ASPETTANDO IL GRAN FINALE

Ripercorriamo l’attesa della finale nella storia della Coppa del Mondo

L'attesaQuesta sera si giocherà la diciannovesima finale in un campionato del mondo di calcio. Nelle due nazioni contendenti, Spagna e Olanda, la febbre da finalissima sta salendo spasmodicamente. Nella caliente Spagna l’attesa è talmente sentita, che si è già pensato ai festeggiamenti; e per la serata di lunedì si è già organizzata una grande sfilata nel centro di Madrid per l’eventuale arrivo della Coppa. Ma anche gli olandesi non hanno voluto essere da meno dei loro avversari, e con fare latino hanno già preparato per martedì prossimo un percorso trionfale tra i suggestivi canali di Amsterdam con due ali di folla di un milione di olandesi a fare da cornice sulle sponde.

Eppure, il resto dell’orbe terracqueo pallonaro non pare altrettanto sovreccitato nell’attesa della sfida tra queste due nazionali, che effettivamente nel corso del mondiale sudafricano non hanno espresso un gioco tale da accendere gli entusiasmi degli spettatori neutrali.

Ma andiamo a ritroso nel tempo a vedere come era stata vissuta nel mondo la vigilia delle finali precedenti, a partire dalla prima volta:

Mondiale 1930 – Uruguay-Argentina. Essendo il primo campionato mondiale della storia, il metro di misurazione del valore delle nazionali di calcio erano le Olimpiadi. E l’ultima finale olimpica, ad Amsterdam 1928, si era disputata proprio tra Uruguay ed Argentina, considerate le migliori squadre dell’epoca, senza tenere conto delle spocchiosissime nazionali britanniche, che snobbavano sistematicamente i grandi tornei internazionali. Quello del 1930 era stato un campionato del mondo quasi sperimentale, e tante federazioni europee non avevano potuto prendervi parte per l’impossibilità di sostenere i costi di trasferta. Ma nonostante nel vecchio continente gli echi fossero arrivati fortemente attutiti, in Sudamerica la manifestazione era stata fortemente sentita, e la sconfitta dell’Argentina era stata accolta da moti di ira popolare nella capitale Buenos Aires.

Mondiale 1934 – Italia-Cecoslovacchia. Il regime fascista aveva colto l’occasione di ospitare la grande kermesse calcistica per autocelebrare il successo della propria politica sportiva, caricando la finale contro la Cecoslovacchia, stella del calcio mitteleuropeo dell’epoca, di motivazioni nazional-patriottiche. Il calcio in quegli ultimi quattro anni aveva fatto passi da gigante tra la popolazione mondiale. Le federazioni calcistiche nazionali si erano rafforzate, e fatta salva la solita eccezione delle leghe britanniche, tutte le formazioni più quotate erano finalmente rappresentate. Per la prima volta si era scoperta l’importanza del fattore campo, soprattutto in occasione dei quarti di finale, vinti in seconda battuta dall’Italia sulla Spagna di Ricardo Zamora, con grandi polemiche sull’arbitraggio un po’ troppo casalingo dello svizzero Rene Marcet.

Mondiale 1938 – Italia-Ungheria. Il calcio è ormai una realtà di dimensione mondiale, e il successo di pubblico della manifestazione in Francia, ne è la prova. Gli italiani, arrivando in finale sia in veste di detentori del titolo che di favoriti dal pronostico, mettono a tacere anche le voci (comunque non infondate) della vittoria al mondiale precedente dovuta al fattore campo. Più che la finalista Ungheria, a sentire la stampa internazionale, desta un’enorme impressione il giovane Brasile, guidato dal capocannoniere Leônidas, che si classifica al terzo posto, dopo avere costretto gli azzurri ai tempi supplementari in semifinale.

Mondiale 1950 – Uruguay-Brasile. La FIFA cambia la formula del torneo, e al posto della finalissima a scontro diretto, viene introdotto un girone finale di quattro squadre. Nell’ultima partita del 16 luglio 1950, al Brasile basterebbe un pareggio per aggiudicarsi il titolo. Ma si gioca al Maracanà di Rio de Janeiro, davanti a un pubblico stimato in più di 200mila spettatori, e per il Brasile è vitale brindare al primo posto, facendo il botto. Del resto l’Uruguay non pare irresistibile, e il popolo brasiliano è già pronto, anima e corpo, a lunghi giorni e notti di festeggiamenti, come fosse un secondo carnevale. Ma Schiaffino e Ghiggia ribaltano sia il pronostico che il parziale svantaggio, gettando nella disperazione e nello sconcerto sia i giocatori che i tifosi brasiliani.

Mondiale 1954 – Germania Ovest-Ungheria. Altro mondiale ed altra favorita d’obbligo: questa volta la Grande Ungheria di Puskás, Kocsis, Hidegkuti e Czibor, solo per citarne alcuni. Apparentemente questo Dream Team danubiano non sembra conoscere rivali, e nella fase a gironi aveva già battuto la Germania Ovest con un sonoro 8-3. La vigilia del match è dominata dall’incertezza sulla presenza in campo della stella magiara Ferenc Puskás, leggermente infortunato. I giornalisti dell’epoca sono tutti d’accordo: se giocherà Puskás, l’Ungheria porterà a casa la Coppa. In diretta televisiva, (prima volta nella storia dei mondiali) il 4 luglio 1954 Puskás scende in campo, ma la Coppa se ne vola rocambolescamente in Germania Occidentale, tra le polemiche per l’arbitraggio inglese e l’ombra del doping sui tedeschi vincenti.

Mondiale 1958 – Brasile-Svezia. Nel 1958 il calcio è ormai inequivocabilmente l’oppio dei popoli, e l’attesa per la finale di Stoccolma del 29 giugno è spasmodica. Visto il livello dei giocatori in campo da entrambe le parti: Liedholm, Gren, Skoglund, tra gli svedesi e Didì, Vavà, Garrincha, Zagallo e il giovanissimo Pelè tra i brasiliani, ci si aspetta uno spettacolo di grande calcio. E le aspettative dei puristi del pallone non vengono deluse. Il Brasile, dato da tutti per favorito, vincerà 5-2 in una partita appassionante, strappando anche gli applausi dei 50mila spettatori svedesi.

Mondiale 1962 – Brasile-Cecoslovacchia. Nonostante l’assenza dell’infortunato Pelè, contro la solida selezione cecoslovacca il Brasile difende da grande favorito il titolo conquistato quattro anni prima. Eppure nell’incontro precedente durante la prima fase, i verdeoro non erano andati al di là dello 0-0, e avevano scoperto sulla loro pelle quanto difficile da penetrare fosse la linea difensiva cecoslovacca. Secondo la stampa si stava per prospettare un incontro tra le grandi individualità dei sudamericani e l’organizzazione quasi scientifica del collettivo mitteleuropeo. Alla fine avrà la meglio l’enorme tasso tecnico dei brasiliani, ma non sarà affatto una passeggiata.

Mondiale 1966 – Inghilterra-Germania. Il fattore campo, scoperto nel giardino di casa nostra nel lontano 1934, diventa determinante anche in questi mondiali in Inghilterra. Le due finaliste sono rappresentate dai due grandi campioni Bobby Charlton e Franz Beckenbauer, e secondo i giornalisti sarà una partita combattutissima, data anche la storica rivalità delle due nazioni. Il pronostico è azzeccato, e l’Inghilterra vincerà 4-2 dopo i tempi supplementari in una cornice di grande agonismo. In Italia l’interesse è minore che in altre occasioni: ci sono ancora i postumi dello choc della Corea da smaltire.

Mondiale 1970 – Brasile-Italia. L’Italia si riscatta dopo la figuraccia di quattro anni prima, guadagnandosi la finale, al termine di una semifinale passata alla leggenda contro la Germania Ovest. I nostri giornali alimentano grandi speranze di vittoria, ma alla prova dei fatti il Brasile dell’intramontabile Pelé sembra mostrare un altro passo. Perderemo con un ingeneroso 4-1 e con altrettanto ingenerosi lanci di pomodori marci al rientro in patria.

Mondiale 1974 – Germania Ovest-Olanda. Il mondo resta a bocca spalancata davanti ai giovani capelloni olandesi, come Cruijff, Neeskens, Krol, Rensenbrink e Rep e il loro spumeggiante calcio totale, ideato dall’allenatore Rinus Michels. Le lodi per gli arancioni si sprecano, ma la Germania Ovest del solito Franz Beckembauer, con un’età media di quasi trent’anni, conferma la propria fama di squadra solidissima, bene organizzata e dotata di una difesa difficilissima da penetrare. Applausi scroscianti ai giovani leoni olandesi e titolo ai vecchi volponi tedeschi.

Mondiale 1978 – Argentina-Olanda. La squadra olandese non era solo un fuoco di paglia, e lo dimostra conquistando la seconda finale consecutiva. Si gioca nell’Argentina della giunta militare del generale Videla, e Il fattore campo, da sempre importantissimo, in questa occasione assurge ad autentico protagonista, con arbitraggi al limite dello scandalo nella prima fase, e un forte sospetto di combine nella vittoria per 6-0 sul Perù che spalanca ai biancocelesti le porte della finale. L’Olanda ha qualche campione in meno rispetto al 1974, ma la finale è ugualmente spettacolare, con grande giubilo dei gongolanti generali argentini.

Mondiale 1982 – Italia-Germania Ovest. Fuori ai quarti lo spettacolare dream team del Brasile di Telé Santana; fuori, sempre ai quarti, l’Argentina del giovane Maradona; fuori in semifinale la Francia champagne di Michel Platini, si contendono la corona mondiale due squadre arcigne, sopravvissute per grazia ricevuta all’eliminazione nella fase eliminatoria: Italia e Germania Ovest. A casa nostra l’incontro lascia riaffiorare suggestioni leggendarie, e la febbre da calcio sale a livelli irripetibili. La vittoria per 3-1 fornisce la motivazione per una grande festa di popolo.

Mondiale 1986 – Argentina-Germania Ovest. Per l’ennesima volta i tedeschi arrivano in finale, ma la protagonista è l’Argentina; anzi il protagonista è uno solo: il simbolo dell’Argentina, ovvero Diego Armando Maradona. Il suo gol di mano nei quarti contro l’Inghilterra gli varrà il soprannome di La mano de Diòs, ed il primo dei suoi due gol contro il Belgio in semifinale lo catapulterà di diritto nella leggenda del calcio. Dal punto di vista dei mass media, la Germania Ovest di Rummenigge e Rudi Völler è poco più che uno sparring partner, anche se di gran lusso.

Mondiale 1990 – Germania Ovest-Argentina. Le notti magiche dei nostri si fermano alle porte della finale, che come quattro anni prima è giocata da Germania Ovest ed Argentina. Maradona è ancora una stella che risplende nel firmamento calcistico, e le aspettative sono per una partita di grande spettacolo. La realtà sarà decisamente più soporifera.

Mondiale 1994 – Brasile-Italia. Un altro remake di una finale precedente, quella del 1970, nella fattispecie. Il mondiale statunitense garantisce uno spettacolo divertente, e l’Italia di Arrigo Sacchi, Roby Baggio, Roberto Donadoni e Franco Baresi è calcisticamente più brasiliana dello stesso Brasile, guidato questa volta dal tecnico di filosofia difensivista Carlos Alberto Parreira. Si finisce ai rigori dopo un’interminabile fase di studio durata 120 minuti.

Mondiale 1998 – Francia-Brasile. Fattore campo ancora decisivo, con la Francia multietnica di Zinedine Zidane a disputare per la prima volta una finale mondiale. Dall’altra parte della barricata, ancora il Brasile, questa volta simboleggiato da Ronaldo, soprannominato un po’ troppo enfaticamente Il Fenomeno. Ronaldo giocherà la finale ancora dolorante per un infortunio precedente, e la Francia azzeccherà la chiave tattica per vincere la partita a mani basse e il mondiale in casa.

Mondiale 2002 – Brasile-Germania. Nell’edizione nippo-coreana del mondiale gli arbitri si rivelano protagonisti negativi, trainando immeritatamente in semifinale la mediocre Corea del Sud. I campioni brasiliani, come Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho sono le vere stelle, coccolate dalla stampa mondiale. Diversamente, la Germania non presenta individualità di spicco, ma dispone del solito collettivo, questa volta solidamente impostato dall’ex campione baffuto Rudi Völler.

Mondiale 2006 – Italia-Francia. La Francia è solo l’ombra sbiadita di quella che otto anni prima aveva conquistato il titolo mondiale, ma tra colpi di fortuna irripetibili e qualche sparuta prodezza, arriva in finale. Dall’altra parte un’Italia mai particolarmente brillante nel corso del torneo. Per chi, diversamente da noi e dai francesi, che l’abbiamo vissuta da protagonisti, è stato spettatore neutrale, si è avuto un lungo sbadiglio di 120 minuti, con un grande fuoco d’artificio nel finale: La testata di Zidane.

Giuseppe Ottomano

BRASILE E ARGENTINA: ANATOMIA DI DUE FALLIMENTI

Una chiave di lettura sull’eliminazione delle due sudamericane favorite per il titolo

Foto: EPA

Un Mondiale pubblicizzato come sudamericano ha perso le due regine ai quarti, con il solo Uruguay a vincere una partita persa. I motivi della disfatta di Brasile e Argentina sono di facile decrittazione. Contro l’Olanda è accaduto quello che sospettavamo: un Brasile senza nessun ricambio valido (tranne Dani Alves) che desse lo spunto decisivo per uscire da un gioco molto lineare è stato messo fuori dall’irruenza di Felipe Melo e dalla costanza dell’Olanda, capace di giocare allo stesso ritmo e con fraseggi molto simili per l’intero incontro (deve stare molto attenta all’Uruguay, capace di difendere forte e cambiare passo meglio del Brasile, anche se mancando Suárez, miglior attaccante del Mondiale insieme a Villa, perde tantissimo). Adesso la squadra deve rifondarsi e vincere in casa. Per questo motivo chi prenderà il posto di Dunga avrà all’inizio i benefici dell’effetto Prandelli (o post-Lippi, Dunga in questo caso), ma poi dovrà sobbarcarsi un lavoro psicologico tremendo. Brasile 2014 deve dare la sesta stella, c’è poco da stare lì a riflettere. Con quale Brasile, ad oggi, si arriverebbe ad un evento così importante? In difesa ci sono dei ricambi validi, primo fra tutti Thiago Silva, anche se Maicon, Lúcio e Juan non nascono ogni quattro anni. Il portiere potrebbe rimanere, anche se il vivaio è prolifico e qualche altro giovanissimo sulle fasce in Brasile nasce sempre. I veri problemi sono centrocampo e attacco.

La volontà di Dunga di giocarsela con chi gli ha fatto vincere Coppa America e Confederations Cup, convocando giocatori inutili (Júlio Baptista, Josué, Gilberto Melo, Grafite) lo ha lippizzato e ha creato lo stesso sconquasso generazionale in cui si trova l’Italia. Una generazione in Brasile è totalmente saltata e dei nati nella prima metà degli anni ’80 c’è il solo Robinho che può arrivare, da grande vecchio, all’appuntamento brasiliano. C’è da puntare quindi sui giovanissimi: qui sorge un altro problema che è invece tipico del paese sudamericano (a differenza dell’Argentina). Una marea di calciatori giovani lasciano prestissimo i loro club di appartenenza, come è sempre successo. Ma invece di arrivare in Italia, Spagna, Germania o Inghilterra, i dollaroni di Russia, Giappone, Grecia e addirittura Ucraina fanno più gola. Della squadra vicecampione mondiale under 20, Dunga non ha convocato nessuno. E, tra quelli che giocavano in quella squadra, Douglas Costa e Alex Texeira sono allo Šachtar Donec’k, Rafael Tolói è vicino ad una delle grandi di Mosca, Renan è allo Xerez in prestito dal Valencia, Diogo all’Olimpiakos, Alan Kardec al Benfica e Souza al Porto. Della squadra titolare della finale contro il Ghana nessun elemento gioca in una grande squadra europea, molti vincitori di quel match (solo ai rigori e in modo immeritato) giocano in squadre di seconda fascia europea, ma almeno sono stati convocati e hanno giocato già il loro primo Mondiale. Con una squadra completamente da rifare, giovani che non hanno nessuna grande esperienza internazionale e senza convocazioni in Nazionale, il Brasile è un cantiere in cui è tutto ancora da decidere.

Per l’Argentina invece, il discorso è molto diverso. Il più grande errore di Maradona è stato credere che Messi fosse lui. Un errore che ha creato le premesse per la figuraccia tattica di ieri. Ieri l’Argentina era una squadra da dopolavoro. Tutti fermi ad aspettare le accelerazioni di Lionel. Come accadeva nel 1986, secondo un calcio di mille anni fa. L’idea di Maradona era fotocopiare il 1986 e riproporlo grazie alla Pulce. Una difesa bloccatissima (Brown, Cuciuffo e Ruggeri erano tre centrali e Olarticoechea non garantiva una grandissima spinta), centrocampo di lotta con un mediano compassato che moderava i ritmi e faceva muovere a cadenza bassissime la squadra (e qui nasce il primo grande problema: Batista nel 1986 poteva giocare al calcio perché bastava fraseggiare a velocità da dopolavoro nella propria metà campo, mentre con il pressing di oggi Verón è improponibile e Maradona sapeva di non poterlo schierare dopo che lo aveva testato nella prima gara con la Nigeria), un attacco con un centravanti goleador e una seconda punta che svariava.

Il nodo e lo snodo è il numero 10. Lì c’era Maradona, che saltava gli uomini e riusciva a non imbottigliarsi mai (anche per la mancanza di pressing). In questo modo apriva spazio per gli altri due attaccanti che trovavano sempre la strada spalancata. Messi invece saltava i primi due e andava ad imbottigliarsi in mezzo a tre avversari che gli negavano tutti gli spazi di passaggio. In questo modo continuava a dribblare, perdendo palla o tirando in porta sbilanciato. Messi non è Maradona perché doveva capire di anticipare il tempo di passaggio, così da coinvolgere gli altri nel gioco e destabilizzare la difesa avversaria. Non è Maradona perché se vicino non gli metti Xavi e Iniesta che portano la palla pulita fino ai 25 metri, Messi non è capace di far muovere la squadra, costretta a stare appresso alle sue briciole. Nel Barcelona può aspettare a sinistra lo svolgimento del gioco e poi accendersi quando la difesa avversaria deve già prendere in carico l’intero fronte del gioco, mentre nell’Argentina, non avendo mediani di costruzione, parte dal centro e va a fare confusione sia a destra che a sinistra, bloccando qualsiasi gioco in fascia. Con un Verón, e non con Cambiasso e Zanetti che non avrebbero portato nessuna variante in questo sistema di gioco, questo gioco si poteva attuare, ma la Brujita era da pensione. Sciocco anche il richiamo a Milito, che sa giocare soprattutto in profondità con una batteria di mezze punte che portavano palla senza darla mai nello spazio. Maradona per me ha fatto il massimo con una squadra facilmente disinnescabile.

LA GERMANIA PUNISCE MARADONA E VOLA IN SEMIFINALE

La Germania umilia l’Argentina di Maradona ed applica anche ai sudamericani la legge del quattro che gìà aveva riservato all’Inghilterra.

L'esultanza di Friedrich
Foto: Ansa.it

Finisce anche l’avventura dell’Argentina di Diego Maradona, umiliata a Cape Town dalla giovane Germania che sta sorprendendo partita dopo partita critici ed appassionati che alla vigilia dei Mondiali non la vedevano nel ruolo di protagonista.

L’assenza di Ballack, che poteva essere alla partenza di quest’avventura sudafricana un alibi, si è trasformata nella molla che ha permesso a Joachim Löw di impostare una squadra giovane e compatta con delle grandi individualità come Özil e Müller a innescare i terminali Klose e Podolski. Una esitazione con la Serbia nel girone e poi la gioiosa macchina da guerra tedesca si è messa in moto: quattro reti all’Inghilterra e quattro reti oggi contro l’Argentina.

La squadra di Maradona non ha potuto giocare la partita che aveva disegnato: uscita dagli spogliatoi senza gli occhi di tigre – forse un peccato di presunzione – è stata punita dopo 4′ da Müller (a proposito la squalifica che seguirà il cartellino giallo di oggi priva la semifinale di un protagonista) alla prima disattenzione difensiva e ha dovuto inseguire senza successo con il solito  evanescente Messi di questo Mondiale e con Higuaín e Tévez annullati dalla retroguardia tedesca.

Con il passare dei minuti le folate argentine continuavano ad infrangersi contro la diga di Löw mentre le ripartenze tedesche erano una spina nel fianco dell’Argentina; il secondo tempo, con Maradona che non cambia nulla fino a quando è troppo tardi, segue lo stesso copione fino alla rete del raddoppio di Klose (oggi alla centesima partita con la maglia della Nazionale) al 68′ che apre le porte alla pesante punizione. Segnano ancora Friedrich al 74′ e Klose al 89′ a chiudere un poker che lancia la Germania alla terza semifinale consecutiva mentre potrebbe chiudere l’era Maradona alla guida della Albiceleste. I futuri avversari sono avvisati: questa Germania fa tremendamente sul serio.

Sabato 3 luglio 2010
ARGENTINA – GERMANIA 0-4 (0-1)
Green Point, Città del Capo (RSA)

ARGENTINA: Romero, Otamendi (70′ Pastore), Demichelis, Burdisso, Heinze, M.Rodríguez, Mascherano (c), Di María (75′ Agüero), Higuaín, Messi, Tévez.
GERMANIA: Neuer, Lahm (c) Mertesacker, Friedrich, Boateng (72′ Jansen), Khedira (77′ Kroos), Schweinsteiger, Müller (84′ Trochowski), Özil, Podolski, Klose.

ARBITRO: Ravshan Ermatov (UZB)

GOL: 3′ Müller (GER), 68′ Klose (GER), 74′ Friedrich (GER), 89′ Klose (GER)

NOTE: ammoniti Mascherano, Otamendi (ARG), Müller (GER). Müller salta le semifinali in quanto già diffidato.

Massimo Brignolo

GERMANIA-ARGENTINA: IL LIBRO DEI RICORDI MONDIALI

Racconto sul filo dei ricordi dei precedenti mondiali tra Argentina e Germania: il bilancio pende dalla parte europea ma oggi i sudamericani possono equilibrare i conti.

1986: il goal di BurruchagaGermania ed Argentina si affronteranno oggi alle 16 al Green Point Stadium di Cape Town per la sesta volta in una fase finale dei Campionati Mondiali (tecnicamente in quattro delle cinque precedenti occasioni si trattava di Germania Ovest) con un bilancio di 2 vittorie per gli europei, 2 pareggi e una vittoria per i sudamericani.

I primi due incontri risalgono alla notte dei tempi del lungo periodo di decadenza del calcio argentino ed entrambi si sono svolti nei gironi preliminari e non in uno scontro dentro o fuori, tutto o niente come i successivi. Nel 1958, a Malmö, la Germania Ovest di Fritz Walter, Rahn e il primo Seeler superò la albiceleste con un secco 3-1 mentre 8 anni dopo a Birmingham l’incontro si chiuse a reti inviolate ed entrambe le squadre si qualificarono per l’eliminazione diretta dove entrambe pagarono lo scotto dei padroni di casa inglesi: l’Argentina uscì nei quarti (1-0) mentre la Germania Ovest arrivò sino alla finale.

Venti anni dopo le due nazionali si ritrovano a Città del Messico per l’atto conclusivo dei Campionati Mondiali del 1986. L’Argentina è Diego Maradona nel miglior mondiale della sua carriera: la mano de Dios contro gli inglesi, slalom incredibili contro gli stessi inglesi e il Belgio. Diego illumina una squadra che per il resto è composta da comprimari che difficilmente avrebbero potuto entrare nella storia del calcio: difensori dai piedi improbabili come Ruggeri o Olarticoechea, centrocampo di gregari al servizio di Maradona, qualche lampo di Burruchaga e Valdano. All’appuntamento finale l’Argentina si trova opposta alla solita Germania Ovest – è alla quarta finale nelle ultime sei edizioni – dove trionfa il prototipo del calciatore muscolare asservito ai moduli tattici preparati da Franz Beckenbauer in panchina: in mezzo al campo brilla Lothar Matthäus ma le fortune della squadra europea sono affidate alle ultime fatiche di Magath e di Kalle Rummenigge.

Il 29 giugno 1986, a mezzogiorno, lo Stadio Azteca ospita la seconda finale mondiale della sua storia. Beckenbauer sceglie di mettere Matthäus sulle piste di Maradona nel tentativo di limitare il fuoriclasse che può vincere da solo ogni partita, rinunciando in questo modo a qualcosa in fase offensiva. E’ il difensore Brown a sbloccare il risultato su punizione di Burruchaga con la decisiva complicità del portiere tedesco Schumacher e quando al 55′ Jorge Valdano chiude una splendida combinazione in rete la partita sembra chiusa. Ma i tedeschi hanno sette vite e la riscossa parte nel momento nel quale Kaiser Franz libera Matthäus dai compiti di marcatura. A un quarto d’ora dal triplice fischio segna Rummenigge e all’80’ la rimonta è conclusa da Völler subentrato all’evanescente Allofs. I tedeschi vogliono chiudere la partita e compiono un errore di presunzione: è l’83’ quando Maradona pesca con un lancio millimetrico Burruchaga che mette a segno la rete che vale una Coppa del Mondo.

29 giugno 1986
ARGENTINA – GERMANIA OVEST 3-2 (1-0)
Stadio Azteca, Città del Messico (MEX)

ARGENTINA: Pumpido, Brown, Cuciuffo, Ruggeri, Olarticoechea, Giusti, Batista, Maradona (c), Enrique, Burruchaga (89′ Trobbiani), Valdano.

GERMANIA OVEST: Schumacher, Jakobs, Berthold, Förster, Briegel, Matthäus, Brehme, Magath (63′ Hoeneß), Eder, Rummenigge (c), Allofs (46′ Völler).

ARBITRO: Arppi Filho (BRA)

GOL: 23′ Brown (ARG), 56′ Valdano (ARG), 74′ Rummenigge (FRG), 82′ Völler (FRG), 88′ Burruchaga (ARG)

Quattro anni dopo a Roma le due squadre si ritrovano ancora in finale: l’Argentina fatica nel suo cammino, Maradona non è quello di 4 anni prima, l’organico è di media qualità. Pronti,via e nella partita d’apertura è punita dal Camerun e si qualifica per l’eliminazione diretta come migliore terza ripescata. In un brutto ottavo di finale supera a Torino il Brasile 1-0, e sono i rigori a farle passare il turno sia contro la Jugoslavia sia contro l’Italia. La Germania, ancora allenata da Beckenbauer, ruota intorno ad un maturo Matthäus, pronto a lanciare Klinsmann e Völler, mentre dietro è la usuale solida squadra: negli ottavi supera l’Olanda di Gullit, Rijkaard e van Basten, nei quarti la Cecoslovacchia e nelle semifinali, in una epica battaglia con poca tecnica e molto cuore, ci vogliono i rigori per eliminare l’Inghilterra e atterrare per la terza volta consecutiva in finale.

La finale inizia male con gli inconcepibili fischi del pubblico di Roma all’inno argentino e gli insulti in risposta di Maradona e continua forse peggio: stanchezza, povertà tecnica, posta in gioco. E’ una delle peggiori finali della storia e il grande protagonista diventa l’arbitro messicano Codesal Méndez. Al 65′ espelle l’argentino Monzón e lascia in 10 i sudamericani, ignora un fallo da rigore su Dezotti e all’85’ concede un rigore per un’entrata regolare di Sensini su Völler. Realizza Brehme e le poche speranze di rimonta argentine sono vanificate dall’espulsione per doppia ammonizione di Dezotti. La Germania vince il terzo Mondiale ma per i palati fini è poca gloria.

8 luglio 1990
GERMANIA OVEST – ARGENTINA 1-0 (0-0)
Stadio Olimpico, Roma (ITA)

GERMANIA OVEST: Illgner, Augenthaler, Berthold (75′ Reuter), Kohler, Buchwald, Brehme, Häßler, Matthäus (c), Littbarski, Klinsmann, Völler

ARGENTINA: Goycochea, Simón, Serrizuela, Ruggeri (46′ Monzón), Troglio, Sensini, Burruchaga (54′ Calderón), Basualdo, Lorenzo, Dezotti, Maradona (c).

ARBITRO: Codesal Méndez (MEX)

GOL: 85′ rig. Brehme (FRG)

NOTE: espulsi al 65′ Monzón (ARG) e all’87’ Dezotti (ARG).

L’ultimo incontro è recentissimo: Berlino, 30 giugno 2006 nei quarti di finale, come oggi, dell’ultima edizione. Sulla panchina dei padroni di casa siede uno dei protagonisti della vittoria del 1990, Jürgen Klinsmann. È Ballack il cuore del gioco tedesco e le precedenti partite hanno mostrato l’ottima condizione dei due terminali d’attacco Klose e Podolski (3 reti a testa nei primi 4 incontri). La Germania domina il girone e negli ottavi liquida la Svezia con il più classico dei 2-0. L’Argentina, guidata da José Pekerman, si presenta alla fase finale con un peso specifico nella fase offensiva forse superiore a tutte le avversarie con una rosa che include Crespo, Maxi Rodríguez, Tévez, Messi, Julio Cruz, Aimar, Saviola e Riquelme: c’è solo l’imbarazzo della scelta e la necessità di trovare un equilibrio con una fase difensiva decisamente più povera anche se non mancano uomini di qualità come Cambiasso o Heinze. I sudamericani superano tranquillamente con 2 vittorie e un pareggio il girone e negli ottavi di finale supera nei tempi supplementari il Messico.

La Germania aggredisce subito l’Argentina con la spinta dei 70.000 spettatori dell’Olympiastadion ma non trova spazi utili e quando il ritmo scende è l’Argentina a prendere in mano il pallino del gioco senza però riuscire a colpire. Al 49′ su un calcio d’angolo di Riquelme arriva la rete argentina su incornata di Ayala e il secondo tempo vive dei tentativi tedeschi di raggiungere il pareggio prendendosi anche qualche rischio. E’ solo all’80’ che arriva il primo respiro di sollievo per i tifosi tedeschi: il solito Klose riesce ad insaccare un pallone messo in mezzo da Ballack. Non succede più nulla fino al triplice fischio e la partita va ai supplementari che scorrono con pochissime occasioni tra due squadre che non vogliono perdere. Sono i rigori a decidere l’esito della partita: Lehmann para i tiri di Ayala e Cambiasso e la Germania vola verso la semifinale contro l’Italia non prima di aver assistito ad un inizio di rissa con schiaffo di Frings a Julio Cruz che gli costerà la squalifica.

30 giugno 2006
GERMANIA – ARGENTINA 1-1 (0-0, 1-1, 1-1) 5-3 d.c.r.
Olympiastadion, Berlino (GER)

GERMANIA: Lehmann, Friedrich, Metzelder, Mertesacker, Lahm, Schneider (62′ Odonkor), Frings, Ballack, Schweinsteiger (75′  Borowski), Podolski, Klose (85′ Neuville).

ARGENTINA: Abbondanzieri (71′ Franco), Coloccini, Ayala, Heinze, Sorín, González, Mascherano, Rodríguez, Riquelme (71′ Cambiasso), Tévez, Crespo (79′ Cruz ).

ARBITRO: Micheľ (SVK)

GOL: 49′ Ayala (ARG), 80′ Klose (GER)

RIGORI: Neuville (GER) gol, Cruz (ARG) gol, Ballack (GER) gol, Ayala (ARG) parato, Podolski (GER) gol, Rodríguez (ARG) gol, Borowski (GER) gol, Cambiasso (ARG) parato.

Massimo Brignolo