IL SETTEROSA SI BEVE UN CUBA

Esordio facile facile per la nazionale femminile contro le caraibiche (12-4) ai Mondiali di Shanghai.

L’Italia della pallanuoto (femminile) debutta ai Mondiali di Shanghai con una vittoria piuttosto eloquente (12-4), ma questo fa relativamente notizia, specie se l’avversario si chiama Cuba. L’Italia della pallanuoto (femminile) inizia con una prova di carattere, dimostrando grande concentrazione piuttosto che doti tecniche fuori dal comune: eccolo, il dato significativo di questa prima partita. Il Setterosa di Fabio Conti non si cura sugli allori e nell’esordio ai Mondiali di nuoto in Cina batte con autorevolezza le malcapitate caraibiche.

Inutile spendere fiumi d’inchiostro – o meglio, inutile consumare la tastiera… – su una partita che mai ha avuto una trama: si può giusto evidenziare il dato positivo delle azzurre in inferiorità numerica (solo un gol concesso, su quattro occasioni, alle cubane), si può celebrare la loro bravura nel non sottovalutare un avversario comunque innocuo. E si può evidenziare la buona prova delle sei debuttanti portate in Estremo Oriente da Conti: se il ct romano, a fine gara, spende buone parole per la 18enne Francesca Pomeri, l’attaccante Martina Savioli ha addirittura bagnato l’esordio mondiale con una tripletta, risultando la miglior marcatrice azzurra di giornata assieme alle veterane Abbate e Bianconi. Sicure, determinate, fredde, le azzurre sono pronte ad affrontare martedì il Sud Africa, sconfitto sonoramente dalla Cina. Quel Sud Africa che, per uno strano caso del destino, domani terrà a battesimo il Settebello, nella giornata di apertura del torneo maschile.

Poche le sorprese negli altri gironi: il big match tra l’Olanda di Mauro Maugeri, detentrice del titolo olimpico, e la corazzata USA finisce in parità (7-7), con numerosi rovesciamenti di fronte e accenni di fuga ben presto annullati. Straordinaria la prova delle quasi omonime Vermeer e Wenger: entrambe hanno segnato tre reti, entrambe lo hanno fatto andando alla conclusione in altrettante circostanze, chiudendo quindi con un invidiabile 100% di realizzazione. Il Canada si conferma una candidata autorevole alla vittoria finale superando agevolmente l’Australia, mentre la sfida tra Grecia e Spagna non delude le attese: le elleniche trionfano 10-9 (triplette per Asimaki e Gerolymou), ma le dirette avversarie, trascinate da Blanca Gil, confermano l’ascesa iberica ai massimi livelli della pallanuoto anche in ambito femminile.

UNA SETTIMANA DA GREGARI

Potremmo parlare dei big che latitano, si controllano, si marcano a uomo, si annullano a vicenda. Potremmo parlare di T-Blanc Voeckler, che ripete i fasti in giallo del 2004, con la differenza che, in Tour anarchico come quello di quest’anno, la sua leadership prosegue ben oltre le più rosee previsioni. Oppure potremmo parlare ancora di Thor Hushovd, che onora al meglio la maglia di campione del mondo con un’impresa eccezionale, per un passista veloce come lui, nella tappa dell’Aubisque. E invece, in attesa che le Alpi e la cronometro finale sanciscano l’esito di questa corsa senza padroni, parliamo di tre corridori tra i tanti, tre gregari, tre uomini di fatica, che in queste giornate pirenaiche hanno sputato l’anima per i propri capitani.

In primis, Sylvester Szmyd: polacco di nascita ma italiano d’adozione, al servizio di Frigo, Pantani e Cunego nelle prime stagioni della carriera, è ora il fidato uomo di Ivan Basso per le salite, l’unico Liquigas in grado di scortare il capitano sulle ascese più impegnative. Gatto Silvestro, la tappa del Mont Ventoux al Delfinato 2009 come unica gioia personale, viene da una stagione difficile, costellata da difficoltà fisiche: ma a Luz Ardiden, primo arrivo tosto di questo Tour, si è messo in testa e ha battuto il ritmo per chilometri e chilometri, alla velocità comandata da Basso, mettendo in fila tutti i rivali del varesino. Un lavoro durissimo, forse ben oltre le attuali possibilità fisiche del polacco, che infatti nel successivo tappone pirenaico ha pagato dazio, ma che ha confermato come un gregario sappia sacrificarsi per il proprio capitano anche quando non è al top della condizione.

Poi Stuart O’Grady, non uno qualunque: espertissimo australiano, quattro medaglie olimpiche su pista, una Parigi-Roubaix e due tappe al Tour in passato, corre per la Leopard-Trek dei fratelli Schleck. Il suo capolavoro, poi mal concretizzato dai lussemburghesi, nella frazione di Plateau de Beille: tra un colle e l’altro, lui che certo scalatore non è, ha di fatto annullato la maxifuga di una ventina di atleti, ricompattando il gruppo prima della salita finale. 38 anni da compiere ad agosto, è un vero esempio di professionalità per ogni corridore, visto che, nonostante i fasti del suo glorioso passato, nelle ultime stagioni non ha avuto problemi a mettere la sua esperienza al servizio dei più giovani e pimpanti capitani.

E infine Pierre Rolland, forse il meno noto dei tre: 25enne di Orléans, grande promessa tra i grimpeur (settore dove i francesi cercano ancora l’erede di Richard Virenque), è sostanzialmente il coautore del miracolo giallo di Voeckler. Quando la strada sale, e le squadre dei migliori dormono in seconda fila, il giovane transalpino si porta in testa a scandire quel ritmo regolare ma non certo infernale che tanto fa bene al suo capitano; quando invece gli uomini Leopard e Liquigas prendono in mano la corsa, si affianca all’alsaziano e lo porta letteralmente in cima all’asperità, facendogli da apripista, recuperandogli le borracce e incitandolo continuamente. Finora è andato tutto bene: T-Blanc veste sempre la maglia di leader, e al termine dei due tapponi pirenaici, conclusi rigorosamente al fianco del fidato gregario, si è sempre sciolto in abbracci commoventi con Rolland. Forse è questa la scena più bella di un Tour che finora ha regalato tante cadute e poche emozioni: un abbraccio sincero e onesto che suggella l’impresa in divenire di Voeckler.

UNA SETTIMANA NORVEGESE

Thor HushovdChi si aspettava che dalla prima settimana di Tour de France uscisse già un dominatore della corsa è rimasto deluso. Nonostante una cronosquadre ed un terzetto di tappe perlomeno miste (certo, nulla di paragonabile alle grandi montagne che vedremo da qui a poco), i primi venti in classifica generale sono rinchiusi nello spazio di 1’42’’. L’alfa e l’omega di questo gruppetto sono piuttosto sorprendenti: da un lato, il campione del mondo Thor Hushovd, sempre meno velocista e sempre più passista duro e resistente, tanto da aver resistito ottimamente anche su un arrivo impegnativo come quello di Super-Besse Sancy; dall’altro lato, Alberto Contador. Un Contador indubbiamente sfortunato, che ha passato molto, troppo tempo a rialzarsi da cadute ed incidenti vari; ma anche un Contador nervoso, con l’aggravante di aver corso le prime, rischiosissime frazioni nella pancia del gruppo, non potendo così evitare di essere coinvolto nei numerosi capitomboli del plotone. In più, la sua Saxo Bank non ha certo brillato nella cronosquadre, e tutti questi fattori spiegano un ritardo che comunque lascia stupiti. In mezzo ai due, i vari Evans, Klöden, fratelli Schleck, Vinokourov, Basso, Cunego e Gesink con i due italiani che sembrano in crescendo di condizione dopo una cronosquadre che, soprattutto per il varesino, non è stata molto positiva. L’australiano sembra invece l’atleta più in forma tra i favoriti per la vittoria finale, come ha dimostrato sullo strappetto del Mur de Bretagne,  anche se naturalmente le verifiche più ardue devono ancora arrivare. All’appello mancano il campione olimpico Sánchez, che con una pessima gestione di corsa si ritrova a 2’36’’, lo statunitense Leipheimer, presumibilmente tagliato fuori dai giochi a causa dei suoi 4’43’’ di ritardo, e il britannico Wiggins, costretto al ritiro a causa di una delle tante cadute che hanno segnato questa prima fase di corsa.

Ma nel titolo si parla di “settimana norvegese” perché oltre a Hushovd che resiste in giallo anche l’unico altro corridore del paese dei fiordi ha vissuto il suo giorno di gloria: Edvald Boasson Hagen, talento cristallino come pochi altri, si è infatti imposto a Lisieux, confermando le sue grandissime doti. Per il resto, le tre volate di gruppo hanno visto due successi di Cavendish e uno di Farrar, con Petacchi lontanissimo dai primi e coinvolto in un poco piacevole match d’insulti con lo spagnolo Rojas. A Super-Besse il portoghese Faria da Costa ha sorpreso tutti, mentre la prima tappa (e la prima maglia) erano andate a Philippe Gilbert, che ha fatto suo il traguardo di Monts des Alouettes disegnato apposta per lui, sfiorando il successo in altre due circostante.

E gli italiani? Detto di Basso, Cunego e Petacchi, c’è poco da segnalare. Una corsa onesta degli altri corridori azzurri, chiamati perlopiù a ruoli di gregariato: spiccano solo l’azione con cui Paolino Tiralongo, cercando di favorire Vinokourov, ha dato il via alle danze nella tappa di sabato, e la lunghissima fuga del campione nazionale a cronometro Adriano Malori, 220 chilometri davanti (gli ultimi in solitaria) verso Lisieux e il premio di combattività di giornata. La locomotiva di Parma, com’è stato prontamente soprannominato, sembra sempre più intenzionata a sbuffare verso un futuro di successi.

C’È SOLO LA SERBIA

Quarto successo nelle ultime cinque edizioni per la nazionale dell’ex Jugoslavia.

FIRENZE E con questa sono quattro. Anzi, volendo includere anche i due successi ottenuti quando il Montenegro non era ancora un’entità indipendente, i trionfi sarebbero addirittura sei. Insomma, nella World League comanda una sola nazione: la Serbia. C’è la curiosità di vedere cosa saranno in grado di fare, tra meno di un mese, gli uomini di Dejan Udovičić ai Mondiali di Shangai. Nel caso in cui riuscissero a confermare il trionfo iridato di due anni fa a Roma, per la pallanuoto serba si chiuderebbe un’annata difficile da ripetere: vittoria della nazionale in World League e ai Mondiali, trionfo della sua squadra più rappresentativa, il Partizan Belgrado, in Eurolega. Il divario tra i balcanici e le avversarie, considerando il momento di crisi che sta attraversando la pallanuoto ungherese, sembra incolmabile. Eppure l’Italia ha dimostrato che anche i più forti hanno le loro debolezze, mancando davvero per un soffio la grande impresa di sconfiggerli.

Balcani protagonisti – ma non poteva essere altrimenti – anche nei premi speciali: Slobodan Soro è stato eletto miglior portiere del torneo, e con alcuni miracoli compiuti nella finalissima ha dato dimostrazione di meritare il riconoscimento. E poi lo scettro di miglior marcatore va, in condivisione, al serbo Filipović e al croato Sukno, entrambi a segno per sedici volte a Firenze: saranno compagni di squadra, tra pochi mesi, nella sempre ambiziosa Pro Recco. Questi ultimi due, assieme a Vanja Udovičić e a Prlainović, figurano poi nella squadra ideale stilata dagli inviati di quotidiani, tv e siti Internet presenti a Firenze. Gli unici atleti non slavi sono, orgoglio nazionale, italiani: Stefano Tempesti, Christian Presciutti e Alex Giorgetti. Che ha poi ricevuto il premio di miglior giocatore in assoluto della manifestazione fiorentina. Insomma, la Serbia è la Serbia. Ma che il Settebello sia tornato ad essere il vecchio Settebello?

 

FINA WATER POLO WORLD LEAGUE
FIRENZE, 21-26 GIUGNO 2011

CLASSIFICA FINALE

1 ) Serbia

2 ) ITALIA

3 ) Croazia

4 ) Stati Uniti

5 ) Montenegro

6 ) Australia

7 ) Canada

8 ) Cina

ALBO D’ORO

2002 Russia

2003 Ungheria

2004 Ungheria

2005 Serbia-Montenegro

2006 Serbia-Montenegro

2007 Serbia

2008 Serbia

2009 Montenegro

2010 Serbia

2011 Serbia

SETTEBELLO, GRAZIE LO STESSO

L’Italia si arrende alla Serbia (7-8) nella finalissima di World League, dopo essere stata sempre in partita.

dai nostri inviati

FIRENZE Peccato, peccato davvero. Proprio sul più bello, proprio in finale, l’Italia si lascia sfuggire la World League. Soprattutto, vede sfumare la possibilità di qualificarsi direttamente per i Giochi Olimpici di Londra del prossimo anno. Sarebbe, tuttavia, più corretto dire che ha vinto la Serbia (8-7 il finale in favore degli uomini di Dejan Udovičić, vincitori del torneo per il secondo anno consecutivo e per la quarta volta negli ultimi cinque anni) e non che ha perso l’Italia. Perché il Settebello ha lottato ad armi pari, non si è dato per spacciato ed ha tenuto l’esito in bilico fino all’ultimo secondo, quando il tiro della disperazione di Gallo si è infranto contro il muro serbo.

Massimo equilibrio. Dimenticatevi il confronto diretto di mercoledì scorso, quello che aveva visto l’Italia arrendersi solamente ai rigori ai maestri serbi: in quel caso si lottava per il primo posto nel girone A, stasera c’era in palio un biglietto per Londra 2012. E si intuisce fin da subito come i serbi siano risoluti nel voler rifilare ad altri la patata bollente dei vari tornei di qualificazione: difesa serrata – l’Italia fallisce subito due superiorità numeriche – e attacco tremendamente cinico, con Udovičić beffa Tempesti su uomo in più e Duško Pijetlović – sembrava destinato alla squalifica, dopo l’espulsione per gioco violento rimediata in semifinale – si gira tra tre difensori realizzando da centroboa di razza. L’Italia, però, non accusa il colpo: raccoglie i cocci e, piano piano, costruisce pazientemente la rimonta. Che si concretizza prima con il grande gol di Aicardi dal centro e poi con la micidiale controfuga concretizzata da Giorgetti – sarà poi eletto, giustamente, miglior giocatore del torneo – con una conclusione che sibila tra le braccia di Soro.

Cuore azzurro. Ad onor di cronaca, in questa finale con vista su Londra manca, al Settebello, la lucidità in superiorità numerica (nessun gol, in due tempi, in quattro situazioni di uomo in più). Non mancano, invece, coraggio, determinazione, audacia. E il senso di squadra: tutti si danno una mano, tutti sono pronti a recitare una parte inedita pur di contribuire al bene comune. Si spiegano così le intrusioni di Giacoppo, un difensore, a centroboa. O gli interventi puliti di Gallo e Presciutti in marcatura su Nikić e Pijetlović, tra gli ospiti più ingrati che potessero bussare alla porta del Settebello. O i gol, realizzati dalla linea dei cinque metri, da Aicardi, uno che solitamente giostra con le spalle rivolte alla porta avversaria. Penalizzata sul piano fisico al cospetto dei marcantoni balcanici, la squadra di Sandro Campagna compensa con la rapidità dei suoi nuotatori: non è un caso che Fiorentini e Figlioli vincano due scatti a testa, non è un caso che le uniche ripartenze della partita arrivino proprio su iniziativa degli azzurri.

Scatto decisivo. Si gioca sul filo del rasoio per tre tempi buoni: la Serbia parte subito sullo 0-2, viene raggiunta in prossimità del suono della prima sirena, passa ancora, nuovo pareggio italiano e, infine, sorpasso in un paio di circostanze (4-3 e 5-4). L’equilibrio è il vero vincitore di questo incontro: Tempesti e Soro, indubbiamente i migliori al mondo nel loro ruolo, strappano applausi con interventi al limite del prodigioso, le rispettive difese assolvono al loro compito tenendo molto basso il dato delle superiorità numeriche. Quando un incontro non riesce a prendere una piega, finisce che la squadra più forte fa valere la propria superiorità. E così fa la Serbia nell’ultimo parziale, quello decisivo: Filipović, inserito dalla stampa presente a Firenze nella squadra ideale del torneo, infila Tempesti sul palo più lontano con una palombella per il 6-5 e, a meno di tre minuti dal termine, con un sinistro violento che, di fatto, deciderà l’incontro. Il tutto in colpevole, da parte degli azzurri, solitudine. L’Italia attacca e tiene sulle corde i serbi fino all’ultimo secondo. Fino a quando Gallo si ritrova sulla mano il pallone del possibile 8-8, che non si concretizza. Finisce con la Serbia che festeggia e che raggiunge Londra prima di tutti. Ma, se in futuro proseguirà su questi binari, per il Settebello la strada non è poi tanto lontana.

In evoluzione. “Siamo come le figurine dei Pokemon che regalo a mio figlio: lui mi dice che ne vuole sempre una nuova, perché i personaggi cambiano, si evolvono. E noi siamo come loro”. Trova la forza di sorridere, Sandro Campagna, nonostante la delusione per il successo mancato di un soffio. “Fino a 2-3 anni fa Serbia e Croazia erano avversari inarrivabili, ora ce la stiamo giocando alla pari con loro”. Vero: nella finale degli Europei di Zagabria la resistenza degli azzurri durò due soli tempi, stasera il Settebello per poco non prolungava la sfida ai rigori.  E pensare che, due anni fa, ai Mondiali in casa chiudevamo con un brutto undicesimo posto. “Quando arrivi a perdere, in una finale, per un solo gol di scarto contro i campioni del mondo in carica, il cui zoccolo duro viene dalla squadra vincitrice dell’Eurolega, significa che la squadra c’è e che siamo alla pari. Solo giocando a questi livelli, a questi ritmi arriverà la giusta esperienza per fare ancora meglio. Abbiamo riportato entusiasmo attorno al Settebello: l’Italia deve essere consapevole di avere una bella nazionale. Godiamocela e lavoriamo sodo per i Mondiali”. Coraggio, azzurri.

 

Domenica 26 giugno 2011
ITALIA-SERBIA 7-8 (2-2, 1-1, 2-2, 2-3)
Piscina Paolo Costoli, Firenze

 

ITALIA: Tempesti, Luongo, Gitto, Figlioli 1, Pérez, Felugo, Giacoppo, Gallo 1, Presciutti, Fiorentini, Aicardi 3, Deserti, Giorgetti 2. All. Campagna.

SERBIA: Soro, Ćuk 1, Gocić, Vanja Udovičić 1, Vapenski, Duško Pijetlović 2, Nikić, Aleksić 1, Rađen, Filipović 3, Prlainović, Mitrović, Gojko Pijetlović. All. Dejan Udovičić.

ARBITRI: Margeta (SLO) e Moliner (ESP).

NOTE: superiorità numeriche Italia 1/9, Serbia 4/11. Espulsi definitivamente Gocić a 2’18” tt e Rađen a 5’21” qt per somma di falli. Spettatori 2200 circa. In tribuna il presidente della FIN Paolo Barelli e il sindaco di Firenze Matteo Renzi.

 

Damiano Benzoni
Simone Pierotti