BIANCO, ROSSO E RECESSIONE

Dopo gli uomini, anche l’Olympiakos di pallanuoto femminile viene duramente colpito dalla crisi. Eppure la squadra continua a vincere.

Non c’è proprio pace dalle parti del Pireo. E non solo per gli scioperi che, negli ultimi mesi, hanno visto coinvolti i lavoratori portuali. Per la sezione di pallanuoto dell’Olympiakos sembra proprio questo l’annus horribilis: dopo la crisi che colpisce la squadra maschile, adesso, è la volta di quella femminile, altro vanto della polisportiva greca.

Sulla falsa riga di quanto fatto da Nikos Deligiannis e compagni, anche la squadra allenata da Theokratis Pavlides ha denunciato la situazione di stallo scrivendo una lettera aperta. In particolare, dal testo emerge che da cinque mesi le giocatrici non percepiscono il loro stipendio – non superiore, peraltro, ai 700 euro mensili. E non tutte possono permettersi simili chiari di luna: ci sono due straniere, l’americana Craig e l’olandese van Belkum. Soprattutto, c’è una larga schiera di ragazze proveniente dalle zone rurali del paese e che, dunque, deve mantenersi in qualche modo ad Atene tra affitto e bollette, alla stregua di studenti universitari.

Nonostante questo, l’Oympiakos viaggia a vele spiegate (anzi, nell’ultimo turno ha rifilato un sonoro 22-0 alla malcapitata formazione del Rethimno): in campionato è primo in classifica, imbattuto dopo aver pareggiato nello scontro al vertice con le campionesse nazionali – ed europee – del Vouliagmeni; in Coppa dei Campioni le biancorosse hanno superato agevolmente lo scoglio del turno preliminare battendo sia l’Olympic Nizza, sia le temute russe dello Šturm Čehov. Anche le ragazze, al pari della squadra maschile, stanno dunque dimostrando grande professionalità, dando il massimo in ogni partita a dispetto del mancato pagamento delle mensilità.

Eppure, nel buio generale, inizia a filtrare un fascio di luce. Due giorni fa, al ristorante “Mare Marina” di Flisvos Marina, una delle tante spiagge ateniesi, è stata organizzata una serata per raccogliere fondi che, in qualche modo, rimborsassero parzialmente alle pallanotiste il denaro pattuito: ampia la partecipazione di pubblico, tra tifosi sconosciuti ed illustri, vedi Vassilis Mihaloliakos, sindaco del Pireo che dieci anni fa rimase ferito in un attentato dinamitardo, l’ex giocatore di basket Giorgios Sigalas, il velista Emilios Papathanasiou ed il popolare dj Nikos Vourliotis detto “NiVo”. A fine serata l’incasso è stato di 500 euro: poca cosa, ma almeno si smuovono le acque.

Acque, invece, procellose nella squadra maschile: dopo aver ottenuto la centesima vittoria consecutiva nella regular season della Alpha 1 Ethniki, battendo il Larissa, e dopo aver chiuso battendo il Barceloneta la disastrosa campagna d’Eurolega, i giocatori hanno detto basta. La loro pazienza ha raggiunto un limite. E così, nell’ultimo incontro di campionato, è scesa in acqua una squadra di soli ragazzini – appena 18 anni l’età del più “vecchio” – che ha perso 16-3 contro il Vouliagmeni: è la prima sconfitta in campionato dopo una striscia di 126 risultati utili consecutivi (l’ultimo ko risaliva al 26 febbraio 2005). E, con i veterani restii a tornare indietro sui propri passi, pare proprio che l’Olympiakos sarà costretto ad abdicare, per questa stagione. Per la serie: la caduta degli dei.

MALEDETTI TOSCANI

A Firenze un’amichevole tra squadre femminili finisce con una giocatrice ricoverata per una frattura della mandibola. Per la pallanuoto una pessima pubblicità.

Se, pur per pochi anni, Firenze fu la capitale dell’Italia unificata, le recenti cronache hanno fatto del capoluogo toscano un punto nevralgico della pallanuoto nazionale, tanto nel bene quanto nel male. Prima l’inizio della crisi della Fiorentina Waterpolo, un’istituzione in campo femminile, poi l’importante assegnazione della Super Final della World League maschile e lo sfogo su La Repubblica del santone Gianni De Magistris, cui ha fatto seguito dopo pochi giorni il suo ritorno alla guida della Fiorentina. E, infine, un episodio non certo ascrivibile alle cronache sportive, accaduto una settimana fa.

È un tranquillo pomeriggio, a Firenze. In piscina, per una partita di allenamento, si affrontano la Fiorentina Waterpolo e la Firenze Pallanuoto: tutto nella norma. Fino a quando non entrano in contatto Lucia Recupero, difensore della Fiorentina, e l’avversaria Giulia Bartolini, più volte pizzicate a farsi reciproche scorrettezze: è quest’ultima a farne le spese, uscendo dall’impianto con una frattura alla mandibola tanto da dover essere sottoposta ad un’operazione. Stando alla versione della giocatrice livornese, si sarebbe trattato di un banale scontro di gioco: lei avrebbe tagliato la strada alla Bartolini, tentando una controfuga, e l’avrebbe involontariamente colpita con il gomito. Diversa, invece, la successione dei fatti ricostruita dalla Firenze Pallanuoto in un comunicato stampa: la Recupero avrebbe volontariamente sferrato un pugno alla Bartolini, ad amichevole già terminata, ed avrebbe addirittura proseguito se non fosse stata fermata da alcune giocatrici della Firenze.

Senza entrare nel merito della questione e, soprattutto, senza prendere le difese dell’una piuttosto che dell’altra, partiamo da un’amara constatazione. E cioè le (inevitabili) polemiche seguite alla vicenda: «Non ho mai visto un fatto così deplorevole e spaventoso e una frattura così brutta in trent’anni nel mondo della pallanuoto» (Cipriano Catellacci, presidente della Firenze Pallanuoto);  «Visto il comunicato stampa della Firenze Pallanuoto, comprendendo il clima nel quale è stato redatto, siamo obbligati a precisare quanto raccolto dalle testimonianze di alcune atlete e di un tecnico, dalle quali si evince che la partita di allenamento era ancora in corso e sospesa solo per l’incidente, che oltre al fatto citato, non sono stati dati ulteriori pugni da parte di Recupero, né nessuna delle ragazze in acqua è intervenuta per fermare la Recupero che era già ferma dopo l’unica azione contro la Bartolini» (Sandra Del Corona, presidente della Fiorentina Waterpolo);  «Non vorrei, ma viene da pensar male sulla volontarietà del gesto. Anche perché ho saputo che la ragazza non è nuova a episodi del genere» (la madre di Giulia Bartolini); «Si è trattato di un incidente di gioco e non era mia intenzione procurare danni a Giulia Bartolini; infine vorrei precisare che in dieci anni di campionati federali non sono mai stata squalificata per gioco violento e/o brutalità» (Lucia Recupero).

Ognuno si fa portavoce di una verità. La sua. Ma qui le certezze sono due. La prima è che la Bartolini si è ritrovata con una mandibola rotta e rischia di finire qui la sua stagione agonistica: difficile non augurarle di riprendersi in fretta. La seconda è che questo spiacevole episodio è avvenuto a margine di una semplice amichevole. Non è certo di questa pubblicità che ha bisogno la pallanuoto, già di per sé in preda ad una crisi d’immagine da cui uscire diventa sempre più difficile. No, non lo è. Per niente.

LE BRACI

La nazionale ungherese di pallanuoto richiama in tutta fretta Kiss e Kásás. Ma forse è troppo tardi.

Tornare indietro sui propri passi, spesso, è una parziale sconfitta. E, se a farlo è la nazionale di pallanuoto maschile dell’Ungheria, il rumore dei passi rimbomba maggiormente. A nulla è servito il ricambio generazionale avviato all’indomani dell’oro olimpico di Pechino, il terzo consecutivo dopo Sydney e Atene: in vista dei Mondiali di Shangai sono stati richiamati, e anche in fretta, due senatori come Tamás Kásás (34 anni) e Gergely Kiss (33), oramai usciti dai piani del ct Kemény.

La notizia, ufficializzata poco dopo le festività natalizie, non fa che certificare ulteriormente lo stato di crisi della pallanuoto magiara. E anche la conferma della medaglia più prestigiosa a Londra inizia a vacillare. Insomma, dell’Ungheria dominatrice (quasi) incontrastata di qualsiasi competizione sembra che siano rimaste solo le braci, per citare un celebre romanzo di Sándor Márai, figura di spicco della letteratura ungherese. Il 14-10 inflitto agli Stati Uniti tre anni fa nella finalissima di Pechino rischia, dunque, di essere il canto del cigno della Grande Ungheria di Kémeny: a quell’ennesimo, straodinario trionfo hanno fatto seguito il quinto posto ai Mondiali di Roma ed il quarto agli Europei di Zagabria, dove i magiari sono stati sconfitti in semifinale da un’Italia sì emozionante ma non certo superiore quanto ad esperienza in campo internazionale.

Non che vada meglio nelle competizioni riservate ai club: in Eurolega l’unica ungherese che può ancora cullare sogni di qualificazione ai quarti di finale è il Vasas, seconda nel proprio girone assieme al Primorac Kotor (7 punti) quando manca una sola giornata alla chiusura del turno preliminare. Magra la figura rimediata dallo Szeged Beton, inserito nello stesso gruppo, capace di raccogliere appena due punti in cinque partite. Peggio ancora ha fatto l’Eger, portacolori ungherese del girone D: finora Jug Dubrovnik, Primorje e Atlétic Barceloneta hanno sempre vinto contro una squadra che, è bene ricordarlo, può contare su campioni di indiscutibile valore quali Szécsi, Hosnyánszky, Biros e Zsolt Varga. L’Ungheria langue pure nella Coppa LEN: mentre l’Honvéd sembra poter arrivare alle semifinali – ma il vantaggio di tre reti sull’Oradea è minimo, e la Florentia ne sa qualcosa – il Ferencváros è prossimo all’uscita di scena per mano della Rari Nantes Savona, che a Budapest arriverà forte dei cinque gol di differenza in proprio favore.

Sia chiaro, nessuno oserebbe mai avanzare dei dubbi sul valore tecnico di Kiss e, soprattutto, Kásás. Non fosse altro che il centrovasca della Pro Recco è l’unico pallanotista ad aver vinto una medaglia d’oro in tutte le competizioni, comprese quelle giovanili. E a suo favore potrebbe giocare la possibilità di essere schierato solo in Eurolega, a causa del tetto di due stranieri imposto nel campionato italiano: meno partite stagionali che equivalgono ad una maggior freschezza atletica. Difficile, però, pensare che due soli giocatori possano risollevare i destini di un’intera nazionale.

Simone Pierotti

LA PORTI UN’OCCASIONE A FIRENZE

Il capoluogo toscano ospiterà a giugno le finali di World League di pallanuoto: un’opportunità da sfruttare.

Non sarà un Mondiale, né tantomeno un’Olimpiade. Rimane, pur sempre, uno dei principali appuntamenti della stagione sportiva. Tre anni dopo Genova, all’Italia viene nuovamente appaltata l’organizzazione della Super Final della World League di pallanuoto maschile e, questa volta, la scelta è ricaduta su Firenze, altra città dalle grandi tradizioni. Si giocherà dal 21 al 26 giugno alla piscina Costoli, già nel 1999 teatro dei primi Europei di pallanuoto slegati dalle altre discipline acquatiche.

Quella della decima edizione della World League sarà un’occasione da cogliere senza la minima esitazione. Lo sarà per il Settebello allenato da Sandro Campagna, innanzitutto: nel capoluogo toscano giungerà l’elite della pallanuoto europea e mondiale – quasi scontata la presenza di Australia e Stati Uniti – e questo evento fungerà da banco di prova per gli imminenti Mondiali di Shangai. Lo sarà anche per Firenze e la Toscana: terra che ha dato molto in termini di atleti – da Gianni De Magistris e Gianni Lonzi fino a Leonardo Sottani e Stefano Tempesti -, da qualche anno è uscita dai circuiti della grande pallanuoto, come dimostrano i dieci anni trascorsi dall’ultima finale scudetto della Rari Nantes Florentia e la grave crisi che sta attraversando, tra le donne, la Fiorentina Waterpolo, sbattuta fuori dalla Coppa dei Campioni dopo il turno preliminare giocato interamente nel capoluogo toscano. Per i fiorentini sarà dunque un’opportunità per riavvicinarsi alla Nazionale e per riassaporare dolci ricordi: fu proprio alla Costoli, in una calda notte di estate, che la Rari Nantes Florentia vinse il suo nono e, ad oggi, ultimo scudetto.

Soprattutto, sarà un’opportunità per l’Italia, nel senso di Federazione Nuoto. L’ultimo grande evento ospitato nel nostro paese è stato il Mondiale di Roma di due anni fa: un evento che, più che per i record di Federica Pellegrini, per le medaglie nei tuffi e nel nuoto di fondo e per il pessimo risultato delle due nazionali di pallanuoto, rischia di essere ricordato come un altro, ennesimo scandalo «all’italiana». Nonostante uno stanziamento di 400 milioni di euro, alcuni impianti – vedi la faraonica Città dello Sport a Tor Vergata – non furono terminati in tempo utile per l’inizio della manifestazione. Non solo: il Polo Natatorio di Ostia fu inaugurato in fretta e furia, con la foresteria adibita ad ospitare gli atleti priva di luce ed acqua. E, soprattutto, sorsero numerose piscine nei circoli privati – quelle ad uso pubblico erano ancora un cantiere a Mondiali abbondantemente conclusi -, undici delle quali sequestrate più di un anno fa in quanto abusive. A livello di immagine fu una mazzata per l’Italia, tanto più che nei primi giorni le gare dei tuffi si svolsero in una vasca del Foro Italico mentre gli operai erano ancora intenti, martello pneumatico alla mano, ad ultimare le tribune.

Il Comune di Firenze ha già annunciato una spesa di 200mila euro per un’adeguata ristrutturazione della Costoli. Un impegno economico notevole, con i tempi che corrono per le pubbliche amministrazioni. Eppure necessario, se si vuol restituire un minimo di credibilità alla capacità dell’Italia di ospitare – ed organizzare – manifestazioni sportive di alto livello.

Simone Pierotti

I MAGNIFICI SETTE

Nell’Eurolega di pallanuoto l’Olympiakos si presenta con appena sette giocatori: la crisi sembra irreversibile.

Quando, agli inizi degli anni Novanta, la nazionale di pallanuoto maschile vinceva più o meno tutto quello che c’era da vincere, la stampa coniò un soprannome che, nel corso degli anni, è diventato di uso corrente: Settebello. Il fatto che, nella pallanuoto, scendano in acqua sette giocatori titolari consente di utilizzare altri epiteti per riferirsi ad una squadra, attingendo a piene mani dal mondo del cinema e della letteratura.

Nel caso dell’ultima fatica dell’Olympiakos in Eurolega, «I magnifici sette» sembra essere il titolo più calzante. Lungi, però, dal volergli dare i connotati di un gesto di scherno nei confronti della squadra di Vangelis Pateros (7-1 è infatti il risultato finale con cui il Partizan Belgrado ha vinto la sfida). I magnifici sette sono proprio i giocatori ellenici che hanno preso parte alla trasferta in terra serba: l’Olympiakos si è presentato ridotto ai minimi termini, senza la possibilità di effettuare cambi durante la partita. Per la cronaca i magnifici sette sono Deligiannis, Theodoropoulos, Komadina, Fountoulis, Delakas, Mylonakis e Blanis, con Christos Afroudakis costretto ad arrendersi durante il riscaldamento. Sei gli indisponibili tra infortunati (Kolomvos e Vlontakis), lavoratori dipendenti cui non è stato concesso il giorno di ferie (Kochilas) ed altri alle prese con problemi familiari (Doskas, Floros e Schizas). Della serie: felice anno nuovo, Olympiakos.

L’episodio di Belgrado, comunque, è solo l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di vicissitudini che dallo scorso autunno stanno interessando la polisportiva del Pireo: si comincia a settembre, con i giocatori che si rifiutano di riprendere gli allenamenti a causa dell’insolvenza della società nel pagamento degli stipendi. E nel frattempo fanno le valigie due simboli della squadra come il centroboa Georgios Afroudakis, passato ai rivali del Panathinaikos, e soprattutto il poliedrico Theodoros Chatzitheodorou, capitano di lungo corso che – ironia della sorte – ha giocato contro i suoi ex compagni a Belgrado. Gli incontri con gli amministratori della società si rivelano infruttuosi: i giocatori, rappresentati nelle trattative da Deligiannis e Vlontakis, firmano una lettera aperta in cui denunciano il mancato pagamento di sette mensilità e minacciano di andare per vie legali. Poi il campionato inizia ed i giocatori onorano, comunque, gli impegni presi. Almeno in campionato, dove vincono tutte le partite a disposizione.

A pochi giorni dalle vacanze di Natale, poi, scoppia l’ennesima bolla: i giocatori si rifiutano di scendere in acqua nel derby con il Panathinaikos. E menomale che nella pallanuoto la rivalità si affievolisce: provate a immaginare le conseguenze di una simile decisione nel calcio o, peggio ancora, nella pallacanestro. All’orizzonte si materializza lo spettro della sconfitta a tavolino, proprio contro gli eterni rivali: un affronto. Si cerca di rimediare mandando in acqua i ragazzi del settore giovanile. Poi Deligiannis e compagni ci ripensano: infilano calottine e costume e violano la piscina del complesso olimpico di Maroussi per 9-5.

Tutto bene quel che finisce bene? Non esattamente. Quasi fossero i marinai ammutinati di una nave, i giocatori protestano contro la società gettando in acqua le calottine. Come a dire: adesso basta, la pazienza è finita, le lasciamo indossare a qualcun altro. Il vicepresidente Nikos Karachalios plaude alla professionalità dei giocatori, che non sono venuti meno ai loro doveri pur non percependo lo stipendio. E annuncia che adesso sarà la società a doversi muovere. Durante le festività vengono elargiti mille euro a quei giocatori che, pallanuoto a parte, non hanno altra fonte di reddito (nella fattispecie: Blanis, Delakas, Floros e Fountoulis), gli altri attendono ancora alla finestra e scrivono direttamente al governo affinché intervenga direttamente nella vicenda. E, nel frattempo, due ex biancorossi – Georgios Afroudakis e Slobodan Nikić – fanno causa all’Olympiakos che vanta debiti pregressi verso i suoi ex centroboa.

Intanto il tempo scorre e oggi sarà nuovamente tempo di campionato: da un derby all’altro, dal Panathinaikos all’Ethnikos, l’altra grande squadra del Pireo. Occhio ad altri, teatrali colpi di scena. Ma qui non siamo in una commedia di Aristofane. Tutt’altro.