AL VIA IL CAMPIONATO

Domenica 1° Maggio, festa dei lavoratori, ha preso il via il Campionato italiano di cricket di serie A e B. Cinque squadre (Bologna, Capannelle, Kingsgrove Milano, Pianoro e Trentino) si contendono il massimo campionato, in cui vige la regola di schierare sette italiani (o equiparati) su undici, mentre nel campionato cadetto, in cui gli italiani da schierare obbligatoriamente sono solo due, le squadre iscritte sono sei (Lions Brescia, Casteller, Genoa, Latina Lanka, Sri Lanka Milano e Venezia).

Rispetto allo scorso anno, pur perdendo due squadre – Maremma e Pgs Lux – il campionato di serie A si prospetta assai avvincente: se il Pianoro, il Kingsgrove e il Trentino sembrano in pole position, Capannelle e Bologna potrebbero comunque dire la loro. La conferma si è avuta sin dal primo turno, in cui, pur perdendo entrambe, il Bologna e il Capannelle hanno messo in seria difficoltà i più quotati avversari.

 

Bologna C. C. 161 perde da Trentino C. C. 162/9

Sul nuovo campo Dozza al Navile, creato in occasione della World Cricket League, il Bologna ospita il Trentino. Vinto il toss, Alaud Din, capitano degli ospiti decide di lanciare per primo: scelta che si rivelerà vincente, perché i trentini riescono a limitare i felsinei a quota 161 prendendo numerosi wicket nel secondo terzo dell’inning. Fra i battitori bolognesi, da segnalare le prestazioni di Hiran Alex (44 runs) Asela (36) e Chamara (27). Nonostante il target di 161 punti sembri prospettare una vittoria in scioltezza per i trentini,  grazie ai suoi lanciatori (Manjula, Alex e Chamara) il Bologna riesce a cambiare l’inerzia dell’incontro. Sul 140/9 la partita si fa sempre più avvincente: se al Trentino servono 22 punti in 36 lanci, al Bologna è sufficiente un’eliminazione per vincere. Nelle azioni di gioco successive, però, i fielder rossoblù perdono numerose occasioni di eliminare il batsman trentino Anwer che conclude l’incontro con 64 punti not out, venendo indicato unanimemente come il miglior giocatore dell’incontro.

 

Pianoro C. C. 278 batte Capannelle C. C. 259

Nel campo nell’ippodromo Capannelle a Roma si scontrano due società storiche del cricket italiano, il Pianoro e il Capannelle (18 scudetti e 14 coppe Italia in due). I romani vincono il toss e decidono di far attaccare gli emiliani. Con un Poli in condizioni precarie, e senza i lanciatori Hussain e Hasan, è l’all rounder della nazionale Hemantha Jayasena a caricarsi la squadra sulle spalle con 53 punti in battuta. Galvanizzati dal positivo inizio, i pianoresi del Tecnessenze continuano a battere bene con Mushtaq (50 runs), Rodrigo (29),  Zuppiroli (32), Sivalingaperumal (27) e Qureshi (25). Il Pianoro chiude il suo inning (50 overs / 300 palle) a quota 272, un punteggio che pare inarrivabile per compagine romana. Guidati da due vecchie volpi come Kurukulasuriya e Da Costa, i giovani biancoverdi pongono in essere buone partnership grazie al già citato  Kurukulasuriya (72 runs) a Ijaz (59 runs) e alle promesse Morettini (24) e Peret (31). La tecnica e l’impegno dei romani, però, non era sufficiente a completare l’inseguimento che si esaurice a 259 punti, a soli 14 runs dal target.

 

Un inizio di campionato davvero avvincente che non ha sicuramente deluso gli spettatori presenti ai due incontri. Domenica 8 gennaio si disputerà la seconda giornata con il match clou dell’Oval di Rastignano (BO), dove i padroni di casa, campioni in carica, terranno il battesimo dei vicecampioni del Milan Kingsrove C. C. guidati da una leggenda vivente del cricket italiano come Kariyawasam e dalla promessa Roshendra Abeywickrama. L’anno scorso finì in pareggio, impossibile stilare un pronostico.

Altrettanto incerta pare la sfida di Trento con i trentini in gran forma al lancio e i romani in grande spolvero in battuta.

 

CLASSIFICA

Pos ASA Giocate Vinte Perse Punti
1 Pianoro 1 1 0 20
2 Trentino 1 1 0 19
3 Capannelle 1 0 1 7
3 Bologna 1 0 1 7
5 Kingsgrove 0 0 0 0

 

SERIE B

Anche in serie B si sono viste belle partite. Nel big match di Brescia fra le due favorite del campionato, i Lions Brescia (230) campioni in carica hanno avuto la meglio del Latina Lanka (168) per 62 runs, una sconfitta abbastanza netta. Nessuna sorpresa, invece, nell’incontro di Genova dove il Casteller ha alzato bandiera bianca sconfitto dal Genoa per tre wicket. Infine, nell’incontro più equilibrato della giornata, sul prato di Campalto il Venezia (151) ha battuto lo Sri Lanka Milano (122) per 29 runs. Una partita molto avvincente decisa dal valore dei lanciatori veneziani, in particolare dei due giovanissimi equiparati Imran Kahn (3 wicket e altre due eliminazioni provocate) e Tuhin Rahman (wicket decisivo). Domenica prossima il Brescia è chiamato a confermare il primato in una facile trasferta a Treviso, il Genoa ospiterà lo Sri Lanka Milano mentre il Latina Lanka sul neutro di Firenze (Campo Ippodromo Cascine) cerca la prima vittoria stagionale contro il Veneta Sanitaria Venezia.

 

CLASSIFICA

Pos ASA Giocate Vinte Perse Punti
1 Lions Brescia 1 1 0 20
2 Venezia 1 1 0 18
3 Genoa 1 1 0 18
3 Latina Lanka 1 0 1 7
5 Sri Lanka Milano 1 0 1 6
6 Casteller 1 0 1 4

 

 

BOLOGNA, CHE SIA LA PRIMA VOLTA?

Il Bologna Cricket Club è una delle società con maggior storia e tradizione del cricket italiano; pur non avendo mai conquistato lo scudetto ha vinto due volte la Coppa Italia (2003, 2004). In primavera è stato uno dei club più attivi nell’organizzazione di amichevoli con squadre del centro nord quali: San Leonardo Cricket Club (Milano), Modena Cricket Club (due volte), Verona Cricket Club, Genoa Cricket Club, Milan Kingsgrove Cricket Club, Sri Lanka Milano Cricket Club e Venezia Cricket Club.

Lo scorso weekend i ragazzini dell’under 13 si sono ben comportati raggiungendo la finale del campionato di categoria persa contro i romani dell’Olgiata.

A una settimana dall’esordio casalingo contro il Trentino Cricket Club, l’ex capitano Ranil Manjula e Kalum Asanka Perera illustrano le ambizioni di una squadra che lo scorso anno ha finito il campionato, con qualche rimpianto, al quarto posto.

Il campionato di serie A perde PGS Lux e Maremma si torna alla formula del 2009 con il campionato a 5 squadre e la finale scudetto: un giudizio?

RANIL MANJULA: «Personalmente preferivo di gran lunga la struttura dello scorso anno».

KALUM ASANKA PERERA: «Io invece ritengo che sia meglio la formula attuale».

Qual è l’obiettivo di quest’anno?

RM: «Speriamo di arrivare in finale».

KAP: «Vincere lo scudetto o quantomeno arrivare in finale».

Chi sono i giocatori più importanti per raggiungere i vostri obiettivi stagionali?

RM: «In battuta Chamara Hettimulla resta il nostro uomo chiave, ma quest’anno cercheremo di vincere le partite con gli spin bowler. Abbiamo tre lanciatori spinner: Hiran Alex, Janith e Sumayal Hoq. Speriamo possano essere decisivi».

KAP: «Un solo nome: Chamara Hettimulla. Lo scorso anno da capitano ha messo a segno 502 runs e ha preso 12 wicket»

Quali sono gli avversari più temibili?

RM: «Il capitano del Pianoro Cricket Club Hemantha Jayasena».

KAP: «Anche secondo me l’avversario più pericoloso è sempre Jayasena».

Su quale squadra farete la vostra corsa?

RM: «Il Pianoro, sia per vicinanza geografica, sia perché è la squadra campione in carica, è e resterà sempre la nostra rivale principale».

Chi vincerà lo scudetto?

RM: «Il Bologna».

KAP: «Il Bologna».

 

LA ROSA

STR: Ranil Manjula, Chamara Hettimulla, Janith Kokila, Alex Hiran, Kenet Perera, Hashan.
ITA: Saverio Fabbri, Abula Kayer (CAP), Sumayal Hoq, Opu, Addur Reheman, Mohommed Razzak, Anik, Mario Bianco, Gamini.

ALLA SCOPERTA DEL MILAN KINGSROVE

Con l’arrivo della bella stagione anche in Italia si è ricominciato a giocare a cricket: tra marzo ed aprile si sono disputate innumerevoli amichevoli, nel week-end la squadra romana dell’Olgiata ha vinto in finale contro il Bologna il campionato Under 13, nell’anticipo dell’Under 19 il Venezia ha sconfitto l’Ancona e da alcune settimane è già in corso il campionato Uisp. Dal primo maggio, però, si inizierà a fare sul serio con il via ai campionati di serie A e B. Ai nastri di partenza della massima divisione italiana ci sono cinque squadre: Bologna, Capannelle, Milan Kingsgrove, Pianoro e Trentino.

Qualche ambizione la nutre il Milan Kingsgrove, squadra meneghina che lo scorso anno, alla prima esperienza in serie A, ha raggiunto un prestigioso secondo posto. Fabio Marabini, giocatore e presidente del club, accarezza forse il grande sogno?

Il campionato di serie A perde PGS Lux e Maremma, si torna alla formula del 2009 con il campionato a 5 squadre e con la finale scudetto: un giudizio?

«Il Maremma è una perdita grave, ma oggettivamente non aveva senso giocare in quel modo. Peccato per il campo, che è tra i migliori in Italia, e per la città, dove c’è una tradizione degli sport di mazza e palla e un’amministrazione attenta alle esigenze degli sport minori. La Lux aveva un potenziale maggiore ma, tra il problema del campo e alcuni problemi tipici del cricket italiano, ha dovuto rinunciare. Personalmente ritengo che il cricket italiano con la serie A a cinque squadre faccia un grosso passo indietro: meglio allargarla. Inoltre sono contrario alle tre finali, meglio la finale secca in campo neutro.»

Qual è l’obiettivo di quest’anno?

«Divertirsi. Poi si vedrà strada facendo se posizionare l’asticella più in alto.»

Chi sono i giocatori più importanti per raggiungere gli obiettivi stagionali?

«In battuta abbiamo ancora qualcosa da sistemare, puntiamo su una complessiva crescita tecnica del reparto e ci abbiamo lavorato sopra in inverno: in Italia è importante battere per 50 over. Al lancio, il nome scontato è Roshendra Abeywickrama, ma attenzione ad Alamin Mia e Zain Ul Abidin, che con la palla nuova fanno male e sanno essere economici, e ad Adnan Mohammad che, lo dicono le statistiche, è il migliore spinner con Alì Amjad. Poi l’anno scorso il contributo dei part time bowler come Mainul Islam o il sottoscritto è stato considerevole. Speriamo di ripeterci ma sarà dura, non siamo più una sorpresa.»

Quali sono i giocatori avversari più temuti?

«Paura di nessuno, rispetto per tutti. L’anno scorso pensiamo di aver peccato di ingenuità e ci mancava un po’ di esperienza su certi tipi di pitch, ma in B il livello dei giocatori è altrettanto elevato: ci sono giocatori in entrambe le serie che possono vincere le partite da soli, ma gli stessi possono uscire alla prima palla o incappare in giornate no, that’s cricket! I battitori più pericolosi sono Rizwan del Trentino e Rodrigo a Pianoro mentre i lanciatori più temibili sono Di Giglio e Ali del Pianoro e Senn del Capannelle. Ma ce ne sono altri in ogni squadra.»

Su quale squadra farete la vostra corsa?

«Come l’anno scorso giocheremo una partita alla volta: quest’anno iniziamo da Pianoro dove abbiamo finito lo scorso anno, vediamo come va a finire questa volta.»

Chi vincerà lo scudetto?

« Pianoro: sai mai che gliela tiro…»

 

LA ROSA

1 Abeywickrama R., 2 Alaranda Ganapathy M., 3 Amjad A., 4 Dodangoda M., 5 Arnold M., 6 Fernando W. T. N., 7 Islam M., 8 Kariyawasam K. I., 9 Lee A. D., 10 Marabini F., 11 Mia A., 12 Mohammad A., 13 Subasinghe Nissanka C. D., 14 Zain U. A., 15 Werasinghe G.D. K. W., 16 De Silva D. A. W., 17 Alawala Dewage C. M. C., 18 Cheema Z. H., 19 Gallenaghe Don R., 20 Welarathna C., 21 Sandeep K., 22 Rubera Jayathunga M., 23 Welarathna S. N., 24 Khalid N., 25 Warnakulasuriya A., 26 Arsakulasoorya C.

QUANDO LO SPORT HA FATTO L’ITALIA

Oggi si festeggiano i 150 anni dell’unità nazionale: un secolo e mezzo di storia in cui lo sport ha scritto pagine importanti.

A 150 anni di distanza dalla data simbolica scelta per celebrare l’unità d’Italia possiamo con certezza affermare che lo sport non è stato un fattore neutrale, ma ha contribuito costantemente nel definire e ridefinire l’identità italiana. Del resto siamo il paese in cui il quotidiano più venduto è la Gazzetta dello Sport e l’inno di Mameli e il tricolore sono suonati e sventolati principalmente in occasione di eventi sportivi.

Quali sono stati nel corso della storia i 10 momenti più significativi per l’identità italiana? Ecco una personalissima classifica tenendo conto delle diverse discipline e delle differenti epoche storiche.

 

10 L’ITALIA VINCE LA COPPA DAVIS IN CILE (1976)

Grazie a una generazione d’oro rappresentata da Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Antonio Zugarelli e Adriano Panatta, il tennis italiano da sport borghese diventa popolare. Panatta, il D’Artagnan fra i moschettieri azzurri, quell’anno vinse anche gli internazionali di Roma e il Rolland Garros.

Fino alla finale, conquistata sconfiggendo la Yugoslavia, la Svezia, il Regno Unito e l’Australia, il cammino degli azzurri è un’apoteosi; il gota del tennis mondiale si deve inchinare agli alfieri azzurri. Il rivale della finale però crea maggiori problemi dal punto di vista politico che non sportivo. Il Cile di Fillol e Cornejo non fa paura ma pone la questione sull’opportunità di giocare in un paese con cui si sono rotte le relazioni diplomatiche e a pochi metri di distanza da uno stadio usato fino a poco tempo prima come campo di concentramento dal regime di Pinochet.

La società civile si mobilita per chiedere il boicottaggio, il Coni e la Fit si muovono nell’ombra per non perdere una vittoria certa, mentre il governo temporeggia difendendosi dietro lo slogan dell’indipendenza dello sport dalla politica. Alla fine gli azzurri vanno in Cile dove vincono facilmente, ma vengono boicottati da parte della stampa tanto che la provocatoria maglietta rossa indossata da Panatta e Bertolucci nella prima parte del doppio non viene neppure citata nei principali quotidiani sportivi. Il trionfo di Santiago 1976 rappresenta allo stesso tempo l’apice del tennis italiano, ma anche uno dei principali momenti in cui le implicazioni politiche veicolate dallo sport hanno provocato la reazione dell’opinione pubblica.

 

9 I DUE ORI DI ALBERTO TOMBA ALLE OLIMPIADI DI CALGARY (1988)

L’anno precedente aveva vinto un bronzo ai mondiali ma alle Olimpiadi di Calgary Alberto Tomba fece un capolavoro conquistando due ori. Il 25 febbraio sfruttando al meglio il pettorale numero 1 vinse lo slalom gigante con un vantaggio abissale su Strolz e Zurbriggen; due giorni dopo conquistò in rimonta anche lo slalom speciale. In quell’occasione l’Italia intera, Festival di Sanremo compreso, si fermò per accompagnare la discesa di Albertone.

Le vittorie di questo ragazzo degli Appennini cancellarono la credenza per cui  solamente gli abitanti delle valli alpine potevano eccellere in questa disciplina. La saga di “Tomba la Bomba”, che smise ben presto di partecipare ai super giganti e alle discese libere perché “la mamma non vuole”, continuò per tutti gli anni Novanta. Arrivarono altre tre medaglie olimpiche e altrettante mondiali, quattro coppe di specialità, sia in gigante sia nello speciale, e soprattutto la coppa del mondo del 1995.

Più ancora dei trionfi di Zeno Colò e Gustav Thöni  furono soprattutto quelli di Tomba che permisero allo sci di uscire dalle Alpi, diventando in tutto e per tutto lo sport per eccellenza delle vacanze natalizie degli italiani.

 

8 IL MONDIALE DI CALCIO IN GERMANIA (2006)

La vittoria del Mondiale di calcio del 2006 è un fulmine a ciel sereno, una saettata d’orgoglio nazionale: inaspettata, intensa e fugace. Sono passati 5 anni e sembra già un’eternità.

L’Italia calcistica si era trovata nel pieno dello scandalo di corruzione ribattezzato Calciopoli; quella politica si appoggiava sul voto dei senatori a vita per poter legiferare. La vittoria è il trionfo dello stereotipo calcistico italiano costruito su una grande difesa e in cui a risultare decisivi non sono i campioni più attesi (Totti, Del Piero, Toni, Gilardino) bensì i gregari e le seconde linee (Grosso e Materazzi).

Dal punto di vista dell’identità nazionale la vittoria del mondiale appare per alcuni mesi una speranza di rinascita, ancor più perché le vittorie decisive giungono contro Francia e Germania, due paesi verso cui il gap economico tende ad allargarsi, ma non è che un’illusione poiché anche il calcio, nel quinquennio successivo seguirà il declino del paese. Senza un’adeguata programmazione e un investimento sui vivai, il futuro dell’Italia (non solo calcistica) difficilmente potrà essere roseo.

 

7 IL TITOLO MONDIALE DI PRIMO CARNERA (1933)

Primo Carnera è l’atleta che prima di ogni altro ha contribuito al successo del pugilato in Italia. Iniziò la carriera come fenomeno da baraccone funzionale alle esigenze della malavita italo-americana. Col tempo però affinò la tecnica e divenne un ottimo pugile. Grazie alle vittorie su Uzkudum e Schaaf (che morì 4 giorni dopo il combattimento per la somma dei pugni subiti da Carnera e Baer) Carnera smise di essere un simbolo solo per gli italo-americani e venne adottato anche dal regime fascista. Nel 1933 raggiunse l’apice della propria carriera quando sfidò Jack Sharkey al Madison Square Garden per il mondiale, mettendo K.O. il pugile americano alla sesta ripresa, conquistando così il titolo.

Carnera mantenne la corona contro Uzducum ma nel 1934, dopo la sconfitta con Baer, iniziò la sua parabola discendente. Per volere del regime fascista, che aveva scelto il pugile per autorappresentarsi, i giornali ne oscurarono il declino fino a farlo cadere nell’oblio.

Il gigante buono e ingenuo, raggirato dai manager e strumentalizzato dal regime, resta però il capostipite di una tradizione pugilistica italiana che ha prodotto campioni come Nino Benvenuti, Patrizio Oliva e Roberto Cammarelle.

 

6 IL RECORD DEL MONDO DI MENNEA (1979)

Nonostante dei riflessi alla partenza non certo felini e uno stile di corsa giudicata dai puristi brutto, sgraziato e rigido, Pietro Mennea da Barletta, con la sua progressione di corsa inimitabile, è stato il più grande atleta italiano che abbia calpestato le piste d’atletica. Professionista dell’allenamento nel quale si sottoponeva con carichi di lavoro impressionanti, Mennea incarnava la rabbia di un sud Italia povero di infrastrutture ma dalla grande passione sportiva.

Il 12 settembre 1979 alle Universiadi di Città del Messico vinse i 200 metri in 19’’72, un record del mondo che resistette per ben 17 anni quando fu superato da un altro grandissimo della disciplina, Michael Johnson. Mennea certificò quel record aggiudicandosi l’oro alle Olimpiadi di Mosca del 1980.

Il piccolo velocista bianco capace di competere alla pari con i fenomeni americani oltre a tre medaglie olimpiche, due mondiali e 6 europee, non solo è un pluri-laureato, euro-parlamentare e avvocato di successo, ma probabilmente è stato uno dei grandi dirigenti sportivi mancati del nostro paese.

 

5 LE OLIMPIADI DI ROMA (1960)

Dopo le Olimpiadi invernali di Cortina 1956 quelle di Roma del 1960 (assegnate nel 1965) certificano la ritrovata credibilità dell’Italia all’interno della comunità internazionale.

Le Olimpiadi italiane giungono nel pieno del boom economico, mostrano la grandezza architettonica di Pierluigi Nervi e, sfruttando preparati dirigenti e tecnici sportivi (alcuni dei quali nostalgici del regime), portano un bottino di  36 medaglie (13 d’oro, 10 d’argento e 13 di bronzo). Fra esse brillano quelle di Livio Berruti sui 200 metri, Musso – Benvenuti – de Piccoli nella boxe, del settebello, Delfino nella spada e le sette nel ciclismo.

Anche se le Olimpiadi sono segnate dalla morte del ciclista Enemark Jensen, notizia sostanzialmente taciuta e censurata dalla stampa italiana, l’“Olimpiade dal volto umano” impressiona gli osservatori stranieri per l’efficienza messa in campo da un paese troppo spesso sottovalutato.

 

4 LA TRAGEDIA DEL SUPERGA (1949)

Il 4 maggio del 1949 è una data maledetta. Il trimotore Fiat G 212 di ritorno da Lisbona alle 17.03 si schianta contro il colle che ospita la Basilica di Superga, non ci sono sopravvissuti. Fra le 31 vittime 18 sono calciatori del Torino: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti e Julius Schubert. Centinaia di migliaia di persone vollero omaggiare quella squadra a cui fu assegnato il 5° scudetto. Un anno più tardi la nazionale di calcio, piuttosto che prendere l’aero, affrontò una lunghissima trasferta in nave.

Dopo la distruzione causata dalla guerra e dall’oppressione del ventennio fascista, dal 1946 a quella luttuosa giornata il “Grande Torino”, con il suo gioco spumeggiante e i suoi successi, aveva incarnato i desideri di rinascita degli italiani.

Lo schianto del 1949 privò il calcio italiano della sua gioventù migliore. Montanelli scrisse: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta»

 

3 LA MARATONA DI DORANDO PIETRI (1908)

Il 24 luglio 1908 si disputa la maratona, gara principale delle Olimpiadi di Londra del 1908; fra i partecipanti c’è un baffuto corridore di Carpi che di mestiere fa il garzone. A dispetto dei pronostici quando entra nel White City Stadium si ritrova con un vantaggio abissale sui rivali e la folla lo accoglie con un’ovazione. Dorando Pietri però non corre più, ciondola accecato dalla stricnina (sostanza allora presa comunemente da tutti i corridori) e prende la direzione sbagliata collassando a terra più volte. Incitato dalla folla e sorretto da un megafonista e da un medico, impiega 10 minuti a compiere gli ultimi metri e dopo aver tagliato la linea del traguardo crolla a terra. L’aiuto ricevuto gli costa la squalifica ma quando l’indomani riprese conoscenza fu ricoperto di elogi, fiori e regali fra cui quello della Regina Alessandra che, poiché non era stato responsabile della propria squalifica, lo omaggiò con una coppa piena di sterline.

La stampa italiana diede per la prima volta grande risalto all’evento e il carpigiano, autore di un’impresa che neppure i giudici poterono cancellare, divenne così la prima leggenda, celebrata tutt’oggi, dello sport italiano.

 

2 IL MONDIALE DI SPAGNA (1982)

Mettiamo da una parte l’immagine di Mussolini che pontifica il successo (con annesso saluto romano) della nazionale italiana ai Mondiali del 1934 (poi ripetuto nel 1938 e alle Olimpiadi del 1936) e dall’altra il presidente della repubblica Sandro Petrini che, dopo aver celebrato il successo azzurro, gioca a scopa con Zoff, Causio e Bearzot; la differenza fra i successi degli anni ‘30 e quello degli anni ‘80 sta tutta qui.

Anche la modalità con cui venne raggiunto questo successo contribuisce ad accrescere il mito del Mondiale dell’82. Dopo un quadriennio di critiche e una qualificazione alla seconda fase ottenuta da tre striminziti pareggi, la squadra italiana fece quadrato, dichiarando il silenzio stampa, e da brutto anatroccolo si trasformò in un cigno. Grazie ai goal di Paolo Rossi e alle serpentine di Bruno Conti l’Italia si laureò per la terza volta campione del mondo, sconfiggendo nell’ordine: Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest. La vittoria calcistica e il triplice “campioni del mondo” urlato dal telecronista Nando Martellini certificarono la fine della crisi degli anni Settanta e l’inizio di una stagione di benessere diffuso, basato sul debito, e incarnato dalla “Milano da bere”.

 

1 GINO BARTALI CHE VINCENDO IL TOUR “SALVA” L’ITALIA DALLA GUERRA CIVILE (1948)

Bartali, come Carnera, è stato uno di quei simboli sportivi che il fascismo aveva fatto propri. Ginettaccio però, vicino all’Azione Cattolica, non sostenne mai, neppure simbolicamente il partito fascista, evitando di posare in camicia nera o di prestarsi al saluto romano. Nel 1938, quando vinse il suo primo Tour de France, venne ampiamente strumentalizzato dal regime fascista.

La guerra privò Bartali dei suoi anni migliori ma portò in Italia la democrazia. Il dopoguerra di Ginettaccio fu segnato dal rifiuto di candidarsi con la DC, dalla rivalità (più nell’immaginario collettivo che non nella realtà) con Fausto Coppi e da un sogno: rivincere il Tour de France a 10 anni di distanza. “È troppo vecchio” dissero in tanti, ma le critiche aprioristiche non fecero altro che caricare la cattiveria agonistica del testardo campione toscano.

Nell’aprile del 1948 si erano tenute le prime elezioni della Repubblica italiana, vinte dalla Democrazia Cristiana ma le tensioni interne e internazionali contribuivano ad accrescere il clima di divisione in seno al paese. Gino partì alla volta del Tour, accordandosi con Binda, suo “direttore sportivo”, per una partenza lenta volta a far credere che Bartali fosse fuori forma. Irritato per la poca considerazione nei suoi confronti e accusato da alcuni ciclisti di essere troppo vecchio, Gino andò a vincere la prima tappa facendo infuriare Binda. Dopo questa “bravata iniziale” Bartali seguì le direttive del suo stratega per far sì che i rivali, Bobet e Robic, si scannassero fra di loro. Dopo aver accumulato nelle prime tappe un ritardo di 20 minuti il campione toscano conquistò due importanti successi a Lourdes e a Tolosa, ma il 13 luglio, complice una foratura, finì vittima di una trappola ordita dai francesi che si allearono “fregandolo come un bischero” e ricacciandolo nuovamente a più di 20 minuti di ritardo.

Il giorno successivo era previsto riposo e, mentre Bartali rimuginava sulla tappa di Cannes, a Roma Antonio Pallante scaricò quattro colpi di rivoltella sul segretario del PCI Palmiro Togliatti, che, tifoso di Bartali, nei giorni precedenti si era personalmente assicurato che l’Unità sostenesse il ciclista toscano al di là dello stereotipo secondo cui la rivalità Coppi/Bartali fosse anche politica. Con Togliatti in fin di vita, le piazze si  riempirono e la Cigl proclamò lo sciopero generale. Non appena la notizia di un pericolo rivoluzionario arrivò a Cannes, i giornalisti italiani lasciarono il Tour e i gregari di Bartali, preoccupati per le loro famiglie, spinsero a fare altrettanto. Il toscanaccio era ormai convinto di aver perso il suo sogno di poter rivincere il Tour quando arrivò una telefonata di Alcide de Gasperi che chiese: «Pensi di poter vincere ancora il Tour? Sai, sarebbe importante. Non soltanto per te». Il giorno successivo Bartali fece l’impresa scalando in modo imperioso l’Izoard e recuperando quasi tutto il distacco su Bobet. Il 16 luglio era nuovamente in maglia gialla che portò orgogliosamente fino a Parigi.

Togliatti, che nel frattempo si era ripreso, dall’ospedale predicò la calma contribuendo in modo decisivo a smorzare il clima di guerra civile, ma chiese anche notizie di Bartali al Tour. La retorica cattolica non poteva certo concedere al proprio rivale politico il merito di aver salvato la democrazia dalla guerra civile; Bartali era un simbolo molto più adatto e per di più era amato, nonostante i niet dogmatici, anche a sinistra. Fu così che man mano che la minaccia rivoluzionaria retrocedeva, il mito di Bartali come salvatore della patria prese forma e si cristallizzò come leggenda nella storia italiana.

Articolo scritto per www.thepostinternazionale.it e pubblicato anche per www.pianeta-sport.net e www.centrostudiconi.it
(Le citazioni su Bartali sono tratte da Turrini, Bartali, L’uomo che salvò l’Italia pedalando, Milano, Mondadori, 2004 e Facchinetti, Bartali e Togliatti, Roma, Campagna Editoriale, 1981)

CHRISTOF INNERHOFER, ALFIERE D’ITALIA

Christof InnerhoferL’Italia festeggia quest’anno i suoi 150 anni di unità nazionale, un traguardo importante che rischia di non essere celebrato a dovere. Tutti i presupposti sembrano indicare l’ineluttabilità di un compleanno triste: il paese infatti vivacchia da quasi un anno sul filo di una crisi istituzionale, il Primo Ministro è sotto processo, il Ministro della Cultura, responsabile delle commemorazioni, ha rischiato di essere sfiduciato. All’interno del governo un partito che non riconosce l’idea stessa di Italia acquisisce di giorno in giorno un potere crescente e, dopo le esternazioni del presidente della Confindustria e del Ministro dell’Istruzione, la data del 17 marzo, che nel 1861 con la proclamazione del regno d’Italia suggellò l’unità nazionale, rischia di essere declassata da “festa nazionale” a semplice “solennità civile”. Tempi duri, insomma, per il nazionalismo italiano.

Come spesso accade quando la politica si dimostra assente o inadeguata, sono le forze culturali e la società civile a farne le veci. In questo senso lo sport rappresenta un vettore dell’identità nazionale italiana molto importante e troppo spesso sottovalutato. Senza voler scomodare i successi ai mondiali di calcio o la leggenda secondo cui la vittoria di Gino Bartali al Tour de France del 1948 salvò l’Italia dalla guerra civile, è abbastanza evidente che, proprio in virtù della debolezza di simboli istituzionali identitari condivisi, il rapporto fra sport e nazione nel nostro paese è sempre stato molto forte.

Una conferma della continuità di questo legame ci è arrivata proprio in questi giorni. La scorsa settimana il presidente della provincia autonoma di Bolzano e leader del partito Südtiroler Volkspartei Luis Durnwalder ha dichiarato che il suo partito e la sua provincia, in quanto minoranza austriaca che non ha scelto di vivere in Italia ma vi è stata costretta, non prenderanno parte alle celebrazioni dell’unità d’Italia. Ovviamente la presa di posizione del presidente della provincia autonoma di Bolzano ha suscitato critiche e ha costretto il Presidente della Repubblica Napolitano a intervenire per ricordare a Durnwalder il suo dovere di rappresentare non solo una “pretesa minoranza austriaca” ma anche quelle italiane e ladine presenti nel territorio. La migliore risposta alle polemiche è però arrivata da Garmisch-Partenkirchen, dove si stanno svolgendo i Campionati Mondiali di Sci Alpino, grazie a Christof Innerhofer, uno sciatore altoatesino nato a Brunico (Bruneck) il 17 dicembre di 26 anni fa, che, tra super gigante, discesa libera e supercombinata, ha portato a casa tre medaglie: una d’oro, una d’argento e una di bronzo.

Christof non ha fatto proclami né dichiarazioni politiche, ma ha semplicemente sciato alla grande e vinto. Così facendo ha fatto esplodere di gioia centinaia di migliaia di tifosi italiani e sudtirolesi, gettando invece nello sconforto quelli austriaci e nord tirolesi che, senza le strepitose prestazioni dello sciatore azzurro, avrebbero potuto aggiungere al palmares un oro e due bronzi. Inconsapevolmente, a pochi giorni dallo scontro verbale tra Durnwalder e Napolitano, Christof ha saputo più di chiunque altro ricucire lo strappo del presidente della provincia autonoma di Bolzano rendendo, per lo meno in campo sportivo, l’Italia orgogliosa dell’Alto Adige e l’Alto Adige orgogliosa dell’Italia.

Articolo scritto per www.pianeta-sport.net e riproposto su www.thepostinternazionale.it