I SAMURAI FANNO SUL SERIO

Partiti come grandi favoriti della Coppa d’Asia, i Samurai Blu hanno terminato il loro girone in prima posizione per poi battere i padroni di casa del Qatar nei quarti di finale, al termine di una gara molto tirata e spettacolare.

GiapponePartiti come grandi favoriti della Coppa d’Asia, i Samurai Blu hanno terminato il loro girone in prima posizione per poi battere i padroni di casa del Qatar nei quarti di finale, al termine di una gara molto tirata e spettacolare. Parliamo quindi proprio dell’approccio tattico delle due squadre, focalizzandoci in particolare sulla nazionale del Sol Levante, e vediamo com’è andata la partita e chi ne è stato il grande protagonista.

Padroni di casa schieratisi con un classico 4-4-2 con Burhan a difesa dei pali protetto da una linea a quattro composta, da destra a sinistra, da Al-Hamad, Mohammed, Al Ghanim ed Abdulmaged. Ismail ed El Sayed le ali di centrocampo, Rizki e Quaye i mediani. Davanti, infine, Ahmed e Soria l’uno al fianco dell’altro. Di contro i giapponesi rispondono con un 4-2-3-1 con Kawashima in porta, Inoha e Nagatomo terzini e Yoshida-Uchida centrali. Endo e Hasebe i centrocampisti con licenza di rompere il gioco altrui per fare ripartire l’azione, ed un trio di trequartisti composto da Kagawa, Honda ed un Okazaki con licenza di scambiarsi di posizione con l’unica punta, Maeda.

Subito una buona partenza da parte dei padroni di casa che applicando un gran pressing sul centrocampo avversario impediscono alle due fonti di gioco nipponiche di poter impostare l’azione con efficacia. Per amplificare l’operato dei mediani, quindi, anche l’accoppiata Soria-Ahmed si mette a fare pressing alto, dando non pochi problemi al duo Uchida-Yoshida. Pressing, quello qatarese, abbinato ad una linea di difesa molto alta atta a tenere quanto più corta possibile la squadra. Aspetto, questo, riscontrabile anche da parte nipponica. Presto detto quale ne è stato il risultato: congestione massima a centrocampo.

E’ comunque bene, trattandosi di una rubrica di tattica calcistica, soffermarci un pochino di più sulla difesa giapponese. Perché come tutti credo ricorderete il buon Zaccheroni divenne famoso per l’adozione di un modulo poi non molto usato, ovvero sia un 3-4-3 che prevedeva una linea difensiva composta da tre soli uomini, contro i quattro di questo Giappone. Andando bene a vedere, però, la linea difensiva nipponica sa mutare di forma e sostanza un po’ con la stessa facilità con cui un camaleonte cambia il colore della propria pelle. Spesso e volentieri, infatti, uno dei terzini va a stringersi avvicinandosi ai centrali dando via libera all’altro, più libero di avanzare. Questo, che con la formazione base del match in esame vedeva spesso Inoha accentrarsi ed il cesenate Nagatomo sganciarsi, permette quindi alla retroguardia della nazionale del Sol Levante di passare da quattro a tre uomini, mutando quindi anche l’approccio difensivo della squadra intera.

Finezze tattiche a parte va comunque detto che ad inizio match ciò che si fa sentire di più è il fattore campo, che carica a molla i padroni di casa. Spronati dalla voglia di ben figurare davanti al proprio pubblico, infatti, i ragazzi allenati da Bruno Metsu partono subito a spron battuto cercando di imporsi fin dai primi attimi. Non risulta quindi essere un caso se Kawashima sarà chiamato a compiere due interventi importanti già nei primi nove minuti di gioco. Il tutto anche perché la difesa alta di cui abbiamo parlato risulta in realtà rivelarsi un’arma a doppio taglio per i Samurai Blu: se da una parte permetterà loro di tenere corta la squadra dall’altra darà modo agli avversari di poter colpire in velocità, quantomeno quando la trappola del fuorigioco non è in grado di scattare. Un po’ come al dodicesimo minuto di gioco, insomma, quando l’uruguaiano Soria, naturalizzato qatariota proprio per questioni calcistiche, s’infila sulla sinistra della retroguardia nipponica per poi, una volta entrato in area, battere Yoshida nell’uno contro uno andando ad infilare l’estremo difensore avversario con un tiro sul primo palo che, in realtà, sarebbe stato parabilissimo.

Parlando di tasso tecnico, però, il divario è ampio. E questa differenza si fa sentire in special modo quando i nipponici decidono di far girare palla. Come al ventottesimo minuto, quando imbastiscono una bella azione che viene finalizzata da Kagawa, stellina di quel Borussia dei miracoli di cui vi parlai settimana scorsa. Il tutto, e non è un caso, nasce sulla sinistra: come abbiamo detto, infatti, Nagatomo ha licenza di spingere e proprio la sua pressione costante risulta essere un aiuto non indifferente alla squadra. Interessante, nell’occasione, vedere il movimento della star di Dortmund, che dopo aver ricevuto ai venticinque metri dalla porta scaricherà il pallone centralmente per Honda, puntando poi proprio la porta qatariota. Movimento importante, questo: il trequartista del CSKA, infatti, servirà di prima intenzione Okazaki che partito sul filo del fuorigioco si presenterà a tu per tu con l’estremo difensore avversario, provando a batterlo con un pallonetto che si rivelerà però un po’ corto. Non troppo corto, tuttavia, per Kagawa, che scattato alle spalle di tutti i difensori potrà andare a raccogliere il pallone per infilarlo comodamente in rete prima che la retroguardia di casa possa intervenire e sventare la minaccia.

Ad inizio ripresa Metsu, grande giramondo del calcio mondiale, aggiusta la sua squadra arretrando e decentrando Ahmed sulla trequarti destra, per cercare di contrattaccare Nagatomo impedendogli così di affondare con continuità sulla fascia ed inserendo l’ex napoletano Montezine in luogo di El Sayed per avere più qualità a centrocampo. Il match però cambia intorno all’ora di gioco, quando Yoshida viene ingiustamente espulso per doppia ammonizione (la sua entrata su Ahmed è sul pallone, cartellino giallo fuori luogo) e sulla punizione che ne segue Kawashima commette un errore piuttosto grossolano sulla conclusione di Montezine, favorendo il secondo vantaggio della squadra di casa.  A quel punto il nostro Zaccheroni si trova di fronte ad un problema non da poco: c’è in fatti da dare un nuovo equilibrio ad una squadra che va a trovarsi in inferiorità numerica. Per provare a sistemare le cose, quindi, il tecnico di Meldola inserisce un centrale difensivo, Iwamasa, al posto dell’unica punta, Maeda, passando quindi ad un 4-2-3 in cui sarà Honda a dover rivestire il duplice ruolo di trequartista centrale e, all’occorrenza, punta.

I padroni di casa, però, non sapranno sfruttare l’uomo in più: lasceranno infatti assolutamente troppo campo agli avversari che anche grazie ad una maggiore tecnicità riusciranno ad improntare l’ultimo terzo di gara su di un possesso palla spiccatamente in loro favore, con il duo Endo-Hasebe che prenderà in pieno possesso del centrocampo. A fare la differenza, quindi, sarà il maggior tasso tecnico della squadra dell’estremo oriente, così come il loro maggior coraggio e la presenza di un Kagawa assolutamente ispirato: dopo aver realizzato il primo pareggio, infatti, la stellina del Borussia andrà a siglare anche il secondo al termine di un’azione molto manovrata che darà bene l’idea dello schiacciamento verso la propria area dei padroni di casa, la cui fragilità difensiva resterà però praticamente invariata e permetterà al numero 10 nipponico di riequilibrare il risultato.  Non contento, poi, il piccolo trequartista di Hyogo propizierà anche la rete del definitivo 3 a 2 raccogliendo al limite dell’area un suggerimento di capitan Hasebe ed infilandosi all’interno della stessa per poi servire Inoha che potrà quindi realizzare indisturbato la rete della definitiva vittoria dei Samurai Blu.

Soluzioni tattiche interessanti, quelle approntate da Zaccheroni in questa sua esperienza asiatica. E chissà che proprio le scelte del mister di Meldola non risultino alla fine decisive verso una vittoria che tutti quanti attendono, nel paese del Sol Levante.

A 48 ANNI HOLYFIELD RESISTE SUL RING

La sospensione del match per una ferita al sopracciglio permette a Evander Holyfield di conservare il titolo WBF dei pesi massimi. Il ritratto di un campione dall’immagine “buonista”, che dopo 35 anni di boxe esibisce ancora una forma smagliante.

Holyfield - WilliamsÉ Gesù a darmi la forza, è lui a muovere i miei pugni.”
Evander Holyfield

Il titolo mondiale WBF (acronimo di World Boxing Federation), non è proprio uno di quei trofei da ostentare con orgoglio in bacheca. Distanziata anni luce dalle quattro maggiori sigle internazionali: WBA, WBC, IBF e WBO, la WBF, sede legale in Lussemburgo e presidenza retta da un sudafricano bianco, vivacchia da un paio d’anni organizzando sfide tra pugili in disarmo, come quella di questa notte a White Sulphur Springs, nel West Virginia. A confrontarsi sono saliti sul ring il detentore, l’ormai 48enne vecchia (ma eterna) gloria Evander Holyfield e lo sfidante, il 38enne bahamense Sherman “Tank” Williams.

Quasi novant’anni insieme, i due pugili non hanno dato vita a un incontro particolarmente esaltante dal punto di vista agonistico, con un Williams sgraziato e appesantito, ma decisamente più efficace di un Holyfield, che a vederlo apparire sul ring, con tanto di fisico stilizzato da culturista, gli si sarebbero dati dieci anni di meno. Ma il peso dei 48 anni dell’ex campione mondiale dei massimi si è fatto sentire subito dopo la prima ripresa, quando lo si è visto in difficoltà sotto i potenti colpi del tozzo bahamense. Difficilmente Holyfield avrebbe potuto resistere per tutti i dieci round previsti da questa serata, battezzata dagli organizzatori con un pomposissimo “Redemption in America”, ma alla fine della terza ripresa una testata accidentale di Williams gli ha provocato una ferita all’arcata sopraccigliare, costringendo l’arbitro a dichiarare chiuso l’incontro con un verdetto di no contest, ovvero parità.

Considerato una sorta di anti-Tyson, il pio (a suo dire) Evander Holyfield ha improntato la propria carriera di pugile all’insegna della purezza stilistica e della correttezza, e ha cercato di costruire il proprio personaggio, anche nella vita privata, su un modello politically correct, che lo ha reso più popolare tra i bianchi yankee che tra gli afro americani. Da sempre praticante evangelico (ha fatto incidere anche un salmo della Bibbia sui pantaloncini da combattimento), non ha mai praticato troppo l’astinenza nella vita sentimentale. Almeno cinque dei suoi figli sono nati da altrettanti peccati extra coniugali, mentre le sue tre ex mogli hanno avuto a lamentarsi sia per il mancato pagamento degli alimenti che per le botte subite, tanto che l’anno scorso un giudice di Atlanta ha emesso un’ordinanza a suo carico di divieto di avvicinamento a meno di 500 metri dalla famiglia.

Nonostante queste contraddizioni tra atti di fede e vita reale, che potrebbero rimandare al gangster redento di Pulp Fiction interpretato da Samuel Jackson, la storia di Evander Holyfield è comunque un discreto esemplare di sogno americano. Cresciuto da una madre abbandonata dal marito in un sobborgo degradato di Atlanta insieme ad altri otto fratelli, è rimasto sempre a debita distanza dalle bande giovanili della sua zona, e nel 1980 si è diplomato a pieni voti alla Fulton High School. Essendo dotato di una predisposizione innata all’attività sportiva, si è cimentato con uguale successo in diverse discipline. Se fosse stato per lui, probabilmente avrebbe scelto il football americano; ma i suoi 188 centimetri di altezza erano stati considerati troppo pochi per i suoi selezionatori, e si era così dedicato anima e corpo alla boxe. La sua prima grande apparizione è datata 1984, alle Olimpiadi di Los Angeles, quando è arrivato a conquistare la medaglia di bronzo nei pesi massimi leggeri. L’anno dopo lo vedrà esordire come professionista, e la sua carriera diventerà un’ascesa trionfale, con la conquista del titolo unificato dei massimi nel 1990, e fino alla sfida cult del 28 giugno 1997 contro un Mike Tyson così inferocito da strappargli a morsi il lobo di un orecchio.

Secondo i giornalisti statunitensi, Evander Holyfield continua a restare disperatamente aggrappato al ring per potersi pagare i debiti contratti in vent’anni vissuti come un sultano, e per mantenere la sua enorme famiglia, composta da tre ex mogli e da una torma di figlioli legittimi e non solo. A nulla sono serviti i consigli dei suoi medici di interrompere l’attività dopo che gli era stata diagnosticata una patologia cardiaca nel 1994 e l’intimazione al ritiro da parte delle autorità pugilistiche dello Stato di New York per manifesta debolezza.

In un momento di enorme crisi della boxe, oggi dominata dai pugili dell’est europeo, la sua immagine continua ad essere appetibile per il mercato americano, dove gli incontri sono trasmessi unicamente sulle televisioni pay per view. Anche a causa di questa vera e propria barriera tariffaria, la boxe oggi è sempre meno popolare tra gli afro americani dei sobborghi; e il sempreverde Holyfield, personaggio “noioso come una partita di canasta” secondo la definizione di un avversario scomparso nell’oblio, è ormai un mito “borghese” per l’America di oggi.

WCL III: UNA VITTORIA E UNA SCONFITTA PER GLI AZZURRI A HONG KONG

Bilancio tutto sommato positivo per gli azzurri del cricket che dopo la seconda giornata di World Cricket League si ritrovano a festeggiare una stupenda vittoria contro la Danimarca e a leccarsi le ferite per la sconfitta contro l’unica squadra ancora a punteggio pieno, Papua Nuova Guinea

ItaliaBilancio tutto sommato positivo per gli azzurri del cricket che dopo la seconda giornata di World Cricket League si ritrovano a festeggiare una stupenda vittoria contro la Danimarca e a leccarsi le ferite per la sconfitta contro l’unica squadra ancora a punteggio pieno, Papua Nuova Guinea. Martedì ci attende l’Oman, partita fondamentale per comprendere quale sarà il ruolo dell’Italia in questo indecifrabile torneo. Se i padroni di casa di Hong Kong, dopo le prime due sconfitte consecutive, sembrano la cenerentola del gruppo e Papua Nuova Guinea la favorita d’obbligo, le altre quattro squadre possono ambire alla promozione come rischiare di scivolare in quarta divisione.

ITALIA – DANIMARCA
Italia vince di 7 wickets
Danimarca 227 all out, 50 overs / Italia: 228-3, 44.3 overs

Difficilmente si sarebbe potuto pronosticare un esordio migliore. Gli azzurri, sul pittoresco campo dell’Hong Kong Cricket Club, debuttano nella World Cricket League division III con una netta vittoria contro i rivali danesi, una delle migliori squadre del continente europeo. Un undici temibile che non più di sei mesi fa ci aveva sconfitto in occasione dell’Europeo di Jersey. L’Italia, avendo vinto il sorteggio, manda in battuta gli scandinavi che chiudono l’over a quota 227. Il talento Klokker viene limitato a 37 runs e così è il solo Rizwan Mahmood a caricarsi la squadra sulle spalle mettendo a segno un half-century (50 punti). Al lancio per l’Italia si alternano con regolarità Petricola, l’esperto Alaud Din, i veloci Munasinghe e Pennazza, e uno splendido Dilan Fernando, decisivo nell’eliminare i tre middle-order batsmen che avrebbero potuto complicare ulteriormente il cammino dell’Italia.
Nel proprio inning l’Italia schiera quindi i suoi battitori con l’obiettivo di raggiungere quota 227. La coppia d’apertura Andy Northcote e Damien Fernando fanno la loro parte mettendo a segno 87 runs. Dopo 45 punti è Damian Fernando il primo eliminato, al suo posto entra capitan Bonora, che però non inizia il torneo nei migliore dei modi venendo eliminato dopo sole 7 runs. A seguito delle prime tre eliminazioni l’Italia è a quota 130 ma la partnership tra Petricola e Crowley (preferito a Patrizi nel ruolo di wicket-keeper) è davvero esaltante. I due mettono insieme i 105 punti e permettono all’Italia di vincere senza che i vari Jayasena, Dilan Fernando, Alaud Din, Patrizi, Munasinghe e Pennazza siano costretti a prendere la mazza. Per l’Italia è una vittoria storica perché, comunque vada il torneo, dimostra che il divario tra l’Italia e la Danimarca è stato oramai colmato.

ITALIA – PAPUA NUOVA GUINEA
Papua Nuova Guinea vince di 32 runs
Papua Nuova Guinea 204 all out, 48.4 overs / Italia 172 all out, 43.2 overs

Squadra che vince non si cambia, ma il rivale che l’undici azzurro si trova di fronte sembra essere di un altro livello per questa categoria. Papua vince il sorteggio e decide di andare in battuta portando a casa 204 runs. Ai cinque lanciatori utilizzati da Scuderi contro la Danimarca si aggiunge anche Northcote; il migliore dei nostri al lancio è però Pennazza che in 10 overs (turni di sei lanci) concede solamente 19 runs prendendo anche due wicket (eliminazioni). Buona anche la prova di Petricola che chiude l’inning guineano con il suo quarto wicket di giornata.
L’italia comincia il proprio inning in battuta dovendo raggiungere una quota di punteggio inferiore rispetto all’incontro con la Danimarca tuttavia i lanciatori guineani si dimostrano di livello superiore a quelli scandinavi. Il lanciatore Dikana, oltre a concedere poche runs ai nostri, risulta decisivo eliminando sia Northcote (28), che aveva cominciato molto bene, sia, dopo solo 7 palle, Petricola. Un po’ in ombra rispetto alla splendida partita con i danesi anche Crowley (13) e Fernando (12), mentre capitan Bonora (24) è apparso in netta ripresa. Molto positiva anche la prestazione dei middle order batsman Patrizi (27) e dell’eterno Jayasena (30). Dopo la loro eliminazione, giunta con l’Italia a quota 151, gli azzurri sono costretti ad alzare bandiera bianca, nonostante Pennazza e Munasinghe raccolgano ancora 24 runs.
Malgrado la sconfitta gli azzurri possono sorridere pensando alla loro generale crescita, nel 2007 infatti la stessa compagine oceanica ci aveva umiliato sconfiggendoci per otto wicket.

Se martedì contro l’Oman i lanciatori giocheranno come contro Papua e i battitori ripeteranno la superba prestazione di sabato contro la Danimarca la salvezza potrebbe essere già ipotecata, in caso contrario le partite con Hong Kong e Stati Uniti si trasformeranno in una vera e propria battaglia per la sopravvivenza.

CLASSIFICA
Giocate vinte perse PT Net RR
PAPUA NUOVA GUINEA 2 2 0 4 0,049
DANIMARCA 2 1 1 2 0,062
ITALIA 2 1 1 2 -0,077
STATI UNITI 2 1 1 2 -0,219
OMAN 2 1 1 2 -0,332
HONG KONG 2 0 2 0 -0,164

ARMIN BAUER, “FRATELLO” DI PITTIN

Armin BauerLa resistenza del fondista unita alla spericolatezza e alla coordinazione del saltatore con gli sci: sono queste le principali doti degli atleti di combinata nordica, disciplina che, come suggerisce il nome, è originaria del Profondo Nord. In Italia, questo sport viene spesso considerato tra quelli “minori”, eppure è stato proprio un combinatista, il friulano Alessandro Pittin, a regalare al nostro paese la prima medaglia negli ultimi Giochi Olimpici Invernali, con il bronzo conquistato nella prova individuale dal trampolino+10 km di fondo. Accanto al ventenne di Tolmezzo, sta crescendo una squadra giovane e sempre più competitiva: il suo corregionale Giuseppe Michielli, il trentino Davide Bresadola e i gardenesi Lukas Runggaldier ed Armin Bauer sono le punte di una selezione azzurra che, gara dopo gara, ottiene risultati via via più brillanti. Proprio Armin Bauer, ventenne finanziere di Ortisei (lo stesso paese di Isolde e Carolina Kostner), ha ottenuto cinque giorni fa il risultato più brillante della sua giovane carriera, con il dodicesimo posto sulle nevi austriache di Seefeld: anche lui protagonista alle ultime Olimpiadi, ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande per conoscerlo meglio.

Come mai, invece di dedicarti allo sci alpino, al fondo o a qualche altro sport più “tradizionale”, hai deciso di battere la strada della combinata nordica?

Beh, prima di incominciare con la combinata praticavo sci di fondo, sin dall’età di otto anni. Poi, quattro anni più tardi, l’allenatore Romed Moroder (vero guru dello sci gardenese, n.d.r.) ha avviato il progetto per creare una squadra di salto con gli sci, e ho accettato subito, unendo le due discipline.

Che cosa ha significato, per un ragazzo di vent’anni, respirare l’aria delle Olimpiadi? Come ti sentivi prima di quelle gare?

Poter partecipare ai Giochi Olimpici Invernali è stata una soddisfazione davvero grandissima. Prima delle gare ero parecchio emozionato, ma poi la voglia di divertirsi ha prevalso: mi è piaciuto proprio tanto

Come è l’ambiente in una squadra piccola come la nazionale di combinata nordica?

Il clima nella nostra squadra è molto buono, io e i miei compagni ci capiamo subito al volo e questa è una cosa che apprezzo tanto. Poi adesso c’è anche un bel gruppo di atleti giovanissimi che sta crescendo, per cui a breve non saremo più in pochi.

Quest’anno i risultati della squadra (e anche i tuoi personali) sono in miglioramento: fin dove potete arrivare tu e i tuoi compagni?

Siamo ancora giovani, è difficile fare previsioni perché dobbiamo imparare e crescere tanto, però sono sicuro di una cosa: che l’Italia, nei prossimi anni, potrà sempre contare su di noi, sulla piccola-grande squadra della combinata nordica.

Per un combinatista, qual è la gara-simbolo della stagione? Un po’ come il Tour de Ski del fondo o i Quattro Trampolini del salto…

Quest’anno saranno i Campionati del Mondo di Oslo, tra fine febbraio ed inizio marzo, a rivestire il fascino maggiore: per il resto, al nostro sport manca una gara-simbolo come i tornei che hai indicato tu o le grandi classiche dello sci alpino.

Che cosa significa praticare sport a livello agonistico, quando si è così giovani? Quali sono i tuoi hobby, quando stacchi dalle gare?

A me non pesa più di tanto, non mi dà fastidio perché faccio esattamente ciò che mi piace, lo sport della mia vita: quando sono a casa, comunque vedo sempre i miei amici ed esco con loro. In generale mi piacciono molte discipline sportive, dal ciclismo alle camminate in montagna, fino all’arrampicata e al calcio: sì, lo sport non è solo il mio lavoro, ma è anche il mio primo hobby.

In ultimo: dì qualcosa, qualunque cosa, agli appassionati di sport invernali!

Seguiteci sempre e sono sicuro che vi appassionerete alla nostra disciplina: poi chissà, magari a qualcuno verrà anche voglia di provare!

ALLA SCOPERTA DELLA NAZIONALE DI CRICKET

Conosciamo meglio la nazionale italiana di cricket che sabato 22 farà il suo esordio nella World Cricket League di terza divisione contro la Danimarca

Il capitano Daniele BonoraConosciamo meglio la nazionale italiana di cricket che sabato 22 farà il suo esordio nella World Cricket League di terza divisione contro la Danimarca. L’allenatore Scuderi e il general manager Bruno hanno selezionato 14 giocatori. Rispetto alla squadra scesa sui pitch bolognesi c’è stata un’unica modifica dettata dall’assenza di Nic Northcote e al rientro di Vincenzo Pennazza. Sostanzialmente la squadra appare un compromesso fra tre scuole nazionali di cricket: quella cingalese, quella sudafricana e quella australiana. Come già scritto in passato questa nazionale rappresenta l’evoluzione delle migrazioni italiane potendo contare in egual misura sui figli degli italiani emigrati all’estero e su ragazzi che ormai vivono e lavorano da diversi anni nel nostro paese.

ALESSANDRO BONORA: Il capitano della spedizione azzurra, è nato a Bordighera trentadue anni fa, ma è cresciuto a Città del Capo in Sud Africa, dove tutt’ora gioca. All rounder, è uno dei veterani del gruppo avendo fatto il suo esordio in maglia azzurra nel 2000. Classe e esperienza a servizio del collettivo; a lui infatti spetterà il compito di impostare la strategia di gioco azzurra.

ROSHENDRA ABEWICKRAMA: La stellina delle giovanili, dopo il positivo impatto nelle due partite giocate contro gli USA nella scorsa WCL a Bologna, sta man mano trovando spazio in squadra sia in battuta sia, soprattutto, come lanciatore. Nato e cresciuto in Sri Lanka è uno dei giocatori chiave dei Kingsgrove di Milano, vicecampioni d’Italia.

DIN ALAUD: Lanciatore di origine pakistane in Italia da una vita. Se a 37 anni il fisico lo sorreggerà potrà senza dubbio essere ancora un fattore nel limitare le corse degli avversari. Per anni è stato la colonna portante del Murri Catania, e oggi, dopo l’esperienza di Pianoro, difende i colori del Trentino Cricket Club, terzo quest’anno in serie A.

DAMIAN CROWLEY: Il ventunenne oriundo sudafricano, ottimo battitore e wicket-keeper, è uno degli ultimi arrivi in casa azzurri. Ha esordito con la nazionale italiana lo scorso agosto dove si è dimostrato il miglior battitore alle spalle dei due openers Andy Northcote e Petricola. Nel campionato italiano, dove ha giocato con la maglia del Pianoro campione d’Italia, ha sempre fatto la differenza.

GAYASHAN MUNASINGHE: Lanciatore veloce nato e cresciuto in Sri Lanka 24 anni or sono; probabilmente si tratta del lanciatore più rapido che gioca nel nostro paese. Ha esordito in Serie A con il Capannelle Cricket Club, squadra in cui ha giocato per anni, nell’ultima stagione ha però disputato il torneo di serie C con il Latina Lanka vincendo la Coppa Italia.

DILAN FERNANDO: Lanciatore nato e cresciuto in Sri Lanka. Ha esordito in nazionale in occasione degli Europei del 2010 a Jersey. Gioca nel campionato italiano, in serie B con il Genoa dopo aver esordito nel nostro paese con il Latina Lanka.

THUSHARA KURUKULASURIYA: Battitore mancino di 33 anni anch’egli nato e cresciuto in Sri lanka. La scorsa stagione ha giocato in serie A con il Capannelle, tuttavia può vantare esperienze con diversi club come il Maremma, il Gallicano e la Roma. Senza dubbio, anche se nella WCL di Bologna non ha brillato, si tratta di uno dei battitori più devastanti del nostro campionato.

DAMIAN FERNANDO: Un’altra delle stelle del Latina Lanka nuovamente vincitore della Coppa Italia. Nato e cresciuto in Sri Lanka, ha recentemente esordito in nazionale come battitore in occasione degli Europei di Jersey e della WCL di Bologna.

ANDY NORTHCOTE: Stella indiscussa della squadra, quest’oriundo sudafricano nato nel 1983 forma assieme a Petricola una collaudata coppia di apertura in battuta. All’occasione può anche essere usato come lanciatore offspin e si è sempre rivelato un ottimo fielder. Ad Hong Kong non ci sarà suo fratello Nic, che aveva giocato da wicket-keeper titolare a Bologna.

HAYDEN PATRIZI: Oriundo australiano di 25 anni; data l’assenza di Northcote, probabilmente sarà il wicket-keeper titolare. È anche un battitore molto fisico. Ha giocato nel campionato italiano con il Bologna Cricket Club nel 2009 e vanta una lunga carriera giovanile con l’XI del Western Australia.

VINCENZO PENNAZZA: Lanciatore mancino, italo sudafricano. Con l’under 19 sudafricana ha disputato, addirittura aprendo al lancio, i Mondiali di categoria. È senza’altro il miglior lanciatore della nazionale. Lo scorso anno non poté giocare la WCL per problemi lavorativi. Ha giocato nel campionato italiano durante la stagione 2008 vestendo la maglia del Capannelle.

PETER PETRICOLA: All rounder italo australiano. Curiosamente è un battitore mancino, ma lancia con il destro. Elemento importante della squadra tanto da essere stato indicato per l’italia come l’Icc player to watch. La sua partnership con Northcote sarà fondamentale per macinare punti contro le nostre rivali.

MICHAEL RASO: Altro oriundo di origini australiane che ha esordio agli Europei di Jersey 2010 giocando poi la WCL a Bologna. Battitore, si è qualificato per vestire la maglia azzurra giocando in serie cadetta con il Venezia.

HEMANTHA JAYASENA: Questo trentanovenne di origini cingalesi può oramai definirsi un’istituzione del cricket italiano. Arrivato come professionista al Cesena nella stagione 1992, non ha più lasciato il paese. Ormai da qualche anno è il capitano del Pianoro pluricampione d’Italia. Dopo aver giocato First Class cricket con il suo paese d’origine, ottenuta la cittadinanza italiana la sua carriera internazionale ha conosciuto una nuova giovinezza grazie alla maglia azzurra.

Quattro giocatori invece sono rimasti a casa come riserve, tre di loro, Di Giglio, Jayarajah e Poli, di scuola italiana, mentre Sahi, dopo un decennio passato nel nostro paese si è guadagnato finalmente la possibilità di essere considerato in chiave nazionale.

LUIS DI GIGLIO: Questo ventunenne lanciatore puro italo argentino, è cresciuto alla scuola di Arcidio Parisi a Pianoro. Prodotto interamente del cricket italiano è uno dei migliori lanciatori mancini del campionato. Ha fatto tutta la trafila giovanile (u13, u15, u17, u19, u21 e squadra A) prima dell’esordio quest’estate a Jersey

LEANDRO MATIVATANAN JAYARAJAH: Figlio d’arte, capitano del Capannelle, nato a Roma 23 anni fa, è un altro prodotto della scuola italiana. È un battitore che all’occorrenza può sia lanciare offspin che giocare da wicket-keeper. Come Di Giglio, dopo aver fatto tutta la trafila delle nazionali giovanili, ha esordito in quella maggiore a Jersey.

LUCA POLI: Importante giocatore del Pianoro campione d’Italia. A ventisei anni in serie A apre sia al lancio che in battuta. In nazionale gioca prevalentemente come lanciatore. Anche lui, come Di Giglio e Jayarajah vanta numerose presenze in tutte le nazionali giovanili.

SHAHID SHARIF SAHI: Battitore e wicket-keeper di origini pachistane, è arrivato in Italia nel 1998 e dall’anno successivo ha contribuito attivamente nella promozione del cricket a Brescia. È il capitano dei Lions Brescia, una delle realtà emergenti del cricket italiano che lo scorso anno hanno vinto il torneo cadetto. Non ha ancora esordito in nazionale ma potrebbe entrare in rosa quest’estate, nonostante l’età non più giovanissima.