CANTONA, IL RIVOLUZIONARIO

Éric Cantona, ex funambolo del Manchester United, ex allenatore della nazionale francese di beach soccer, si è unito al movimento “StopBanque” dichiarando ufficialmente guerra al sistema bancario francese e internazionale.

Il video incriminato risale ormai all’8 ottobre ma i media internazionali ne hanno dato risalto solamente negli ultimi giorni con l’avvicinarsi del D-day fissato per il 7 dicembre. Éric Cantona, ex funambolo del Manchester United, ex allenatore della nazionale francese di beach soccer, testimonial di mille campagne pubblicitarie, sportivo e attore di successo, si è unito al movimento “StopBanque” dichiarando ufficialmente guerra al sistema bancario francese e internazionale.

Come spesso accade in questi casi il tutto si è sviluppato in maniera un po’ casuale. Intervistato per il quotidiano Presse Ocean nel pieno dello sciopero contro l’innalzamento dell’età pensionabile voluto dal governo Sarkozy, l’ex nazionale francese ha espresso un forte scetticismo sui metodi della protesta. A suo avviso, infatti, di fronte a una sfida di portata globale come quella rappresentata dalla recente e pervasiva crisi economica, i vecchi metodi di pressione sul governo, come le manifestazioni di strada, si rivelano oggi del tutto naïf e poco incisivi. Fra il serio e il faceto, Éric Cantona rifletteva sul fatto che se tutte le persone scese in strada in quei giorni – stime parlano di 3 milioni – avessero ritirato, nello stesso giorno, il loro denaro dalle proprie banche il sistema sarebbe stato concretamente messo in discussione. Tale mossa avrebbe la forza di portare al collasso l’intero sistema bancario, ritenuto dall’ex calciatore il vero responsabile dell’attuale crisi. Con l’andare dei giorni lo spezzone dell’intervista è diventato un cult su Youtube.

È tuttavia bene precisare che le riflessioni del “giocatore del secolo del Manchester United” non sono venute dal nulla, ma sono il frutto del pensiero intellettuale di diverse organizzazioni nazionali e internazionali e nello specifico del movimento anti-globalizzazione di contro-informazione “StopBanque”, il primo a cavalcare le dichiarazioni di Cantona. Proposte simili girano da anni nei siti di contro-cultura e all’interno dei movimenti anti-globalizzazione, tuttavia c’è voluto uno sportivo, una celebrità mediatica, per diffonderle al grande pubblico.

Éric Cantona – genio e sregolatezza, magia e provocazione – alla luce dei fatti si è rivelato un perfetto testimonial. Un testimonial che, date le reazioni governative, del mondo bancario–finanziario e l’inatteso interesse dimostrato dall’opinione pubblica sulla tematica, ha evidentemente colpito nel segno. Se è vero che la proposta di ritirare dalle banche i risparmi il 7 dicembre difficilmente potrà avere successo, la provocazione di Cantona inquieta non poco gli istituti di credito. «Certe persone giocano magnificamente a calcio ma io non mi arrischierei mai. Penso che ognuno debba intervenire nel proprio campo di competenza» ha dichiarato il Ministro delle Finanze francesi Christine Lagarde. Il banchiere Baudoin Prot ha parlato di un appello «irresponsabile, mal fondato» e «portatore di insicurezza» mentre il portavoce del governo François Baroin, giudicando l’uscita di Cantona «poco seria», lo ha attaccato sul piano calcistico affermando che «per quanto si fosse trattato di un ottimo centravanti, dovrà significare qualcosa il fatto che Aimé Jacquet non lo avesse convocato per la Coppa del Mondo del 1998».

Quest’opera di denigrazione, a cui si aggiunge l’ironia sul numero di valigie che serviranno a Cantona per svuotare il proprio conto, rischia di mettere in secondo piano i molti aspetti positivi della provocazione del francese. Una difesa critica è arrivata sulle pagine del quotidiano Liberation che è partito da Cantona (dedicandogli anche la copertina) per aprire un dibattito serio sulle deficienze del sistema creditizio e sul ruolo giocato dai banchieri nella crisi per cercare di individuare proposte meno populiste ma altrettanto efficaci. Riprendendo il pensiero di Nathalie Arthaud, secondo cui «il problema non sono le banche in sé ma i banchieri che le hanno trasformate in casinò personali», dalle colonne del quotidiano francese Vittorio de Filippis ha sostenuto che la campagna di Cantona potrebbe servire per rilanciare l’interesse dell’opinione pubblica nei confronti delle Banche Etiche, nelle quali «depositare il denaro non equivale a giocare in borsa o a speculare».

A prescindere dal seguito, questa vicenda dimostra quale sia la centralità dello sport nella società: ci sono infatti volute le dichiarazioni di un ex calciatore per aprire un dibattito che non fosse di nicchia sulle falle del sistema bancario. Le dichiarazioni al di fuori del mainstream mediatico di celebrità sportive come Cantona hanno la forza di generare il terrore fra i membri dell’establishment politico ed economico: esse risultano avere una presa maggiore nei confronti dell’opinione pubblica. Quando l’atleta smette i panni del burattino che ripete a memoria frasi banali e precostruite, esprimendo liberamente le proprie idee, può finire per creare scompiglio fra coloro che si aspettano che uno sportivo debba parlare esclusivamente di sport. L’aureola di celebrità creatasi intorno a Éric Cantona lo ha reso però immune all’opera di denigrazione guidata da politici e banchieri.

È evidente come la commercializzazione del mondo dello sport tenda a creare campioni ed eroi idolatrati che, generalmente, seguono le regole del gioco diventando un potente alleato del sistema. Ma, in quanto esseri umani, dotati di una propria identità e della libertà d’espressione, possono trasgredire. Éric Cantona, in diversi momenti della sua vita, non si è fatto mancare niente: pur recitando la parte del ribelle, l’attaccante ha comunque accettato le regole del gioco diventando uomo immagine di un noto brand di vestiario sportivo. Oggi, invece, l’ex Red Devil sembra aver indossato i panni del rivoluzionario moderno. Che sia nato un novello Robin Hood?

Nicola Sbetti

Articolo scritto per www.centrostudiconi.it/approfondimenti e per le testate giornalistiche online www.pianeta-sport.net e www.thepostinternazionale.it

LIVERPOOL FC: NUOVO PADRONE, DEBITI VECCHI

I Reds, sommersi dai debiti, stanno per cambiare proprietario. Ma la situazione resta critica.

Il Liverpool sta per cambiare proprietario, ma dovrebbe continuare a restare in mani statunitensi. Dal duo composto dal settantaduenne magnate dell’imprenditoria sportiva, George Gillett, e dal suo socio, il sessantaquattrenne Tom Hicks, il fondatore della quasi omonima finanziaria Hicks, Muse, Tate & Furst, la gloriosa squadra inglese dovrebbe passare alla NESV, New England Sports Venture, che già controlla la Boston Red Socks, una delle squadre di baseball più titolate d’America.

Il condizionale è ancora indispensabile, e continuerà ad esserlo almeno fino alla fine della prossima settimana, poiché i due attuali proprietari hanno impugnato la decisione di vendita da parte del consiglio di amministrazione in carica, presieduto da Martin Broughton, il prestigioso manager inglese, attualmente anche alla guida di British Airways.

Il Liverpool era stato acquisito dai due soci statunitensi, Gillett e Hicks, nel febbraio 2007, al termine di una trattativa lampo con il passato presidente, David Moores. La loro offerta di 219 milioni di sterline aveva battuto sul filo di lana i concorrenti della DIC, Dubai International Capital, la società finanziaria della famiglia reale degli Emirati Arabi.

Inizialmente la coppia d’affari aveva suscitato qualche timida speranza tra i tifosi dei Reds, soprattutto per la comprovata esperienza di Gillett in materia sportiva. Quest’ultimo aveva trascinato a ottimi risultati la squadra canadese di hockey su ghiaccio dei Montreal Canadians, ed era stato uno dei soci di maggioranza degli Harlem Globetrotters tra gli anni sessanta e settanta. Ma anche Hicks aveva potuto sbandierare un buon curriculum nel settore, vantando partecipazioni nell’altra formazione di hockey dei Dallas Stars e in quella di baseball dei Texas Rangers, dove era anche in società con George W. Bush, allora semplice, si fa per dire, uomo d’affari. Qualche non immotivato timore lo suscitavano invece alcuni precedenti di Gillett, che nel 1992 aveva trascinato il proprio gruppo finanziario alla bancarotta.

Durante la loro amministrazione, i timori avevano avuto ragione delle speranze; e come scritto oggi da Leonardo Maisano sul Sole 24 Ore, il colore rosso del Liverpool era passato dalle maglie ai bilanci, tanto che l’esposizione debitoria era precipitata fino alla cifra spaventosa di 351 milioni di sterline. La spiegazione di un simile passivo era dovuta, oltre che ad una serie di campagne acquisti a dir poco dissennate, alla necessità di dotarsi di un nuovo stadio in sostituzione del glorioso, ma ormai angusto Anfield Road. I finanziamenti per questo nuovo impianto, da costruirsi nell’area di Stanley Park, e i cui lavori avrebbero dovuto iniziare nell’autunno del 2008, erano stati concessi da Royal Bank of Scotland e da Wachovia, la finanziaria della statunitense Wells Fargo Bank, per 280 milioni di sterline.

Quando poi Gilletts e Hicks, incalzati dalle due banche, hanno dovuto prendere atto dell’impossibilità di fare fronte ai debiti, nell’aprile di quest’anno si sono messi a cercare un nuovo compratore, incaricando proprio il manager Martin Broughton, al quale hanno dato mandato pieno per portare a termine l’affare.

Si è così manifestata una serie convulsa di voci di offerte e conseguenti smentite, tra cui la parentesi di un velleitario tentativo di scalata da parte dei tifosi del Liverpool, con l’ambizione di raccogliere centomila soci sostenitori, disponibili a versare una quota di 5mila sterline a testa. Questa iniziativa aveva anche ricevuto l’appoggio del ministero della cultura del governo Brown, tramite il Supporters Direct, un ente britannico di diritto pubblico, nato nel 2000 al fine di incentivare l’azionariato popolare nelle squadre sportive, ma era abortita in capo a pochi giorni.

Dal canto suo, Broughton si è messo immediatamente all’opera, e ha vagliato, per poi cestinare, diverse offerte da altrettanto diversi potenziali acquirenti, provenienti soprattutto da paesi dell’Asia e del Medio Oriente, tra cui Hong-Kong, Siria, India e Kuwait. Ma solo ieri ha annunciato l’offerta decisiva: quella degli statunitensi di NESV, che hanno messo sul piatto 300 milioni di sterline.

Secondo i conteggi di Gillett e Hicks, l’offerta non è all’altezza del valore reale del Liverpool FC, e i due hanno tentato, rintuzzati però da Broughton, di sostituire due membri del consiglio di amministrazione con altrettanti uomini di loro assoluta fiducia: ovvero con uno dei figli di Hicks ed uno dei suoi dipendenti.

Sulla carta la mossa della NESV dovrebbe essere coronata da successo, dal momento che, oltre all’appoggio degli amministratori in carica, gode soprattutto di quello dei due principali creditori: Royal Bank of Scotland e Wachovia.

Per Gillett e Hicks non ci sono invece grandi speranze, anche se hanno impugnato quest’offerta. La sentenza su questo ricorso sarà emanata entro la metà di ottobre, quando anche il credito dei due colossi bancari andrà in scadenza. E se l’acquisto dovesse essere annullato, il Liverpool finirebbe in mano alle banche. Ma in questo caso e facendo i debiti scongiuri, il previdente Broughton ha annunciato che farebbe scendere in campo un ancora sconosciuto piano B. Sempre che non si tratti solo di un bluff.

Giuseppe Ottomano