IL SETTEROSA SI BEVE UN CUBA

Esordio facile facile per la nazionale femminile contro le caraibiche (12-4) ai Mondiali di Shanghai.

L’Italia della pallanuoto (femminile) debutta ai Mondiali di Shanghai con una vittoria piuttosto eloquente (12-4), ma questo fa relativamente notizia, specie se l’avversario si chiama Cuba. L’Italia della pallanuoto (femminile) inizia con una prova di carattere, dimostrando grande concentrazione piuttosto che doti tecniche fuori dal comune: eccolo, il dato significativo di questa prima partita. Il Setterosa di Fabio Conti non si cura sugli allori e nell’esordio ai Mondiali di nuoto in Cina batte con autorevolezza le malcapitate caraibiche.

Inutile spendere fiumi d’inchiostro – o meglio, inutile consumare la tastiera… – su una partita che mai ha avuto una trama: si può giusto evidenziare il dato positivo delle azzurre in inferiorità numerica (solo un gol concesso, su quattro occasioni, alle cubane), si può celebrare la loro bravura nel non sottovalutare un avversario comunque innocuo. E si può evidenziare la buona prova delle sei debuttanti portate in Estremo Oriente da Conti: se il ct romano, a fine gara, spende buone parole per la 18enne Francesca Pomeri, l’attaccante Martina Savioli ha addirittura bagnato l’esordio mondiale con una tripletta, risultando la miglior marcatrice azzurra di giornata assieme alle veterane Abbate e Bianconi. Sicure, determinate, fredde, le azzurre sono pronte ad affrontare martedì il Sud Africa, sconfitto sonoramente dalla Cina. Quel Sud Africa che, per uno strano caso del destino, domani terrà a battesimo il Settebello, nella giornata di apertura del torneo maschile.

Poche le sorprese negli altri gironi: il big match tra l’Olanda di Mauro Maugeri, detentrice del titolo olimpico, e la corazzata USA finisce in parità (7-7), con numerosi rovesciamenti di fronte e accenni di fuga ben presto annullati. Straordinaria la prova delle quasi omonime Vermeer e Wenger: entrambe hanno segnato tre reti, entrambe lo hanno fatto andando alla conclusione in altrettante circostanze, chiudendo quindi con un invidiabile 100% di realizzazione. Il Canada si conferma una candidata autorevole alla vittoria finale superando agevolmente l’Australia, mentre la sfida tra Grecia e Spagna non delude le attese: le elleniche trionfano 10-9 (triplette per Asimaki e Gerolymou), ma le dirette avversarie, trascinate da Blanca Gil, confermano l’ascesa iberica ai massimi livelli della pallanuoto anche in ambito femminile.

IL SUICIDIO TATTICO DI PREUD’HOMME

Con un atteggiamento fin troppo rinunciatario, il tecnico belga manca lo scudetto in Olanda.

Molti si ricorderanno sicuramente di questo portierone capace di affermarsi come uno dei migliori interpreti del ruolo a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. In particolar modo l’apice della sua carriera venne raggiunto ai Mondiali americani del 1994, quando vinse il premio Jašin come miglior portiere della competizione.
Una volta appesi i guanti al chiodo nel 1999, decise poi di intraprendere la carriera di allenatore. Così, dopo una duplice esperienza allo Standard Liegi – guidato rispettivamente nella stagione 2001/2002 e nel biennio 2006/2008 – ed una al Gent, ecco lo sbarco, nel 2010, al Twente Enschede fresco Campione d’Olanda, squadra che guida tutt’oggi e con cui una settimana fa è stato in grado di vincere la KNVB Beker (equivalente della nostra Coppa Italia).

La vittoria in Coppa non ha però insegnato molto al tecnico belga che, giusto nel week-end, si è trovato a disputare una sorta di finale per la vittoria dell’Eredivisie proprio contro quell’Ajax appena battuto da pochi giorni.

Forte della possibilità di centrare due risultati su tre – guidando la classifica proprio davanti ai lancieri, infatti, ai Tukkers sarebbe bastato un pareggio per aggiudicarsi la vittoria finale – il buon Preud’homme ha deciso di utilizzare un approccio alla gara troppo attendista, spianando il campo alla vittoria dei ragazzi di Frank De Boer, campioni nazionali per la trentesima volta nella propria storia.

Il piano sembrava prevedere la costruzione di una sorta di Linea Maginot a protezione del portiere Mihajlov, il tutto cercando di salvaguardare uno 0- 0 che avrebbe garantito la vittoria. Per poter pensare di giocare novanta minuti arroccati in difesa, cercando di colpire gli avversari solo con attacchi saltuari, magari affidandosi alla qualità del trascinatore Theo Janssen, si devono possedere difensori tecnicamente validi, ed un’impalcatura tattica di livello. Mancando questi requisiti è difficile credere di poter reggere per un’ora e mezza di fronte ad un attacco da più di due goal di media a partita.

Esempio concreto: Mourinho a suo tempo si potè permettere di sfidare il Barcellona utilizzando Eto’o e Pandev quasi come terzini aggiunti, con dieci uomini pressoché sempre schierati dietro la linea del pallone, alla ricerca di una densità capace di chiudere tutti gli spazi sfruttabili dalla compagine di Guardiola. Potè farlo, perché forte di una linea difensiva composta da giocatori di livello assoluto, nonché da un gruppo globalmente di grandissima qualità e, soprattutto, registrato alla perfezione da un punto di vista tattico.

Cosa, questa, che invece non è sembrata poter essere applicabile anche in quel di Enschede: Rosales, Wisgherof, Douglas e Buysse sono solo onesti mestieranti del pallone. L’architettura tattica dei Tukkers nel suo complesso, poi, ha dimostrato non poche crepe.

Ci si aspettava dunque, e si sarebbe dovuto puntare, tutt’altro approccio. A onor del vero, l’inizio lasciava presagire ben altro: dopo pochi secondi Chadli centra un cross sul secondo palo per Ruiz, chiuso bene dalla parata di Vermeer.

Da lì in poi, il nulla: Twente arroccato nella propria metà campo cercando di andare a chiudere ogni singolo spiraglio agli avversari, dal canto loro incapaci di bucare la resistenza Tukkers. Il tutto fino al ventitreesimo minuto, quando escono lampanti le lacune ospiti: van der Wiel serve nel cuore dell’area un pallone su cui nessuno riesce ad intervenire. Sul secondo palo, intanto, spunta Siem de Jong che firma la prima delle sue reti con un piattone di prima intenzione. Mandando a monte il piano – folle – messo a punto da Preud’homme.

SFIDA MONDIALE

Giovedì 2 dicembre la FIFA assegna i Mondiali 2018 e 2022: ecco quali sono i paesi candidati.

Fin dalla sua nascita, nel lontano 1930, la Coppa del Mondo di calcio ha rappresentato qualche cosa di più rispetto a un semplice torneo di calcio. Storicamente, ma ancor di più negli ultimi anni, l’organizzazione di un mega-event come il Mondiale non rappresenta solamente un’occasione per incrementare il prestigio nazionale: se ben sfruttata, infatti, essa può portare a vantaggi in diversi campi come quello economico, turistico e delle relazioni internazionali. Tutto dipende, però, dal tipo di enfasi che si pone nell’evento e dalla sua interconnessione con altri aspetti della società.

Nel 1998 la Coppa del Mondo di calcio in Francia, conclusasi con il trionfo della squadra di casa, portò alla costruzione dell’idea di una Francia vincente non solo sul campo da calcio ma anche nell’arena internazionale, fautrice di un modello integrazionista da ammirare ed esportare rappresentato proprio dai 22 calciatori campioni del mondo, ribattezzati immediatamente (riprendendo l’immagine del tricolore) i “black, blanc, beur”. Come attentamente sottolineato da Patrick Mignon in Fans and Heroes, i simboli e gli appelli all’unità lanciati nelle celebrazioni del 12 luglio 1998 furono assai enfatizzati proprio perché l’unità era molto lontana dall’essere reale, fatto che emerse chiaramente con la ribellione delle banlieue del novembre del 2005. Quello che conta, però, è che i politici nel 1998 cercarono di ottenere attraverso il calcio ciò che non erano stati in grado di raggiungere attraverso le politiche più tradizionali.

Quattro anni più tardi fu il turno di Corea e Giappone. I due paesi non solo dimostrarono al mondo le loro capacità organizzative e il loro sviluppo tecnologico, ma approfittarono anche dell’evento per normalizzare ulteriormente le loro relazioni inducendo la popolazione a fare altrettante. Ovviamente per i coreani tifare per gli ex dominatori imperialisti non rappresentò un’opzione percorribile, ma le cronache riportano che più di qualche tifoso giapponese, a seguito dell’eliminazione della propria squadra, iniziò a simpatizzare per i vicini coreani, in parte istigati dal governo, in parte attratti dal successo sportivo della squadra di Hiddink.

Nel 2006, secondo le cifre della Deutsche Bundesbank, proprio grazie all’ esemplare organizzazione della kermesse, il Mondiale tedesco ha portato nel trimestre in questione a una crescita dello 0,25%.

Quest’anno, come ricordato con insistenza dal jingle della canzone ufficiale, è arrivato il tempo dell’Africa. Non che oggi a Città del Capo o a Johannesburg si siano risolti i problemi di disuguaglianza, violenza e povertà, ma il Mondiale sudafricano ha posto per un paio di mesi il paese e retoricamente l’intero continente africano al centro del mondo.

Insomma, per quanto non sarà certo l’organizzazione dei Mondiali di calcio a risollevare il destino di un paese, questa competizione resta comunque un’occasione di prestigio internazionale e sportivo davvero importante a cui le federazioni calcistiche e i governi non sembrano voler rinunciare. Oltretutto intorno all’evento si crea, fra sponsorizzazioni internazionali, nazionali e diritti televisivi, un giro economico miliardario che fa gola a molti. Scandalizza, ma non sorprende, quindi che, non appena dei giornalisti si sono messi a indagare, siano emersi immediatamente casi di corruzione relativi alle candidature dei Mondiali. A metà ottobre alcuni reporter del Sunday Times si sono finti lobbisti statunitensi e hanno smascherato il membro nigeriano della FIFA Amos Adamu che aveva chiesto ai finti emissari la bellezza di 800mila $ per costruire campi di calcio artificiali. La stessa richiesta è stata avanzata al presidente della Oceania Football Confederation, il quale ha accettato di votare per i fantomatici lobbisti in cambio dei soldi per finanziare un’accademia sportiva.

Una decina di giorni dopo è stata la volta di Michel Zen-Ruffinen. L’ex delfino – poi rivale – di Blatter, filmato segretamente, ha fatto capire che molti dei ventiquattro membri del Fifa Executive Commitee sono da sempre aperti a diverse forme di corruzione e ha reso più credibile la sua affermazione descrivendone vizi e debolezze. Per chi ha letto i libri e le inchieste di Andrew Jennings, il primo reporter a sollevare il velo dell’omertà delle istituzioni sportive, sembra che (almeno nella FIFA) nulla sia cambiato.

La situazione è resa ancora più complessa dalla doppia assegnazione (2018, 2022) in un’unica giornata. “Di doman non c’è certezza” scriveva Lorenzo de’ Medici nel Quattrocento, ma lo stesso potrebbe aver pensato il gran capo Blatter che difficilmente, per questioni anagrafiche, si ricandiderà nel 2014. È chiaro altresì che questa promozione “compri due, paghi uno” facilita lo scambio di voti e la scarsa trasparenza. Ecco allora che, sempre grazie alle dichiarazioni rubate a Zen-Ruffinen, emerge come Spagna e Portogallo si siano accordate con il Qatar per lo scambio di voti, sostenendo le rispettive candidature. Una pratica moralmente disgustosa ma assai comune nei processi poco trasparenti di lobby. La stessa candidatura olimpica di Roma 2020, per esempio, nella fase di pre-selezione per avere la meglio su Venezia, aveva messo sul tavolo tra le altre cose la possibilità di un eventuale accordo Roma – Tokio per ripetere la doppietta (1960-1964 anche nel 2020-2024).

Questioni di prestigio e, soprattutto, economiche rendono quindi la scelta del 2 dicembre davvero importante per le nazioni e le federazioni che ospiteranno il mondiale del 2018 e del 2022. Nel 2018 hanno avanzato le proprie candidature Inghilterra, Russia e, congiuntamente, Spagna-Portogallo e Belgio – Olanda. Per il 2022 si sono, invece, fatte avanti Australia, Qatar, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti.

2018

BENELUX

Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno avanzato la candidatura come un’unica entità geografica, economica e culturale: tuttavia, se si esclude un congresso FIFA in Lussemburgo, gli incontri si disputeranno solamente in terra d’Olanda e in Belgio. I due paesi vorrebbero ripetere l’exploit del 2000 passando dal palcoscenico europeo a quello mondiale. Il progetto prevede quattordici stadi in dodici città (sette in Belgio, cinque nei Paesi Bassi): al momento gli stadi sembrano troppo piccoli alle esigenze, talvolta sproporzionate, della FIFA, tuttavia sia Rotterdam che Bruxelles hanno dato il via libera alla costruzione di due stadi da 80mila spettatori. Quello di Bruxelles, il Nationaal Stadion, potrebbe avere una valenza davvero importante, data la complessa situazione che sta vivendo il paese: in effetti, una delle possibili debolezze di questa candidatura è dovuta all’incertezza politica del Belgio. Nel 2018 esisterà ancora un paese chiamato Belgio? In tal senso però proprio il calcio, al contrario del ciclismo, sembra essere un fattore più unificatore che divisivo. E in ogni caso, malgrado il carisma di Gullit, la candidatura del Benelux non sembra la principale favorita.

INGHILTERRA

Calcisticamente la nazione è ancora ferma alla nostalgia per la vittoria del 1966, considerando che da quella data non è più riuscita a esprimere un gruppo vincente. I migliori risultati sono ancora quelli degli anni Novanta con il quarto posto al Mondiale italiano e la semifinale all’Europeo casalingo del 1996. A livello di organizzazione sportiva, invece, l’Inghilterra è un paese leader: negli ultimi vent’anni l’Inghilterra ha organizzato gli Europei di calcio, i Mondiali di rugby e di cricket e nel 2012 ospiterà i Giochi Olimpici. I Mondiali la confermerebbero come uno dei paesi sportivi d’avanguardia, tenendo sempre presente che nel Regno Unito l’intervento governativo in campo sportivo, benché crescente, è sempre stato ridotto rispetto a quello di molti altri paesi. Gli stadi esistenti e quelli progettati sono assolutamente all’altezza e l’idea di riportare il calcio laddove è stato inventato fanno della candidatura inglese la favorita al pari della Russia.

SPAGNA-PORTOGALLO

Anche in questa occasione, come per Olanda e Belgio, i due principali paesi della penisola iberica hanno pensato di riproporre l’accoppiata vincente dell’Europeo in un palcoscenico più ampio. Ovviamente, alla luce delle dimensioni, e del peso economico e demografico dei due stati, la Spagna farà la parte del leone rispetto al Portogallo. La crisi economica mondiale, però, sembra aver colpito in maniera più pesante i paesi mediterranei che il resto d’Europa e ciò potrebbe forse andare a penalizzare le chance della candidatura iberica. Per controbilanciare le sue carenze la Spagna metterà sul piatto della bilancia il suo indiscutibile prestigio sportivo, che però potrebbe non bastare.

RUSSIA

Senza l’Ucraina il calcio russo pare aver perso davvero molto rispetto a quello sovietico, ma la federazione, con l’investimento importante su Hiddink nel recente passato, ha dimostrato a suon di rubli di voler invertire questo trend. I soldi non bastano, è vero, ma nel caso russo sembrano essere davvero l’asso nella manica. Almeno cinque stadi nuovi di zecca e lo Stadio Olimpico, che sarà inaugurato a Soči in occasione delle Olimpiadi invernali del 2014, si andranno ad aggiungere agli stadi moscoviti, a quello di Kazan e a quello di San Pietroburgo. La federazione ha fatto sapere che il governo non baderà a spese – 10 miliardi di dollari – e che darà, con il primo ministro Putin in prima linea, pieno sostegno alla candidatura.

2022

AUSTRALIA

Nella terra dei canguri in cui il football si gioca con palloni ovali in stadi della stessa forma ci si sta preparando con alacrità per la progettazione dei Mondiali del 2022. Malgrado la scarsa tradizione calcistica, che permane ancor oggi nonostante alla generazione dei Kewell e Viduka sia seguita quella dei Cahill e Bresciano, l’Australia resta terra dello sport e degli sportivi per eccellenza. Il paese sembra avere l’imbarazzo della scelta per quel che riguarda gli stadi: tuttavia molti di essi non sono, e non saranno mai, destinati esclusivamente al calcio. Il rugby e l’australian rules football restano gli sport invernali preferiti dai tifosi australiani e il regolare svolgimento di questi campionati potrebbe entrare in concorrenza con l’organizzazione dei Mondiali. In ogni caso la federazione australiana, come dimostra anche il passaggio dalla confederazione oceanica a quella asiatica, vuole a tutti i costi alzare il livello del calcio australiano e l’organizzazione di un Mondiale resta sempre il miglior viatico.

GIAPPONE

Nel paese del Sol Levante il successo organizzativo del 2002, in coppia con la Corea del Sud, ha reso appetibile la possibilità di un bis. Il paese, oltretutto, non sembra accontentarsi solo del calcio visto che in ballo ci sono anche le candidature alle Olimpiadi del 2016 e dei Mondiali di rugby del 2019. Gli stadi usati per il Mondiale del 2002 e quelli previsti eventualmente per il 2022 fanno del Giappone un rivale temibile. Tuttavia, come per i vicini coreani, la federazione giapponese potrebbe essere penalizzata dalla vicinanza temporale: sono infatti passati solo otto anni tra l’esperienza del 2002 e la scelta del prossimo 2 dicembre. Oggettivamente, però, l’arco temporale di venti anni fra il 2002 e il 2022 pare comunque essere sufficiente lungo per non screditare la candidatura nipponica.

QATAR

Gli sceicchi, che nella storia dei Mondiali non sempre hanno fatto bella figura, sono ormai una realtà nello sport e nel calcio internazionale: dopo aver contribuito alle campagne acquisti fantasmagoriche di alcune squadre e ad alimentare le false speranze di altre, in Qatar si sono messi in proprio. Automobilismo, tennis e i Giochi Asiatici hanno dimostrato che, quando i soldi non mancano, si può fare sport anche nel bel mezzo del deserto. La tradizione è pressoché inesistente, ma le tecnologie sono all’ultimo grido e in grado di sconfiggere quello che sembra essere il vero tallone d’Achille della candidatura del paese: il clima. Benché le temperature scendano raramente sotto i 30°, il comitato organizzatore ha promesso che negli stadi la temperatura non sarà superiore ai 20°. La minaccia del terrorismo internazionale potrebbe forse incidere nella scelta di qualche delegato FIFA, tuttavia il Qatar in questo senso non pare essere particolarmente vulnerabile. Come riportato da Al Jazeera, Blatter ha sdoganato la candidatura del Qatar affermando che “il mondo arabo merita la Coppa del Mondo”. Qatar fra i favoriti, quindi? Sicuramente, anche se rimane comunque incomprensibile l’utilità di costruire undici stadi da 50mila posti in un paese abitato da poco più di 1600 persone. Mai come in questo caso, a competizione finita, l’espressione “cattedrale nel deserto” rischia di essere più appropriata.

COREA DEL SUD

Come per il Giappone, la vicinanza con il Mondiale del 2002 potrebbe forse limitare le chance di successo, o almeno dovrebbe. I coreani, però, hanno imparato davvero bene a fare lobby e, dopo aver messo uomini chiave nel Comitato Olimpico Internazionale, stanno tentando la scalata anche nella FIFA. Il sostegno governativo non manca, gli stadi sono all’avanguardia: gli unici problemi potrebbero venire dai cugini del Nord. Malgrado il vicino militarmente ingombrante, però, l’esperienza del 2002 (al contrario di quella del 1988, dove la Corea del Nord aveva boicottato l’evento) ha dimostrato che in linea di principio la Corea del Sud non dovrebbe rischiare di essere penalizzata da questioni di sicurezza internazionale. Tuttavia la transizione che si sta vivendo a Pyongyang e l’ampio arco temporale fanno sì che le ipotesi di riunificazione, democratizzazione del Nord, guerra o di nulla di fatto siano tutte plausibili, indebolendo un po’ la forza della candidatura coreana.

STATI UNITI

Nella prima metà degli anni Novanta il soccer statunitense veniva trattato con ironia e disprezzo. Oggi, a più di quindici anni dal mondiale casalingo, la nazionale a stelle e strisce è riuscita ad affermarsi come una realtà del calcio internazionale da non sottovalutare grazie anche ad un campionato che, oltre ad attirare stelle prossime alla pensione, produce anche interessanti prospetti. Non sembra creare problemi neppure livello organizzativo: il Mondiale del 1994 aveva portato ufficialmente il calcio nella nuova dimensione iper-globalizzata che tanto piace alla FIFA. Benché non costruiti per il calcio ma per il football americano, gli stadi sono immensi e non entrerebbero nemmeno in conflitto con la stagione dell’NFL che inizia ad agosto inoltrato. La Concacaf, inoltre, sarà la federazione calcistica – OFC esclusa – a cui mancherà da più tempo l’organizzazione della Coppa del Mondo. Il presidente Obama, che sostiene la candidatura, dopo essere stato malamente snobbato in seno al CIO, potrebbe paradossalmente ottenere una rivincita simbolica proprio grazie al meno americano degli sport.

Nicola Sbetti

ALMANACCO DI SUDAFRICA 2010: 11 LUGLIO

La storia essenziale della Coppa del Mondo di Sudafrica 2010 raccontata, giorno dopo giorno, partita dopo partita, attraverso i tabellini e le reazioni della stampa delle nazioni in campo: una carrellata di prime pagine che fornisce uno spaccato di cultura sportiva, emozioni, tecnica giornalistica e non, design editoriale che permette di costruire un racconto non convenzionale della Coppa del Mondo 2010.

SPAGNA – OLANDA 1-0 (0-0, 0-0) dts

SPAGNA: Casillas (c), Ramos, Piqué, Puyol, Capdevila, Busquets, Iniesta, Xavi Hernández, Xabi Alonso (87′ Fabregas), Pedro (59′ Navas), Villa (106′ Torres).

OLANDA: Stekelenburg, van der Wiel, Heitinga, Mathijsen, van Bronckhorst (105′ Braafheid), van Bommel, De Jong (97′ van der Vaart), Robben, Sneijder, Kuyt (70′ Elia)

ARBITRO: Webb (ENG)

GOL: 116′ Iniesta (SPA)

NOTE:Espulso Heitinga per doppia ammonizione al 109′ Ammoniti Van Persie, Puyol, Van Bommel, Sergio Ramos, De Jong, Van Bronckhorst, Heitinga, Capdevila, Robben, Van der Wiel, Mathijsen, Iniesta, Xavi

La Vanguardia
Trouw
Volkskrant
Marca

Massimo Brignolo

SPAGNA CAMPIONE!

SpagnL’eroe che non ti aspetti. Tutti a fantasticare sul duello tra Sneijder e Villa non solo per la Coppa del Mondo, ma anche per la classifica cannonieri e, probabilmente, pure per il Pallone d’oro. E invece, a decidere la finale di Sud Africa 2010 – e a regalare il primo Mondiale della sua storia alla Spagna – è stato Andrés Iniesta, onesto centrocampista del Barcellona. Lui, cresciuto nella cantera blaugrana, è il simbolo della vittoria di una certa filosofia di fare sport in Spagna, non solamente nel calcio: le affermazioni nel basket, nel ciclismo, nel tennis sono figlie di una politica improntata sui settori giovanili che, adesso, ha portato i suoi frutti. E così, con il quarto 1-0  consecutivo, la Spagna sale sul gradino più alto del podio. La Coppa del Mondo si rivela, invece, ancora una chimera per l’Olanda: tre
sconfitte in altrettante finali (1974, 1978 e adesso 2010). Proprio nel momento decisivo sono mancati i due uomini migliori, Robben e Sneijder. E ora chissà quando verrà spezzato il malvagio incantesimo

Si accendono i riflettori sulla finale: Nelson Mandela fa il giro d’onore nello stadio di Johannesburg ed è forse il momento più emozionante dell’intero Mondiale. Poi entrano le squadre: Del Bosque e van Marwijk schierano due formazioni identiche, affidandosi ad un solo attaccante – peraltro più di movimento che di peso – supportato da tre mezzepunte. Lo spagnolo lascia ancora in panchina Torres e dà fiducia a Pedro del Barcellona, l’olandese recupera van der Wiel e de Jong e può così mandare in campo l’undici ideale. Si intuisce fin da subito quale sarà il leit motiv della finale del primo Mondiale in terra africana: la Spagna offre qualche lampo di gioco, l’Olanda si limita ad impedire che gli iberici possano esprimersi al meglio, ricorrendo più volte alle maniere ruvide. La prima emozione la regala Sergio Ramos dopo quattro minuti, impegnando di testa Stekelenburg sugli sviluppi di una punizione: l’esterno difensivo del Real Madrid non disdegna qualche incursione offensiva ed impensierisce ancora la difesa in maglia arancione, costringendo Heitinga a rifugiarsi in angolo su un pericoloso tiro-cross. Sull’azione susseguente Villa calcia di prima intenzione di sinistro, ma colpisce solo la rete esterna, dando l’illusione del gol.

E l’Olanda? La risposta dell’undici di van Marwijk è tutta in una conclusione di Kuyt dalla distanza facile preda di Casillas, propiziata da una leggerezza di Busquets, e in una punizione telefonata di Sneijder. Il ct arancione sa che la forza della Spagna è soprattutto nelle eminenze grigie del suo centrocampo: così si spiegano i (pesanti) falli di Van Bommel e de Jong ai danni di Iniesta e Xabi Alonso, che sarebbero potuti essere sanzionati con l’espulsione diretta. Sembra il destino della Spagna, quello di ritrovarsi di fronte avversari che preferiscono affidarsi alla tattica del “non gioco”: era successo contro Portogallo e Paraguay, accade anche contro l’Olanda, aggressiva ed attendista. All’intervallo saranno tre i cartellini gialli sventolati da Webb agli olandesi: oltre ai due mediani viene ammonito pure van Persie. L’ultimo sussulto della prima frazione lo regalano Pedro (conclusione a lato dopo una buona percussione centrale) e Robben (sinistro sul primo palo, con Casillas che spedisce in angolo). Partita dura e con i nervi a fior di pelle, poco spettacolo in campo.

La ripresa inizia nella stessa, identica maniera: la Spagna attacca e crea (Capdevila cicca malamente la palla da ottima posizione), l’Olanda ricorre sistematicamente al fallo e così pure van Bronckhorst e Heitinga finiscono sul taccuino del direttore di gara. Al quarto d’ora Del Bosque si gioca la prima sostituzione, richiamando Pedro e rimpiazzandolo con il suo sostituto naturale Jesús Navas. Ma, paradossalmente, un minuto dopo l’Olanda confeziona l’occasione più nitida dell’incontro: Sneijder innesca magnificamente Robben che fugge verso la porta di Casillas e calcia di piatto, trovando però la deviazione decisiva di piede del capitano spagnolo. Una parata che vale quanto il gol di un attaccante. Passano pochi minuti e la chance capita alle Furie rosse con Navas che punta van Bronckhorst, entra in area e serve sulla sinistra Villa: il tiro da due passi, a botta sicura, viene alzato oltre la traversa da Heitinga che, di fatto, aveva servito il pallone sui piedi del neoattaccante del Barcellona. Nel frattempo anche van Marwijk cambia uomini ma non assetto, spedendo Elia al posto di Kuyt. Ancora brividi nel finale: Sergio Ramos, tutto solo nel cuore dell’area, non inquadra di testa su corner di Xavi, mentre Robben si divora nuovamente il gol del vantaggio con un’azione fotocopia, con Casillas ancora bravo a chiudergli la porta. Quando la partita si avvia verso i supplementari, Del Bosque decide che è il momento di Fabregas, in campo al posto di Xabi Alonso.

La proroga si apre subito con un episodio da moviola: serie di contrasti in area dell’Olanda, Heitinga colpisce in maniera scomposta su Xavi all’altezza del dischetto e i dubbi sulla regolarità del’intervento permangono. La stanchezza inizia a battere cassa e così le maglie delle due difese si aprono: Fabregas e Villa si ritrovano in superiorità numerica, il genietto dell’Arsenal pecca di egoismo, così come Pedro contro la Germania, ed anziché servire il compagno preferisce concludere, senza tuttavia trovare il raddoppio. Poco dopo, Mathijsen spedisce alto di testa, con Casillas uscito a vuoto, sugli sviluppi di un calcio piazzato. La porta di Stekelenburg sembra stregata: van Bronckhorst devia un diagonale di Navas che dà l’illusione del gol e strozza in gola l’urlo di gioia degli spagnoli. Frattanto van der Vaart rileva il condottiero de Jong, un cambio che van Marwijk aveva effettuato anche in semifinale: un’Olanda a trazione anteriore che, forse, inizia a preparare i suoi migliori tiratori in vista dei rigori. Iniziano i secondi quindici minuti di tempi supplementari e Del Bosque decide di dar fiducia al suo uomo fin qui più in ombra, Fernando Torres, togliendo un generoso Villa. Ma è Iniesta a decidere il Mondiale. Prima propizia la seconda ammonizione di Heitinga, regalando così alla Spagna la superiorità numerica per dieci minuti buoni. Poi segna il gol che qualsiasi calciatore sogna di marcare: cross di Torres respinto dalla difesa olandese, Fabregas riprende la palla e serve sulla destra il mediano del Barcellona che scaraventa in rete con un diagonale potente, evitando il ritorno di van der Vaart e trascinando la Spagna sulla vetta del mondo. Un anno fa il 26enne giocatore presentò il suo libro “Un año en el paraíso”. Adesso, forse, è il caso di aggiungere un nuovo capitolo.

Domenica 11 luglio 2010
SPAGNA – OLANDA 1-0 (0-0, 0-0) dts
Soccer City, Johannesburg

SPAGNA: Casillas (c), Ramos, Piqué, Puyol, Capdevila, Busquets, Iniesta, Xavi Hernández, Xabi Alonso (87′ Fabregas), Pedro (59′ Navas), Villa (106′ Torres).

OLANDA: Stekelenburg, van der Wiel, Heitinga, Mathijsen, van Bronckhorst (105′ Braafheid), van Bommel, De Jong (97′ van der Vaart), Robben, Sneijder, Kuyt (70′ Elia)

ARBITRO: Webb (ENG)

GOL: 116′ Iniesta (SPA)

NOTE:Espulso Heitinga per doppia ammonizione al 109′ Ammoniti Van Persie, Puyol, Van Bommel, Sergio Ramos, De Jong, Van Bronckhorst, Heitinga, Capdevila, Robben, Van der Wiel, Mathijsen, Iniesta, Xavi

Simone Pierotti