SETTEBELLO, AVANTI COSÌ

Gli azzurri battono anche gli Stati Uniti (8-5): per accedere ai quarti basterà un pareggio con la Germania.

20 luglio 2009: a Roma inizia il torneo di pallanuoto dei tredicesimi Mondiali delle discipline acquatiche e il Settebello segna otto gol contro gli Stati Uniti. 20 luglio 2011: si gioca la seconda giornata del torneo maschile, ai Mondiali di Shanghai, e l’Italia va in gol per otto volte contro gli Stati Uniti. Volendo citare un popolarissimo gioco della “Settimana enigmistica”, trova le differenze. Sono tante. Intanto, due anni fa il Settebello fu sconfitto (9-8), oggi festeggia un bel successo (8-5) che lo spinge verso i quarti di finale. Eppure l’avversario è rimasto pressoché lo stesso: appena tre i cambi apportati dal ct Schroeder, da Roma a Shangai. E allora, cos’è accaduto in questi 730 giorni?

L’allenatore è ancora lui, Sandro Campagna. I giocatori no, quelli sono cambiati: appena sei i reduci da uno dei Mondiali più fallimentari nella storia della pallanuoto italiana, che giocava pure in casa. E poi a non essere più la stessa è, soprattutto, la mentalità. Prendete Tempesti: due anni fa appariva indifeso al cospetto dei tiratori americani, ora è lui a incutere timore ed è quasi sempre necessaria una situazione di superiorità numerica per batterlo. Nella sua seconda uscita al Mondiale asiatico il Settebello manifesta nuovamente concentrazione, lucidità, solidità: appena cinque i gol concessi agli USA, già sconfitti un mese fa alla World League di Firenze, e un ottimo dato delle inferiorità numeriche (3/10). Non c’è stata la goleada, è vero, ed il rovescio della medaglia è che l’Italia non è stata  sbalorditiva quando attaccava con l’uomo in più (4/10). Ma ciò che conta è la vittoria. E gli azzurri la ottengono tenendo sempre a bada gli americani, concedendo al massimo un solo gol di distacco (3-4) all’inizio del terzo parziale, e mettendo in mostra coraggio e consapevolezza del proprio potenziale.

Partita spigolosa, come era lecito attendersi: sconfitti all’esordio dalla Germania, gli USA avevano l’obbligo dei tre punti per non perdere terreno dalla vetta ed evitare gli ottavi (la fortuna sembra però dalla loro parte: incontreranno una tra Canada e Giappone). Sembrava che dovessero rendere la vita difficile agli azzurri, e invece il Settebello ha prevalso amministrando con saggezza, e senza strafare, l’incontro. La curiosità, che in fondo è anche la notizia più piacevole, è che i migliori marcatori di giornata – doppietta – sono Felugo e Gitto, guarda caso gli unici che all’esordio contro il Sudafrica erano rimasti a secco. Bene la difesa, protetta da un Tempesti che si sta esprimendo ad altissimi livelli, discreta anche la prova di Aicardi: per il centroboa savonese un gol realizzato in controfuga ed anche tante sportellate sui due metri che hanno costretto più di un difensore americano ad andare nel pozzetto. L’Italia comanda a punteggio pieno, assieme alla Germania ma con una miglior differenza reti: +19 il dato azzurro, +10 quello dei tedeschi. Per chiudere al primo posto e accedere ai quarti basterebbe un pareggio. Meglio, però, non fare troppi calcoli e continuare così, mantenendo alta l’attenzione.

 

Mercoledì 20 luglio 2011
STATI UNITI-ITALIA 5-8 (1-2, 1-2, 1-3, 2-1)
Natatorium, Shanghai

 

STATI UNITI: Moses, Varellas, Hudnut, Powers, Wright, Alexander 1, Beaubien 2, Azevedo 1, Bailey, Hutten 1, Smith, Buckner, Stevens. All. Schroeder.

ITALIA: Tempesti, Pérez, Gitto 2, Figlioli, Giorgetti 1, Felugo 2, Figari, Gallo 1, Presciutti 1, Fiorentini, Aicardi 1, Deserti, Pastorino. All. Campagna.

ARBITRI: Margeta (SLO) e Tulga (TUR).

NOTE: superiorità numeriche Stati Uniti 3/10, Italia 4/10. Espulso definitivamente Smith a 4’18” qt per somma di falli.

SETTEROSA, TUTTO FACILE

Italdonne a valanga nella seconda partita dei Mondiali di Shanghai: 18-2 al Sudafrica.

Gli amanti delle statistiche e della cabala saranno più che soddisfatti: nel doppio confronto Italia-Sudafrica ai Mondiali di nuoto di Shanghai il divario finale è di sedici reti. Se, infatti, ieri il Settebello aveva esordito con uno spumeggiante 17-1 ai danni della selezione africana, il Setterosa non è da meno e nella seconda “fatica” di questi Mondiali sommerge le avversarie per 18-2. Giovedì, contro la Cina, sfida decisiva per il primo posto: chi vince si qualifica subito per i quarti di finale, chi perde dovrà probabilmente giocarseli con la Spagna.

Difficile, se non impossibile, trovare qualcosa che non sia andato in questa straripante vittoria delle azzurre di Fabio Conti: la Gorlero, schierata per gran parte dell incontro tra i pali, capitola solamente in un paio di occasioni e solo nel primo tempo, l’unico in cui le sudafricane tengono, parzialmente, testa al Setterosa. Dopo il richiamo del ct, la difesa serra i battenti e l’attacco funziona a pieno regime: buono il dato della superiorità numerica (4/7), incoraggiante il fatto che siano andate quasi tutte a segno almeno una volta, tra cui cinque delle sei esordienti convocate da Conti. Miglior marcatrice la chioccia Casanova (quattro reti), seconda tripletta consecutiva sia per la senatrice Bianconi che per la Savioli, una dei volti nuovi del Setterosa.

Pressoché da copione gli esiti degli altri raggruppamenti: nel girone A comandano, in coabitazione a quattro punti, gli Stati Uniti dopo il formidabile 16-7 all’Ungheria e l’Olanda di Mauro Maugeri, vittoriosa sul Kazakistan per 13-3. Nel girone B il Canada guadagna, di fatto, l’accesso ai quarti: il successo, ottenuto con disarmante semplicità, sull’Uzbekistan arriva dopo quello, fondamentale, sull’Australia e adesso basterà un pareggio contro la Nuova Zelanda. Che, nel frattempo, ha perso (4-12) il derby oceanico con le australiane. Infine nel girone C, quello da cui uscirà la diretta avversaria di Italia o Cina agli ottavi, a guardare tutte dall’alto sono Russia e Grecia: le campionesse europee in carica si sbarazzano della Spagna infliggendole dieci reti di scarto (18-8), le elleniche faticano più del dovuto ma sconfiggono comunque il Brasile (11-8), compiendo l’allungo decisivo solo nel terzo tempo. Domani spazio al torneo maschile, con l’attesa sfida Italia-Stati Uniti.

DICIASSETTEBELLO

Debutto con goleada (17-1) per gli azzurri ai Mondiali di Shanghai contro il malcapitato Sudafrica.

Diciamolo in tutta franchezza: alla vigilia della prima mondiale della nazionale maschile di pallanuoto a Shanghai l’unico vero rischio era che gli azzurri si trastullassero con il modesto Sudafrica, già sicuri com’erano di avere la vittoria in tasca. Nemmeno quello: il Settebello diventa, per un giorno, il Diciassettebello. Tanti sono i gol che la squadra di Sandro Campagna rifila alla formazione africana, quasi mai pericolosa: sette i tiri nello specchio concessi dagli azzurri, appena uno quello andato a segno.

Nel mezzo c’è una vittoria altisonante che, è vero, non sarebbe mai stata in discussione, arrivata comunque dopo una prova di autorità da parte del Settebello. Che non ha avuto cali di concentrazione, quantunque il livello tecnico degli avversari li concedesse, e ha legittimato fin da subito il successo segnando cinque reti già nel primo parziale. Con le sole eccezioni di Felugo e Gitto, c’è gloria per tutti, anche per Figari: il recchelino, rimasto fuori a Firenze per le finali di World League, ha prontamente ringraziato il ct Campagna per la fiducia segnando una rete. Il capocannoniere di giornata è Deserti, in gol per quattro volte, mentre Giorgetti dà conferma del suo smagliante stato di forma con una tripletta. E bene anche Presciutti, Gallo ed il vecchio Amaurys Pérez, tutti autori di una doppietta.

Se da Italia-Sudafrica non c’era da aspettarsi clamorose sorprese, l’altra sfida del girone degli azzurri, quella tra Germania e Stati Uniti, è un inno all’imprevedibilità: i tedeschi fanno subito il vuoto, mettendo quattro reti tra loro e gli americani che, tuttavia, nei successivi due parziali rimontano, per poi arrendersi negli ultimi otto minuti. Giornata di vacche magre per Tony Azevedo – “capitan America” segna solamente due reti, a fronte di sette tiri – mentre gli uomini di Hagen Stamm, sempre ostici da affrontare per la loro poderosa stazza, riescono a spuntarla pur non brillando per pragmatismo (9/26 il rapporto tra gol siglati e tentativi a rete). Molto equilibrata, e non poteva essere altrimenti, la partita tra Ungheria e Montenegro: vincono con una sola lunghezza di scarto (11-10) i magiari, condotti verso il successo dalle quattro marcature personali dell’eterno Biros. I balcanici, così come era già successo a Firenze, scontano pesantemente le assenze di Zloković e Pašković. Di misura anche l’Australia sulla Romania,  limpida l’affermazione del Canada sul Giappone, senza pietà la Spagna contro il Kazakistan, la Croazia con il Brasile e la Serbia al cospetto della Cina padrona di casa.

IL SETTEROSA SI BEVE UN CUBA

Esordio facile facile per la nazionale femminile contro le caraibiche (12-4) ai Mondiali di Shanghai.

L’Italia della pallanuoto (femminile) debutta ai Mondiali di Shanghai con una vittoria piuttosto eloquente (12-4), ma questo fa relativamente notizia, specie se l’avversario si chiama Cuba. L’Italia della pallanuoto (femminile) inizia con una prova di carattere, dimostrando grande concentrazione piuttosto che doti tecniche fuori dal comune: eccolo, il dato significativo di questa prima partita. Il Setterosa di Fabio Conti non si cura sugli allori e nell’esordio ai Mondiali di nuoto in Cina batte con autorevolezza le malcapitate caraibiche.

Inutile spendere fiumi d’inchiostro – o meglio, inutile consumare la tastiera… – su una partita che mai ha avuto una trama: si può giusto evidenziare il dato positivo delle azzurre in inferiorità numerica (solo un gol concesso, su quattro occasioni, alle cubane), si può celebrare la loro bravura nel non sottovalutare un avversario comunque innocuo. E si può evidenziare la buona prova delle sei debuttanti portate in Estremo Oriente da Conti: se il ct romano, a fine gara, spende buone parole per la 18enne Francesca Pomeri, l’attaccante Martina Savioli ha addirittura bagnato l’esordio mondiale con una tripletta, risultando la miglior marcatrice azzurra di giornata assieme alle veterane Abbate e Bianconi. Sicure, determinate, fredde, le azzurre sono pronte ad affrontare martedì il Sud Africa, sconfitto sonoramente dalla Cina. Quel Sud Africa che, per uno strano caso del destino, domani terrà a battesimo il Settebello, nella giornata di apertura del torneo maschile.

Poche le sorprese negli altri gironi: il big match tra l’Olanda di Mauro Maugeri, detentrice del titolo olimpico, e la corazzata USA finisce in parità (7-7), con numerosi rovesciamenti di fronte e accenni di fuga ben presto annullati. Straordinaria la prova delle quasi omonime Vermeer e Wenger: entrambe hanno segnato tre reti, entrambe lo hanno fatto andando alla conclusione in altrettante circostanze, chiudendo quindi con un invidiabile 100% di realizzazione. Il Canada si conferma una candidata autorevole alla vittoria finale superando agevolmente l’Australia, mentre la sfida tra Grecia e Spagna non delude le attese: le elleniche trionfano 10-9 (triplette per Asimaki e Gerolymou), ma le dirette avversarie, trascinate da Blanca Gil, confermano l’ascesa iberica ai massimi livelli della pallanuoto anche in ambito femminile.

QUANDO LO SPORT HA FATTO L’ITALIA

Oggi si festeggiano i 150 anni dell’unità nazionale: un secolo e mezzo di storia in cui lo sport ha scritto pagine importanti.

A 150 anni di distanza dalla data simbolica scelta per celebrare l’unità d’Italia possiamo con certezza affermare che lo sport non è stato un fattore neutrale, ma ha contribuito costantemente nel definire e ridefinire l’identità italiana. Del resto siamo il paese in cui il quotidiano più venduto è la Gazzetta dello Sport e l’inno di Mameli e il tricolore sono suonati e sventolati principalmente in occasione di eventi sportivi.

Quali sono stati nel corso della storia i 10 momenti più significativi per l’identità italiana? Ecco una personalissima classifica tenendo conto delle diverse discipline e delle differenti epoche storiche.

 

10 L’ITALIA VINCE LA COPPA DAVIS IN CILE (1976)

Grazie a una generazione d’oro rappresentata da Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Antonio Zugarelli e Adriano Panatta, il tennis italiano da sport borghese diventa popolare. Panatta, il D’Artagnan fra i moschettieri azzurri, quell’anno vinse anche gli internazionali di Roma e il Rolland Garros.

Fino alla finale, conquistata sconfiggendo la Yugoslavia, la Svezia, il Regno Unito e l’Australia, il cammino degli azzurri è un’apoteosi; il gota del tennis mondiale si deve inchinare agli alfieri azzurri. Il rivale della finale però crea maggiori problemi dal punto di vista politico che non sportivo. Il Cile di Fillol e Cornejo non fa paura ma pone la questione sull’opportunità di giocare in un paese con cui si sono rotte le relazioni diplomatiche e a pochi metri di distanza da uno stadio usato fino a poco tempo prima come campo di concentramento dal regime di Pinochet.

La società civile si mobilita per chiedere il boicottaggio, il Coni e la Fit si muovono nell’ombra per non perdere una vittoria certa, mentre il governo temporeggia difendendosi dietro lo slogan dell’indipendenza dello sport dalla politica. Alla fine gli azzurri vanno in Cile dove vincono facilmente, ma vengono boicottati da parte della stampa tanto che la provocatoria maglietta rossa indossata da Panatta e Bertolucci nella prima parte del doppio non viene neppure citata nei principali quotidiani sportivi. Il trionfo di Santiago 1976 rappresenta allo stesso tempo l’apice del tennis italiano, ma anche uno dei principali momenti in cui le implicazioni politiche veicolate dallo sport hanno provocato la reazione dell’opinione pubblica.

 

9 I DUE ORI DI ALBERTO TOMBA ALLE OLIMPIADI DI CALGARY (1988)

L’anno precedente aveva vinto un bronzo ai mondiali ma alle Olimpiadi di Calgary Alberto Tomba fece un capolavoro conquistando due ori. Il 25 febbraio sfruttando al meglio il pettorale numero 1 vinse lo slalom gigante con un vantaggio abissale su Strolz e Zurbriggen; due giorni dopo conquistò in rimonta anche lo slalom speciale. In quell’occasione l’Italia intera, Festival di Sanremo compreso, si fermò per accompagnare la discesa di Albertone.

Le vittorie di questo ragazzo degli Appennini cancellarono la credenza per cui  solamente gli abitanti delle valli alpine potevano eccellere in questa disciplina. La saga di “Tomba la Bomba”, che smise ben presto di partecipare ai super giganti e alle discese libere perché “la mamma non vuole”, continuò per tutti gli anni Novanta. Arrivarono altre tre medaglie olimpiche e altrettante mondiali, quattro coppe di specialità, sia in gigante sia nello speciale, e soprattutto la coppa del mondo del 1995.

Più ancora dei trionfi di Zeno Colò e Gustav Thöni  furono soprattutto quelli di Tomba che permisero allo sci di uscire dalle Alpi, diventando in tutto e per tutto lo sport per eccellenza delle vacanze natalizie degli italiani.

 

8 IL MONDIALE DI CALCIO IN GERMANIA (2006)

La vittoria del Mondiale di calcio del 2006 è un fulmine a ciel sereno, una saettata d’orgoglio nazionale: inaspettata, intensa e fugace. Sono passati 5 anni e sembra già un’eternità.

L’Italia calcistica si era trovata nel pieno dello scandalo di corruzione ribattezzato Calciopoli; quella politica si appoggiava sul voto dei senatori a vita per poter legiferare. La vittoria è il trionfo dello stereotipo calcistico italiano costruito su una grande difesa e in cui a risultare decisivi non sono i campioni più attesi (Totti, Del Piero, Toni, Gilardino) bensì i gregari e le seconde linee (Grosso e Materazzi).

Dal punto di vista dell’identità nazionale la vittoria del mondiale appare per alcuni mesi una speranza di rinascita, ancor più perché le vittorie decisive giungono contro Francia e Germania, due paesi verso cui il gap economico tende ad allargarsi, ma non è che un’illusione poiché anche il calcio, nel quinquennio successivo seguirà il declino del paese. Senza un’adeguata programmazione e un investimento sui vivai, il futuro dell’Italia (non solo calcistica) difficilmente potrà essere roseo.

 

7 IL TITOLO MONDIALE DI PRIMO CARNERA (1933)

Primo Carnera è l’atleta che prima di ogni altro ha contribuito al successo del pugilato in Italia. Iniziò la carriera come fenomeno da baraccone funzionale alle esigenze della malavita italo-americana. Col tempo però affinò la tecnica e divenne un ottimo pugile. Grazie alle vittorie su Uzkudum e Schaaf (che morì 4 giorni dopo il combattimento per la somma dei pugni subiti da Carnera e Baer) Carnera smise di essere un simbolo solo per gli italo-americani e venne adottato anche dal regime fascista. Nel 1933 raggiunse l’apice della propria carriera quando sfidò Jack Sharkey al Madison Square Garden per il mondiale, mettendo K.O. il pugile americano alla sesta ripresa, conquistando così il titolo.

Carnera mantenne la corona contro Uzducum ma nel 1934, dopo la sconfitta con Baer, iniziò la sua parabola discendente. Per volere del regime fascista, che aveva scelto il pugile per autorappresentarsi, i giornali ne oscurarono il declino fino a farlo cadere nell’oblio.

Il gigante buono e ingenuo, raggirato dai manager e strumentalizzato dal regime, resta però il capostipite di una tradizione pugilistica italiana che ha prodotto campioni come Nino Benvenuti, Patrizio Oliva e Roberto Cammarelle.

 

6 IL RECORD DEL MONDO DI MENNEA (1979)

Nonostante dei riflessi alla partenza non certo felini e uno stile di corsa giudicata dai puristi brutto, sgraziato e rigido, Pietro Mennea da Barletta, con la sua progressione di corsa inimitabile, è stato il più grande atleta italiano che abbia calpestato le piste d’atletica. Professionista dell’allenamento nel quale si sottoponeva con carichi di lavoro impressionanti, Mennea incarnava la rabbia di un sud Italia povero di infrastrutture ma dalla grande passione sportiva.

Il 12 settembre 1979 alle Universiadi di Città del Messico vinse i 200 metri in 19’’72, un record del mondo che resistette per ben 17 anni quando fu superato da un altro grandissimo della disciplina, Michael Johnson. Mennea certificò quel record aggiudicandosi l’oro alle Olimpiadi di Mosca del 1980.

Il piccolo velocista bianco capace di competere alla pari con i fenomeni americani oltre a tre medaglie olimpiche, due mondiali e 6 europee, non solo è un pluri-laureato, euro-parlamentare e avvocato di successo, ma probabilmente è stato uno dei grandi dirigenti sportivi mancati del nostro paese.

 

5 LE OLIMPIADI DI ROMA (1960)

Dopo le Olimpiadi invernali di Cortina 1956 quelle di Roma del 1960 (assegnate nel 1965) certificano la ritrovata credibilità dell’Italia all’interno della comunità internazionale.

Le Olimpiadi italiane giungono nel pieno del boom economico, mostrano la grandezza architettonica di Pierluigi Nervi e, sfruttando preparati dirigenti e tecnici sportivi (alcuni dei quali nostalgici del regime), portano un bottino di  36 medaglie (13 d’oro, 10 d’argento e 13 di bronzo). Fra esse brillano quelle di Livio Berruti sui 200 metri, Musso – Benvenuti – de Piccoli nella boxe, del settebello, Delfino nella spada e le sette nel ciclismo.

Anche se le Olimpiadi sono segnate dalla morte del ciclista Enemark Jensen, notizia sostanzialmente taciuta e censurata dalla stampa italiana, l’“Olimpiade dal volto umano” impressiona gli osservatori stranieri per l’efficienza messa in campo da un paese troppo spesso sottovalutato.

 

4 LA TRAGEDIA DEL SUPERGA (1949)

Il 4 maggio del 1949 è una data maledetta. Il trimotore Fiat G 212 di ritorno da Lisbona alle 17.03 si schianta contro il colle che ospita la Basilica di Superga, non ci sono sopravvissuti. Fra le 31 vittime 18 sono calciatori del Torino: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti e Julius Schubert. Centinaia di migliaia di persone vollero omaggiare quella squadra a cui fu assegnato il 5° scudetto. Un anno più tardi la nazionale di calcio, piuttosto che prendere l’aero, affrontò una lunghissima trasferta in nave.

Dopo la distruzione causata dalla guerra e dall’oppressione del ventennio fascista, dal 1946 a quella luttuosa giornata il “Grande Torino”, con il suo gioco spumeggiante e i suoi successi, aveva incarnato i desideri di rinascita degli italiani.

Lo schianto del 1949 privò il calcio italiano della sua gioventù migliore. Montanelli scrisse: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta»

 

3 LA MARATONA DI DORANDO PIETRI (1908)

Il 24 luglio 1908 si disputa la maratona, gara principale delle Olimpiadi di Londra del 1908; fra i partecipanti c’è un baffuto corridore di Carpi che di mestiere fa il garzone. A dispetto dei pronostici quando entra nel White City Stadium si ritrova con un vantaggio abissale sui rivali e la folla lo accoglie con un’ovazione. Dorando Pietri però non corre più, ciondola accecato dalla stricnina (sostanza allora presa comunemente da tutti i corridori) e prende la direzione sbagliata collassando a terra più volte. Incitato dalla folla e sorretto da un megafonista e da un medico, impiega 10 minuti a compiere gli ultimi metri e dopo aver tagliato la linea del traguardo crolla a terra. L’aiuto ricevuto gli costa la squalifica ma quando l’indomani riprese conoscenza fu ricoperto di elogi, fiori e regali fra cui quello della Regina Alessandra che, poiché non era stato responsabile della propria squalifica, lo omaggiò con una coppa piena di sterline.

La stampa italiana diede per la prima volta grande risalto all’evento e il carpigiano, autore di un’impresa che neppure i giudici poterono cancellare, divenne così la prima leggenda, celebrata tutt’oggi, dello sport italiano.

 

2 IL MONDIALE DI SPAGNA (1982)

Mettiamo da una parte l’immagine di Mussolini che pontifica il successo (con annesso saluto romano) della nazionale italiana ai Mondiali del 1934 (poi ripetuto nel 1938 e alle Olimpiadi del 1936) e dall’altra il presidente della repubblica Sandro Petrini che, dopo aver celebrato il successo azzurro, gioca a scopa con Zoff, Causio e Bearzot; la differenza fra i successi degli anni ‘30 e quello degli anni ‘80 sta tutta qui.

Anche la modalità con cui venne raggiunto questo successo contribuisce ad accrescere il mito del Mondiale dell’82. Dopo un quadriennio di critiche e una qualificazione alla seconda fase ottenuta da tre striminziti pareggi, la squadra italiana fece quadrato, dichiarando il silenzio stampa, e da brutto anatroccolo si trasformò in un cigno. Grazie ai goal di Paolo Rossi e alle serpentine di Bruno Conti l’Italia si laureò per la terza volta campione del mondo, sconfiggendo nell’ordine: Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest. La vittoria calcistica e il triplice “campioni del mondo” urlato dal telecronista Nando Martellini certificarono la fine della crisi degli anni Settanta e l’inizio di una stagione di benessere diffuso, basato sul debito, e incarnato dalla “Milano da bere”.

 

1 GINO BARTALI CHE VINCENDO IL TOUR “SALVA” L’ITALIA DALLA GUERRA CIVILE (1948)

Bartali, come Carnera, è stato uno di quei simboli sportivi che il fascismo aveva fatto propri. Ginettaccio però, vicino all’Azione Cattolica, non sostenne mai, neppure simbolicamente il partito fascista, evitando di posare in camicia nera o di prestarsi al saluto romano. Nel 1938, quando vinse il suo primo Tour de France, venne ampiamente strumentalizzato dal regime fascista.

La guerra privò Bartali dei suoi anni migliori ma portò in Italia la democrazia. Il dopoguerra di Ginettaccio fu segnato dal rifiuto di candidarsi con la DC, dalla rivalità (più nell’immaginario collettivo che non nella realtà) con Fausto Coppi e da un sogno: rivincere il Tour de France a 10 anni di distanza. “È troppo vecchio” dissero in tanti, ma le critiche aprioristiche non fecero altro che caricare la cattiveria agonistica del testardo campione toscano.

Nell’aprile del 1948 si erano tenute le prime elezioni della Repubblica italiana, vinte dalla Democrazia Cristiana ma le tensioni interne e internazionali contribuivano ad accrescere il clima di divisione in seno al paese. Gino partì alla volta del Tour, accordandosi con Binda, suo “direttore sportivo”, per una partenza lenta volta a far credere che Bartali fosse fuori forma. Irritato per la poca considerazione nei suoi confronti e accusato da alcuni ciclisti di essere troppo vecchio, Gino andò a vincere la prima tappa facendo infuriare Binda. Dopo questa “bravata iniziale” Bartali seguì le direttive del suo stratega per far sì che i rivali, Bobet e Robic, si scannassero fra di loro. Dopo aver accumulato nelle prime tappe un ritardo di 20 minuti il campione toscano conquistò due importanti successi a Lourdes e a Tolosa, ma il 13 luglio, complice una foratura, finì vittima di una trappola ordita dai francesi che si allearono “fregandolo come un bischero” e ricacciandolo nuovamente a più di 20 minuti di ritardo.

Il giorno successivo era previsto riposo e, mentre Bartali rimuginava sulla tappa di Cannes, a Roma Antonio Pallante scaricò quattro colpi di rivoltella sul segretario del PCI Palmiro Togliatti, che, tifoso di Bartali, nei giorni precedenti si era personalmente assicurato che l’Unità sostenesse il ciclista toscano al di là dello stereotipo secondo cui la rivalità Coppi/Bartali fosse anche politica. Con Togliatti in fin di vita, le piazze si  riempirono e la Cigl proclamò lo sciopero generale. Non appena la notizia di un pericolo rivoluzionario arrivò a Cannes, i giornalisti italiani lasciarono il Tour e i gregari di Bartali, preoccupati per le loro famiglie, spinsero a fare altrettanto. Il toscanaccio era ormai convinto di aver perso il suo sogno di poter rivincere il Tour quando arrivò una telefonata di Alcide de Gasperi che chiese: «Pensi di poter vincere ancora il Tour? Sai, sarebbe importante. Non soltanto per te». Il giorno successivo Bartali fece l’impresa scalando in modo imperioso l’Izoard e recuperando quasi tutto il distacco su Bobet. Il 16 luglio era nuovamente in maglia gialla che portò orgogliosamente fino a Parigi.

Togliatti, che nel frattempo si era ripreso, dall’ospedale predicò la calma contribuendo in modo decisivo a smorzare il clima di guerra civile, ma chiese anche notizie di Bartali al Tour. La retorica cattolica non poteva certo concedere al proprio rivale politico il merito di aver salvato la democrazia dalla guerra civile; Bartali era un simbolo molto più adatto e per di più era amato, nonostante i niet dogmatici, anche a sinistra. Fu così che man mano che la minaccia rivoluzionaria retrocedeva, il mito di Bartali come salvatore della patria prese forma e si cristallizzò come leggenda nella storia italiana.

Articolo scritto per www.thepostinternazionale.it e pubblicato anche per www.pianeta-sport.net e www.centrostudiconi.it
(Le citazioni su Bartali sono tratte da Turrini, Bartali, L’uomo che salvò l’Italia pedalando, Milano, Mondadori, 2004 e Facchinetti, Bartali e Togliatti, Roma, Campagna Editoriale, 1981)