RYDER CUP: LA FORMULA

Ryder CupDopo aver mutato la formula molte volte nella sua storia, la Ryder Cup ha trovato la sua stabilità dal 1979 e si disputa attraverso 28 incontri diluiti nell’arco di tre giorni con la forma del matchplay.

Matchplay – A differenza delle gare individuali che generalmente si svolgono considerando la somma dei colpi utilizzati dal golfista nel corso del torneo, nelle prove a Maychplay, un giocatore o una coppia guadagna un punto per ogni buca conclusa in un numero di colpi inferiore a quello dell’avversario.

Le prime due giornate della Ryder Cup prevedono in calendario lo svolgimento di 8 incontri foursomes e 8 incontri fourball lasciando al capitano della squadra ospitante la scelta di quale formato utilizzare nella prima giornata. (Domani si partirà con 4 fourball al mattino e 4 foursomes al pomeriggio)

Foursomes – una coppia di una squadra è opposta ad una coppia dell’altra; ogni coppia utilizza una pallina che viene colpita in alter-nanza dai due golfisti della stessa coppia che si alternano anche quando si tratta di andare sul tee per iniziare una buca.

Fourball –  ogni golfista gioca la sua pallina e ai fini del punteggio della coppia viene considerato il migliore punteggio dei due com-ponenti.

Nell’ultima giornata la Ryder Cup si conclude con lo svolgimento di 11 incontri singoli, testa a testa, tra un golfista della squadra europea e un golfista della squadra statunitense.

In ognuno dei 28 incontri la coppia o il golfista che ottiene la vittoria conquista un punto per la sua squadra mentre in caso di pareggio entrambre le squadre aggiungono mezzo punto alla loro classifica. In caso di pareggio al termine delle tre giornate, la squadra che detiene la Coppa, in questo caso gli Stati Uniti, mantiene il diritto ad essere considerata detentrice.

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Massimo Brignolo

CICLISMO: QUARTO IRIDE PER CANCELLARA

A Geelong, nella crono per professionisti, vittoria annunciata dello svizzero.

Si dice cronometro, si pensa a Fabian Cancellara, e anche sul circuito di Geelong questa equazione è stata dimostrata in tutta la sua veridicità. Il ventinovenne di Wohlen, nel Bernese, non ha vinto: ha dominato, completando i 45 km della prova iridata in 58’09’’, a 47 km/h di media. Nulla da fare per i rivali, che si devono accontentare dei piazzamenti: argento per il trentatreenne britannico David Millar, già secondo nella crono olimpica, a 1’02’’ dall’elvetico, bronzo per il tedesco Tony Martin (+1’12’’) che, nonostante una foratura, riesce a difendersi dall’australiano Richie Porte, staccato di ulteriori 7’’. Nella notte in cui il ciclismo mondiale viene scosso dalla notizia della positività di Alberto Contador al clenbuterolo, durante un giorno di riposo dello scorso Tour de France, il ciclista svizzero di chiare origine lucane vince il suo quarto campionato del mondo nelle prove contro il tempo, dopo i successi di Salisburgo, Stoccarda e Mendrisio: per Cancellara è il coronamento dell’ennesima stagione straordinaria, dopo i successi al Giro delle Fiandre, alla Parigi-Roubaix e in due tappe del Tour. Tra i grandi delusi della prova odierna c’è l’altro australiano Michael Rogers, in testa per interminabili minuti ma poi solamente quinto nella classifica finale; sorprendente invece il cileno Carlos Oyrazun, quattordicesimo al traguardo, davanti ad atleti ben più quotati di lui come l’ucraino Grivko, i francesi Vogondy e Chavanel e lo spagnolo Gutiérrez. Come annunciato nei giorni scorsi, nessun azzurro ha preso il via, a causa dell’infortunio di Marco Pinotti che sarebbe stato l’unico italiano designato alla sfida contro il tempo: il ct Bettini ha preferito non richiedere uno sforzo ulteriore a Vincenzo Nibali e Marzio Bruseghin, che saranno pedine fondamentali nella gara in linea di domenica.

Nella notte tra oggi e domani, gli under 23 andranno all’assalto del titolo mondiale. L’Italia punta sul brillante Enrico Battaglin, supportato da Stefano Agostini, Sonny Colbrelli, Massimo Graziato e Moreno Moser.

Marco Regazzoni

CICLISMO: PHINNEY E POOLEY PRIMI ORI MONDIALI

Ai Mondiali di ciclismo su strada a Melbourne assegnate le prime medaglie.

Il primo inno nazionale a suonare sul podio iridato di Geelong è “The Star Spangled Banner”: infatti, è lo statunitense Taylor Phinney ad aggiudicarsi la medaglia d’oro nella cronometro under 23, precedendo di poco meno di due secondi l’australiano Luke Dubridge, mentre la medaglia di bronzo va al tedesco Marcel Kittel staccato di 24’’. Phinney è nato a Boulder, in Colorado, vent’anni fa, ma nonostante la giovane età si è già aggiudicato due titolo mondiali dell’inseguimento su pista, specialità che spiega le sue ottime doti da cronoman: questo ragazzo, negli scorsi anni pupillo di Lance Armstrong, ha ereditato al meglio il DNA familiare di grande campione, visto che il papà Dave fu bronzo olimpico a cronometro a Los Angeles 1984, e in quella stessa edizione dei giochi la mamma Connie Carpenter vinse la medaglia più prestigiosa nella prova in linea. Phinney ha già un contratto che lo lega, a partire dalla prossima stagione, alla BMC di Cadel Evans: gli addetti ai lavori dicono che sentiremo ancora parlare di lui. Tra gli azzurri, più che buono il sesto posto di Matteo Mammini, penalizzato dalla pioggia e dal vento incontrati sul percorso: il ventunenne di Lucca ha chiuso ad una cinquantina di secondi dal vincitore.

Quindi, all’ora di colazione in Italia, si è disputata anche la prova a cronometro femminile: alle 8.12, quando mancavano solo una manciata di atlete a terminare la corsa, c’era in prima posizione l’intramontabile Jeannie Longo, 52enne plurimedagliata e vero mito dello sport delle due ruote. La signora di Annecy ha dovuto però cedere il passo ad una straordinaria Emma Pooley, di trentaquattro anni più giovane di lei, che conquista così la medaglia d’oro mondiale: per la londinese si tratta di una bella conferma dopo l’argento olimpico a Pechino. A completare il podio, spezzando l’ennesimo sogno della Longo, troviamo la trentaquattrenne tedesca Judith Arndt e la brillante neozelandese Linda Villumsen, medaglia di bronzo. Per quanto riguarda le azzurre, decimo posto di Tatiana Guderzo e dodicesimo di Noemi Cantele, un po’ sotto le aspettative: ma comunque, le due ragazze avranno l’occasione di riscattarsi nella prova in linea di sabato, dove la vicentina dovrà difendere l’oro conquistato a Mendrisio.

Nella notte tra oggi e domani la prova a cronometro uomini: strafavorito lo svizzero Fabian Cancellara, attenzione anche agli australiani Michael Rogers e Richie Porte, allo statunitense David Zabriskie, all’inglese David Millar, al tedesco Tony Martin e al canadese Svein Tuft. Dopo l’infortunio di Pinotti, nessun azzurro prenderà il via, in modo da preservare al meglio Nibali e Bruseghin per la gara in linea di domenica.

Marco Regazzoni

LA STORIA DELLA RYDER CUP

Ryder CupFu di un commerciante inglese, convertito al Golf in età matura per motivi di salute, l’idea di organizzare un incontro tra la squadra americana e la squadra britannica. Si era nel 1925 e sin dal dopoguerra i golfisti statunitensi avevano iniziato a sbarcare annualmente in Inghilterra in occasione dell’Open Championship e avevano preso l’abitudine, devastante per l’orgoglio inglese, di iniziare a vincere con troppa frequenza il torneo più prestigioso nella culla di questo sport (dal 1921 al 1933 i professionisti di oltreoceano si imposero 12 volte in 13 edizioni).

Tre anni prima era nata la Walker Cup per i migliori dilettanti delle due nazioni e Samuel Ryder,  durante l’Open del 1925, lancia l’idea di una sfida annuale a livello professionistico. Un primo incontro, presto indicato come non riconosciuto, si ha nel 1926 quando a Wentworth la squadra britannica riesce, non si sa come, a superare la pattuglia americana per 13 a 1 con un pareggio nonostante questa schieri campioni del calibro di Walter Hagen, Tommy Armour, Jim Barnes e Fred McLeod (gli ultimi tre non nati negli Stati Uniti). L’esperienza di Wentworth porta a definire che a partire dall’anno successivo la compe-tizione si svolgerà ogni due anni e vi saranno ammessi solo professionisti nati (nei decenni fu sufficiente la cittadinanza) nei due paesi.

Il primo incontro ufficiale con tanto di coppa messa in palio da Samuel Ryder si svolge nel mese di luglio del 1927 al Worcester Country Club in Massachusetts; la squadra britannica arriva al circolo dopo sei giorni di navigazione sull’Aquitania e tre giorni e mezzo di treno. Gli Stati Uniti vincono per 9½ a 2½ e la coppa viene consegnata al capitano a stelle e strisce, Walter Hagen.

Nelle quattro edizioni successive le due squadre si impongono nelle edizioni disputate in casa ma la vittoria britannica del 1933 è l’ultima vittoria prima di un dominio statunitense che dura fino al 1985 con la sola vittoria della Gran Bretagna nel 1957. L’esito scontato delle sfide porta ad una calo di interesse di pubblico e sponsor nella manifestazione dove spesso si arriva all’ultima giornata a risultato già acquisito. L’idea per ridare vigore fu suggerita dal grande Jack Nicklaus: trasformare la squadra britannica in rappresentativa europea inserendo talenti come lo spagnolo Severiano Ballesteros che in carriera vince tre Open e due Masters e il tedesco Bernhard Langer, vincitore del Masters nel 1985 e nel 1993.

Sono proprio Ballesteros e il connazionale Antonio Garrido ad essere i primi golfisti non britannici a fare la loro comparsa nella Ryder Cup nel 1979; nel 1981 si aggiungeranno il tedesco Langer e  José Maria Cañizares mentre cresce Nick Faldo: nel 1983 a Palm Beach una sfida combattuta si decide nell’ultimo incontro e nel 1985, dopo 28 anni, la selezione europea ritorna alla vittoria a The Belfry. Da quel momento le sfide diventano di edizione in edizione più combattute e il bilancio della squadra da quando si fregia dei colori europei è in totale equilibrio con 7 vittorie per parte e un pareggio.

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Massimo Brignolo

NEL PANTANO DEI GIOCHI DEL COMMONWEALTH

Nella bufera l’edizione che si svolgerà in India, tra ritardi, lacune e corruzione.

Basterà la cerimonia d’apertura a mettere la parola fine alle polemiche che stanno tempestando l’India e gli organizzatori dei Giochi del Commonwealth? Difficile a dirsi; anche perché agli espropri delle case per costruire le nuove avveniristiche strutture sportive – fenomeno che ormai caratterizza tutti i mega-event di paesi non occidentali (vedi Pechino 2008, Sud Africa 2010) e possibile anche in una democrazia come l’India grazie a una legge risalente ancora all’Impero britannico – si sono aggiunti ritardi, carenze strutturali e scandali di corruzione.  Anche il piano emergenziale, posto in essere per finire entro i termini, è stato rallentato dalle forti piogge e dalle epidemie di febbre. Il momento più basso è stato poi raggiunto il 21 settembre, quando un ponte, che avrebbe dovuto collegare il villaggio degli atleti allo stadio, è collassato al suolo, ferendo 23 operai, perché costruito in troppa fretta e con materiali scadenti.

L’intera manifestazione a quel punto è stata sul punto di essere cancellata anche perché, per via delle carenze organizzative, gli allarmi di possibili attacchi terroristici si sono intensificati e numerosi atleti hanno dichiarato che i Giochi non sarebbero essere stati assegnati all’India.

Ma anche nei giorni successivi i problemi relativi al villaggio degli atleti sono apparsi alle volte insormontabili. Bagni inagibili, primi piani allagati, scimmie, serpenti e cani randagi hanno costretto le squadre a ritardare il loro arrivo o ad alloggiare momentaneamente negli alberghi di Dehli.

Dovevano essere la presentazione dell’India al mondo, o quantomeno una prova generale in vista della candidatura alle olimpiadi del 2020, ma si stanno tramutando in un pericoloso boomerang. Molti indiani hanno espresso il loro disappunto per la brutta esposizione internazionale del proprio paese, ma a ben guardare altrettanti non sembrano curarsene. In effetti solo due sport britannici sono veramente entrati nel cuore degli indiani: l’hockey su prato e, soprattutto, il cricket, che attira quasi totalmente l’attenzione dei media.

Del resto l’India, Giochi del Commonwealth o meno, deve confrontarsi quotidianamente con le sue contraddizioni derivate dall’essere una potenza regionale dalle concrete aspirazioni globali ma allo stesso tempo di paese povero. Chi invece potrebbe davvero subire una ferita profonda dal fallimento dei Giochi è il Commonwealth stesso. Senza Husain Bolt e la Regina Elisabetta la manifestazione appariva già dimezzata; le seguenti rinunce individuali e le acide polemiche dei quotidiani anglofoni di mezzo mondo potrebbero contribuire a sfiduciare quasi definitivamente un’organizzazione che ha già perso negli anni gran parte del suo peso politico e sta lentamente perdendo anche la sua influenza simbolica e culturale.

Nicola Sbetti