CROAZIA SPIETATA, IL MONTENEGRO CEDE

Senza storia il derby balcanico della seconda giornata, vinto con autorevolezza dalla Croazia (11-5).

dal nostro inviato

FIRENZE Non c’è partita tra Croazia e Montenegro: i ragazzi di Ratko Rudić, capitanati da Samir Barać, chiudono la prima frazione in vantaggio 4-1 e non si fanno più riprendere per tutto il resto della partita, terminando l’incontro sull’11-5. Difesa serrata e attacco cinicamente spietato, con quattro doppiette – Burić, Joković, Sukno e Bošković -, una buona percentuale di realizzazione e una statistica di 5/6 con l’uomo in più. Per contro il Montenegro,  orfano dell’infortunato Nikola Janović, quando non ha buttato via da solo occasioni importanti, si è trovato chiuso dalle parate dell’ottimo Josip Pavić. Una statistica su tutte: su undici occasioni in superiorità numerica, frutto della difesa aggressiva e fisica dei Croati, il Montenegro è riuscito a concretizzare solo in due occasioni. Troppo poco per pensare di mettere in difficoltà i campioni europei in carica.

La Croazia si porta in vantaggio dopo 59“ con la prima rete del recchelino Burić. Lo stesso Burić, con la prima espulsione temporanea della partita, regala al montenegrino Vukčević l’occasione del pareggio. Da quel momento in poi la partita si trasforma in un one-team show della Croazia, che si riporta in vantaggio con un rigore trasformato da Petrović e poi allunga con una doppietta di Joković per chiudere il primo periodo 4-1. Nella seconda frazione gli equilibri non si spostano: il parziale è di 2-2: il Montenegro va a segno con Drašković e Danilović, mentre per la Croazia marcano Paškvalin e Sukno. Il conteggio delle superiorità numeriche a metà partita è impietoso: la Croazia, su cinque occasioni, ne ha mancata solamente una, mentre i montenegrini, otto volte in superiorità, hanno segnato solo due reti con l’uomo in più.

La seconda frazione si apre con il secondo rigore assegnato alla Croazia: stavolta, però, il portiere montenegrino Radi riesce a neutralizzare il tiro di Sukno. L’attaccante croato si rifà un minuto dopo, marcando in superiorità, poi Obradović completa l’allungo portando la sua squadra sull’8-3. I montenegrini riescono a marcare solo a 38” dalla fine con Radović. Ultimo periodo senza quasi nulla più da dire: la Croazia termina il lavoro nei primi quattro minuti con le reti di Buljubašić, Bošković e Burić: la controfuga del montenegrino Draško Brguljan a 57” dalla fine serve solo all’orgoglio.

 

Mercoledì 22 giugno 2011
MONTENEGRO – CROAZIA 5-11
(1-4, 2-2, 1-2, 1-3)
Piscina Paolo Costoli, Firenze

MONTENEGRO: Radić, Dr.Brguljan 1, Radović 1, Danilović 1, Vukčević 1, Tičić,  Mlađan Janović, Drašković 1, Klikovac, Da.Brguljan, Petrović, Jokić, Šćepanović. All:  Porobić.

CROAZIA: Pavić, Burić 2, Bošković 2 (1 rig), Dobud, Joković 2, Muslim, Karač, Bušlje, Sukno 2, Barać, Paškvalin 1, Obradović 1, Buljubašić 1. All: Rudić.

ARBITRI:Caputi (ITA) e Naumov (RUS).

NOTE: superiorità numeriche Montenegro 2/11, Croazia 5/6 + 2 rigori. Espulso per limite di falli Tičić (MNE) a 2’39“ del terzo periodo. A 6’49“ Radić (MNE) para un rigore a Sukno (CRO).

Damiano Benzoni

WORLD LEAGUE: BALCANICHE OK

Nella prima giornata di Super Final, vincono tutte le squadre balcaniche.

dal nostro inviato

FIRENZE Era difficile, se non impossibile, pronosticare un esito differente. Ma le partite, si sa, per essere vinte devono prima di tutto essere giocate. E con concentrazione. Onore, dunque, alle tre nazionali balcaniche – Croazia, Montenegro e Serbia – che nella giornata inaugurale della Super Final di World League, a Firenze, non steccano.

Nel girone A, quello dell’Italia, esordio fin troppo facile per la Serbia detentrice del titolo e vincitrice di quattro delle ultime cinque edizioni: Vanja Udovičić e compagni non hanno pietà della Cina, una delle eccellenze della pallanuoto asiatica, ancora acerba per pretendere di impensierire le grandi potenze mondiali. Giornata di gloria per Milan Aleksić, autore di una tripletta, e per i compagni Filipović, Nikić e Duško Pijetlović, tutti a segno con una doppietta. Volenterosi quanto si vuole, ma tecnicamente inferiori, i cinesi hanno vinto la resistenza di Slobodan Soro solamente in due occasioni, di cui una in superiorità numerica (1/9 il dato finale, di strada ce n’è ancora da fare…).

Nel girone B, vittoria a fatica per il Montenegro su un sorprendente Canada che, non più tardi di tre anni fa, ai Giochi di Pechino rimediò un secco 12-0 per mano dei balcanici. Questa volta finisce 8-6 in favore degli “Squali rossi”, per i quali però la giornata era iniziata malissimo: sotto di due reti nel primo tempo, Jokić che si fa parare un rigore da Randall. Il coach degli americani Dragan Jovanović, ex portiere della Jugoslavia, schiera un nugolo di giovani – ben sei i ventenni in acqua – che sopperiscono alla mancanza di un centroboa di ruolo con una grande preparazione nel nuoto: fino al terzo tempo, chiuso sul 5-5, funziona, poi nel lungo termine i montenegrini fanno sentire la maggior esperienza.  Da notare, tra i balcanici, le assenze dei recchelini Ivović e Zloković. Meno equilibrata la sfida tra Australia e Croazia, che lo scorso anno a Niš terminò con la clamorosa vittoria degli wallabies: gli uomini di Rudić imparano la lezione e mettono al sicuro i primi tre punti (12-6 il finale) aggiudicandosi il primo tempo con un secco 4-0. Fatali, agli australiani, le superiorità numeriche, con nemmeno un gol segnato in situazione di uomo in più.

Domani grande giornata con le attese sfide Croazia-Montenegro e Italia-Serbia: chiudono il programma giornaliero Stati Uniti-Cina (si fosse giocata negli anni Settanta si sarebbe parlato di “diplomazia della pallanuoto”) e Canada-Australia.

 

WORLD LEAGUE SUPER FINAL
FIRENZE, 21-26 GIUGNO
1a GIORNATA

 

GIRONE A

SERBIA-CINA 13-2 (3-1, 5-0, 3-0, 2-1)

SERBIA: Soro, Avramović, Gocić 1, Vanja Udovičić 1, Petković 1, Duško Pijetlović 2, Nikić 2, Aleksić 3, Rađen, Filipović 2, Pralinović 1, Mitrović, Gojko Pijetlović. All. Dejan Udovičić.

CINA: Ge, Tan, Liang, Yu, Guo, Pan 1, Li Bin, Wang, Xie 1, Li Li, Zhang, Dong, Wu. All. Cai.

ARBITRI: Terpenka (CAN) e Flahive (AUS).

NOTE: superiorità numeriche Serbia 3/5 + 1 rig., Cina 1/9. Espulso Rađen per somma di falli a 1’23” qt.

 

ITALIA-STATI UNITI 10-4

CLASSIFICA: Italia e Serbia 3 pti, Stati Uniti e Cina 0.

 

GIRONE B

MONTENEGRO-CANADA 8-6 (1-3, 2-1, 2-1, 3-1)

MONTENEGRO: Radić, Draško Brguljan, Radović 1, Danilović, Vukčević 1, Tičić 1, Mlađan Janović 1, Nikola Janović 1, Klikovac, Darko Brguljan 2, Petrović 1, Jokić, Šćepanović. All. Porobić.

CANADA: Randall, Kudaba 1, Touni, Constantin 1, Boyd 2, Robinson, Conway, Graham, Gasic, Dakic, Vikalo, McElroy 2, Aleksic. All. Jovanović.

ARBITRI: Caputi (ITA) e Stavropoulos (GRE).

NOTE: superiorità numeriche Montenegro 2/5, Canada 1/5. A 3’00” pt Randall para rigore a Jokić.

 

AUSTRALIA-CROAZIA 6-12 (0-4, 1-1, 3-3, 2-4)

AUSTRALIA: Dennerley, Campbell 1, Cleland, Baird, Maitland, Martin, Cotterill, McGregor, Younger, Woods 1, Howden 1, Miller 2, Roach 1. All. Fox.

CROAZIA: Pavić, Burić, Bošković 2, Dobud, Joković 1, Muslim 1, Karač, Bušlje 1, Sukno 2, Barać, Paškvalin 2, Obradović 2, Buljubašić 1. All. Rudić.

ARBITRI: Goldenberg (USA) e MOLINER (ESP).

NOTE: superiorità numeriche Australia 0/6, Croazia 2/8 + 1 rig. Espulso Martin per somma di falli a 5’58” qt.

CLASSIFICA: Montenegro e Croazia 3 pti, Canada e Australia 0 pti.

Simone Pierotti

GODI FIORENZA

Tutto pronto nel capoluogo toscano per la Super Final della World League maschile.

Mancava da tanti anni – dodici, per l’esattezza – la grande pallanuoto internazionale, a Firenze. Mancava da dodici anni alla piscina Costoli, storico impianto all’aria aperta rimesso in sesto con un investimento da 200mila euro. E la prossima settimana, dal 21 al 26 giugno, torna in grande stile con la Super Final della World League maschile. Che, per la seconda volta, farà tappa in Italia a tre anni di distanza dall’edizione disputata a Genova. Per la Federnuoto, reduce dall’organizzazione dell’atto finale dell’Eurolega maschile, è certamente un onore, per il Settebello del ct Sandro Campagna l’occasione di confrontarsi con le migliori squadre al mondo – mancano, a voler cercare il pelo nell’uovo, solo Spagna ed Ungheria – e di dimostrare che l’argento conquistato lo scorso settembre agli Europei di Zagabria non è stato episodico.

Proprio gli azzurri sono stati inseriti nel girone A, un gruppo piuttosto impegnativo come testimonia la presenza di Serbia e Stati Uniti. I balcanici arriveranno in Toscana ebbri di entusiasmo per la conquista dell’Eurolega ad opera del Partizan Belgrado, che rifornisce numerosi elementi alla nazionale guidata da Dejan Udovičić: il ct era a Roma, a visionare conferme e possibili innesti per la sua squadra, e avrà appuntato ben più di un nome sul proprio taccuino. Da non dimenticare, poi, che i vari Mitrović, Nikić, Rađen, Prlainović e Udovičić si presenteranno alla Costoli in qualità di detentori del titolo e, soprattutto, di vincitori della competizione in tre delle ultime quattro edizioni. Attenzione anche agli Stati Uniti, unica potenza pallanotistica non europea: sotto la guida di Terry Schroeder gli americani si sono sempre più imposti sulla scena internazionale, arrivando a conquistare un argento olimpico ed un quarto posto ai Mondiali. Merito di quei giocatori cresciuti nei campionati del Vecchio Continente, con il centrovasca di origini brasiliane Tony Azevedo su tutti. Vittima predestinata, invece, sembrerebbe essere la Cina che lo scorso autunno ha visto sfumare, per un solo gol di distacco, il sesto oro della sua storia ai Giochi asiatici: tra gli uomini di Tianxoing Cai e gli avversari c’è un divario al momento incolmabile, la qualificazione ai danni di Giappone, Nuova Zelanda e, soprattutto, Kazakistan è comunque il segnale che il movimento sta andando nella giusta direzione.

Nel girone B la corsa al primo posto pare essere tutta una questione – ma guarda un po’ – balcanica: la Croazia, che il santone Ratko Rudić ha trascinato sulla vetta dell’Europa, ed il Montenegro di Petar Porobić sono, indubbiamente, le corazzate di questo gruppo. Il confronto diretto tra le due nazionali sarà un’interessante rivincita della finalissima dell’edizione di due anni fa, disputata a Podgorica e vinta dai padroni di casa. A completare il gruppo l’Australia di John Fox che, come dimostrato lo scorso anno a Niš, ha saputo voltar pagina dopo il traumatico addio di Pietro Figlioli per il Settebello e, infine, il Canada: i cugini “poveri” degli USA affideranno le chiavi della squadra al promettente Justin Boyd, giocatore in forza al Budva, che nella recente Final Four di Eurolega ha messo a segno una doppietta nella finale per il terzo posto.

 

C’ERAVAMO TANTO ODIATI

Si va verso un possibile ingresso dei serbi nella Jadranska Liga, dove giocano croati, montenegrini e sloveni.

La vecchia Jugoslavia di Tito è un ricordo ormai sbiadito: quel paese rivive solo nelle menti di chi è cresciuto negli anni Settanta e Ottanta, nelle mappe ingiallite degli atlanti stampati in quel periodo. La vecchia Jugoslavia unita rimase sotto le macerie della guerra che scoppiò nei Balcani venti anni fa, vittima del nazionalismo che fece la sua avanzata nei vari paesi: ognuno va avanti per la propria strada, covando l’odio per i vicini di casa che, fino al giorno prima, erano da considerarsi fratelli. Eppure, venti anni dopo, lo sport sembra riunire di nuovo, idealmente, sotto un’unica bandiera gli stati balcanici.

Risale, infatti, a qualche settimana fa la proposta dei vertici della Federnuoto serba di iscrivere tre delle loro squadre alla Jadranska Liga, la Lega Adriatica. Nato nel 2008-09, è un campionato che comprende squadre di Croazia, Montenegro e Slovenia, istituito con l’intento di dare maggior visibilità alla pallanuoto, grazie alla garanzia di un campionato più incerto e spettacolare e dal maggior tasso tecnico. L’idea di un campionato internazionale nei Balcani l’aveva già partorita Aleksandr Šoštar, oggi presidente del Partizan Belgrado, ai tempi dell’Europeo di Kranj ma venne concretizzata solamente cinque anni più tardi. La nuova proposta incontra immediatamente i favori di dodici diverse squadre, di cui otto dalla Croazia, tre dal Montenegro ed uno dalla Slovenia: la prima, storica squadra vincitrice è lo Jug Dubrovnik e la Lega Adriatica tutto sommato piace. Tanto più che gli incontri tra squadre croate sono ritenuti validi ai fini anche della massima divisione nazionale. E, se la vecchia Jugoslavia fosse ancor oggi un’unica entità, la Jadranska Liga sarebbe il suo campionato (quasi) perfetto. Quasi, perché viene tagliata fuori la Serbia, espressione di una delle principali scuole pallanotistiche dei Balcani, inizialmente inclusa nel progetto assieme a Grecia ed Ungheria.

E Belgrado, assieme ad altri paesi rimasti ai margini della neonata Lega Adriatica, decide di formare un altro campionato sovranazionale: l’Euro Interliga. L’Ungheria, schierando sei squadre, è la nazione più presente: completano il plotone delle partecipanti due serbe – Partizan e Vojvodina -, una rumena – Oradea – ed una slovacca – Hornets Košice. Anche in questo caso alcune partite, nella fattispecie quelle tra squadre ungheresi, hanno un valore anche nel rispettivo campionato nazionale. Lo scontro tra la scuola magiara e quella balcanica rende accattivante l’Euro Interliga, ma in acqua non c’è storia: trionfa il Partizan, vincendo tutte le diciotto partite in calendario. E anche nel campionato serbo il divario tra i grandi squadroni della capitale ed il resto della concorrenza è netto, abissale. Intanto la Jadranska Liga si amplia con l’ingresso dei montenegrini dell’Akadimija Kotor, che a primavera alzeranno la Coppa LEN.

Riparte, poi, una nuova stagione. Quella in corso. In Serbia nessuno riesce a detronizzare il Partizan: i bianconeri colonizzano il campionato già dopo sei giornate, senza mai incappare in una sconfitta o anche soltanto in un pareggio. Dietro provano a tenere (inutilmente) lo stesso passo la Stella Rossa ed il Vojvodina di Novi Sad. Poi il vuoto, con Belgrado e Žak che si contendono il penultimo posto e con il Niš ancorato nei bassifondi della classifica. Gli stimoli sembrerebbero venir meno.

I massimi organi della pallanuoto serba, dunque, decidono di fare uno storico passo in avanti: chiedono alla Jadranska Liga di far partecipare anche Partizan, Stella Rossa e Vojvodina al prossimo campionato. A Zagabria si riuniscono il segretario generale Marko Stefanović, il direttore tecnico Darko Udovičić ed il presidente della commissione internazionale Đorđe Perišić in rappresentanza dei serbi e gli ex campioni Perica Bukić, Milivoje Bebič e Tomislav Paškvalin come delegati della Jadranska Liga. Entrambe le parti fiutano l’affare: con l’ingresso di tre nuove squadre di indiscutibile valore il campionato ne gioverebbe in termini di spettacolo. Con conseguente aumento di pubblico e, possibilmente, di sponsorizzazioni. Non solo: si tratterebbe di una riunificazione – seppur non riconosciuta in ambito politico – di gran parte della vecchia Jugoslavia. E non può non balzare alla mente quanto accadde nel 1991, quando la nazionale maschile vinse i Mondiali di Perth e, qualche mese dopo, agli Europei di Atene dovette rinunciare ai suoi giocatori croati e sloveni: le rispettive federazioni sportive avevano infatti impedito ai loro atleti di gareggiare in qualsiasi competizione sotto la bandiera jugoslava.

Il nodo da sciogliere è quello economico: portare la Lega Adriatica a sedici squadre comporta un aumento delle partite da giocare e, soprattutto, dei costi. Ma a Zagabria non sembrano sussistere motivi per impedire l’apertura della Jadranska anche ai club serbi. La pallanuoto europea può crescere e salire ulteriormente alla ribalta. E, forse, anche ricucire qualche strappo nella rattoppata terra dei Balcani.

CALCIO E NAZIONALISMO: LO STELLA ROSSA VA ALLA GUERRA

Dopo i disordini che hanno portato al rinvio di Italia – Serbia al Marassi di Genova, vi riproponiamo l’articolo comparso sul Numero 0 sul nazionalismo dello Stella Rossa.

La dedica di una statua che sorge dinanzi allo Stadio Maksimir di Zagabria, rappresentante un gruppo di soldati, recita: “Ai tifosi della Dinamo Zagabria, che iniziarono la guerra con la Serbia su questo campo il 13 maggio 1990”. La partita che prese luogo nella capitale croata tra i padroni di casa della Dinamo e i Serbi dello Stella Rossa di Belgrado fu l’avvisaglia di quanto sarebbe successo un anno dopo, l’inevitabile crollo della Federazione Jugoslava, termine di una frana innescatasi all’indomani della morte del maresciallo Tito nel maggio 1980. L’ex-partigiano croato era stato il collante di una nazione nata dall’unione di popoli che, fino alla Seconda Guerra Mondiale, si erano massacrati a vicenda. Nelle parole del comunista albanese Mahmet Bekalli: “Non avevamo idea che, insieme a lui, stavamo seppellendo la Jugoslavia”. La spaccatura fu evidente soprattutto tra Croazia e Serbia, dove due burocrati dell’epoca del comunismo titoista presero il potere dopo aver dato una netta svolta nazionalista alla propria politica: Franjo Tuđman e Slobodan Milošević. Tuđman, presidente della squadra filo-jugoslava del Partizan Belgrado ai tempi di Tito, per la sua Hrvatska Demokratska Zajednica (Unione Democratica Croata) prese in prestito l’iconografia degli ustaše, i fascisti croati che nella Seconda Guerra Mondiale collaborarono con i nazisti, massacrando i Serbi. Oltre a prendere in prestito la šahovnica, la bandiera a scacchi rossi e bianchi degli ustaše, cominciò a farsi chiamare poglavnik, duce, in un chiaro riferimento al loro sanguinario leader Ante Pavelić. Tuđman veicolò il proprio nazionalismo anche attraverso il calcio quando divenne presidente della Dinamo Zagabria, che poi avrebbe ribattezzato Croatia Zagreb, alienando gran parte del seguito della squadra.

Nel giugno 1989 Slobodan Milošević, appena divenuto presidente della Serbia, tenne un discorso che avrebbe cambiato la storia a Kosovo Polje, la “piana dei Merli” a nord della capitale kosovara Priština, teatro di una storica battaglia tra la Serbia e l’Impero Ottomano avvenuta seicento anni prima. Milošević denunciò “il genocidio strisciante di cui sono vittime i Serbi nel Kosovo, culla della loro cultura” e affermò, in quella che fu la sua frase di maggior successo, che “nessuno deve permettersi di picchiare il nostro popolo”. Cavalcando l’onda del nazionalismo, il presidente serbo si rendeva conto di quanto questa potesse ritorcersi contro di lui, e fece in modo di avere un controllo forte su quello che era considerato il calderone più esplosivo: la tifoseria dello Stella Rossa di Belgrado, squadra politicizzata, anti-titoista e fortemente nazionalista, i cui ultrà si stavano distinguendo per la violenza delle proprie azioni. L’uomo che prese il controllo dei tifosi dello Stella Rossa, unendo tutti i gruppi rivali in una sola unità disciplinata e determinata, fu Željko Ražnatović, gangster di stampo mafioso e maestro dell’evasione, richiamato in Serbia dal governo per fare il “lavoro sporco”, come ad esempio eliminare fisicamente i dissidenti che erano fuggiti all’estero. L’uomo che, qualche anno più tardi, sarebbe salito all’onore delle cronache internazionali come l’efferato criminale di guerra Arkan. Arkan vietò agli hooligans dello Stella Rossa l’alcool e bandì piccole violenze e vandalismi. In cambio li addestrò e cambiò il loro nome da “zingari” a Delije, “eroi”, rendendoli una vera e propria formazione paramilitare, capace di creare seri disordini nelle partite contro il Partizan e la Dinamo Zagabria.

Il momento in cui le tensioni nazionalistiche eruppero sul campo fu proprio il fatale 13 maggio 1990, al Maksimir di Zagabria, una settimana dopo la celebrazione del decennale della morte di Tito: i Bad Blue Boys della Dinamo e i Delije si fronteggiarono in una battaglia i cui connotati e la cui organizzazione fanno pensare più a una guerriglia premeditata da entrambe le fazioni che a uno scontro tra tifosi. Per proteggere un giovane tifoso dalle manganellate della Milicija, la Polizia Federale Jugoslavia, il capitano dei croati Zvonimir Boban sferrò un calcio a un poliziotto, diventando istantaneamente un eroe nazionale. Il bilancio degli scontri fu di 138 feriti e 147 arresti. Boban rischiò un fermo da parte della polizia e perse l’occasione di essere convocato con la Jugoslavia a disputare il Mondiale di Italia ’90. Gli scontri tra i Delije e i Bad Blue Boys furono solo un preludio di quanto sarebbe avvenuto durante la primavera dell’anno seguente: quando il 29 maggio 1991 lo Stella Rossa vinse la Coppa dei Campioni, battendo ai rigori l’Olympique Marsiglia, Slovenia e Croazia avevano già dichiarato la propria indipendenza, portando la Jugoslavia alla guerra civile che l’avrebbe distrutta. Solo alcuni mesi dopo i Delije si arruolarono in massa nell’unità paramilitare comandata da Arkan, la Srpska Dobrovolijačka Garda (Guardia Volontaria Serba), più nota con il nome di Tigrovi, tigri. Le Tigri di Arkan presero parte alle guerre in Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo e divennero tristemente famose per gli efferati crimini di guerra commessi. Anche dall’altra parte avvenne un fenomeno simile, con gran parte dei Bad Blue Boys partiti per il fronte della guerra serbo-croata, spesso indossando il simbolo della Dinamo sulle proprie uniformi. Dal Maksimir di Zagabria e dal Marakana di Belgrado i combattimenti si erano riversati su tutta la Federazione Jugoslava.

Quando i croati ripresero il controllo di Vukovar, assediata per 87 giorni dalla Jugoslavenska Narodna Armija, l’Armata Popolare Jugoslava, la rappresaglia colpì la popolazione serba della città, tra cui la famiglia di Siniša Mihajlović, centrocampista dello Stella Rossa, poi a Roma, Sampdoria, Lazio e Inter. Nella sua casa, distrutta, oltre a un poster della nazionale jugoslava con un foro di proiettile sul cuore di Mihajlovic, furono ritrovate sue foto cui i soldati croati avevano ritagliato gli occhi: un rimando alle crudeltà di Ante Pavelić, che chiedeva ogni mattina ai suoi ustaše di consegnargli un cesto pieno di occhi a riprova che i massacri continuavano allo stesso ritmo.

Il regno mafioso di Arkan in Serbia prosperò durante il conflitto, e Ražnatović cercò di acquistare lo Stella Rossa, per farne un monumento alla sua persona. La dirigenza rifiutò di cedere, al che la Tigre, dopo un rifiuto dai kosovari dell’FK Priština, acquistò l’Obilić di Belgrado, squadra che porta il nome di un eroe serbo della battaglia di Kosovo Polje. A suon di intimidazioni a giocatori e dirigenti avversari, l’Obilić venne promosso in prima divisione nel 1997 e l’anno dopo fu campione di Jugoslavia (ormai composta solo da Serbia e Montenegro) nel 1998. Il 18 agosto 1999 le nazionali di Jugoslavia e Croazia si incontrarono per la prima volta a Belgrado in un incontro, finito 0-0, valido per le qualificazioni all’Europeo. Il tifo di Belgrado salutò l’inno croato Lijepa Naša Domovino con l’ostensione di cinquantamila diti medi alzati, e la curva insultò i giocatori della nazionale avversaria, chiamandoli ustaše nei propri cori. L’ostilità dell’atmosfera raggiunse il culmine quando, al quinto del secondo tempo, le luci dello stadio si spensero. “Si vedevano solo i raggi infrarossi dei fucili dei cecchini”, ricordò Slaven Bilić, nazionale croato presente allo stadio nonostante un infortunio. Il Marakana eruppe in un “Criminali rossi! Criminali rossi!” rivolto a Milošević e al suo regime, che iniziava a scricchiolare dopo la guerra in Kosovo. Mentre la leggenda di Arkan, assassinato cinque mesi più tardi da un commando di fronte all’Intercontinental Hotel di Belgrado, sopravvisse alla Tigre, la popolarità del presidente serbo era crollata. Proprio il Marakana, lo stadio dove Milošević aveva arruolato tramite Arkan una parte importante del suo esercito, segnò la fine della sua dittatura: la curva gli si ritorse contro e cominciò a intonare alle partite gli slogan Slobo odlazi, “Slobodan vattene”, e Slobo spasi Srbiju i ubi se, “Slobodan, salva la Serbia e ammazzati”. Dopo esser stato sconfitto alle elezioni da Vojislav Koštunica, Milošević si rifiutò di riconoscere il risultato delle urne. Il 5 ottobre 2000 a Belgrado, nelle dimostrazioni della Bager Revolucija, la “Rivoluzione dei Bulldozer” che fece infine crollare il regime, in prima linea nei combattimenti c’erano di nuovo le maglie dello Stella Rossa.

Damiano Benzoni