squadre staccherà un pass per Shangai.

Nessun problema per Croazia e Spagna, impegnate rispettivamente contro l’Iran e la Cina. L’Iran per la quarta volta consecutiva affonda sotto oltre venti reti (sono 101 quelle subite finora dai persiani durante il torneo) e sotto i parziali di 6-0 e 8-1 dei primi due quarti. Per la nazionale di Rudić in meta quattro volte Bošković e il solito Sukno. La Spagna chiude la prima frazione di gioco in svantaggio per 2-1 contro i cinesi, per poi piazzare un allungo di 5-1 nel secondo quarto e amministrare senza problemi il match fino all’11-5 finale.

Più equilibrati gli altri due quarti di finale: la Serbia allunga nel secondo quarto e mantiene l’Australia costantemente a distanza di sicurezza, portandosi perfino a +5. In evidenza di nuovo Udovičić, protagonista dell’allungo decisivo, e Aleksić, autore di tre reti. Gli Stati Uniti faticano molto di più contro una Romania tenace, che riesce a imporre il pareggio a fine del terzo quarto. Solo nell’ultima frazione di gioco gli Stati Uniti si impongono nettamente, con un parziale di 5-3, e portano a casa una partita segnata dalle individualità dei rumeni Negrean e Iosep (4 reti a testa) e degli statunitensi Bailey (4 reti), Azevedo e Hutten (3 reti a testa).

QUARTI DI FINALE
Australia – Serbia 9-12
Romania – Stati Uniti 12-14
Spagna – Cina 11-5
Iran – Croazia 2-23

OGGI IN VASCA
Semifinali 5-8 posto

15:30 Australia – Cina
17:00 Romania – Iran

Semifinali 1-4 posto
18:30 Stati Uniti – Croazia
20:00 Serbia – Spagna

Damiano Benzoni