IERI & OGGI: L’ITALIA PERDE AI RIGORI LA COPPA DEL MONDO DEL 1994

Sedici anni fa la finale del Rose Bowl di Pasadena: sono solo i rigori a risolvere una partita molto chiusa tra Italia e Brasile. Gli errori di Baresi, Massaro e Baggio consegnano la Coppa al Brasile di Dunga.

Baggio e Taffarel17 luglio 1994: alle 12.30, ora americana, Italia e Brasile si ritrovano al Rose Bowl di Pasadena per disputarsi la finale della Coppa del Mondo del 1994. Gli azzurri di Arrigo Sacchi arrivano alla finale trascinati da Roberto Baggio: dopo un girone eliminatorio che passa alla storia per essere il primo concluso con tutte le squadre, Messico, Norvegia, Italia e Irlanda pari merito infatti con una vittoria, una sconfitta e un pareggio a testa e dove solo la differenza reti esclude la Norvegia, una doppietta del Divin Codino elimina la Nigeria negli ottavi, un goal al 88′ regola la pratica Spagna e un’altra doppietta liquida in semifinale la sorprendente Bulgaria.

Ma è proprio Roberto Baggio a disturbare i sonni prima della finale: negli ultimi minuti della semifinale uno stiramento muscolare mette pesantemente in forse la sua presenza nella finale contro il Brasile di capitan Dunga. L’infermeria azzurra sta concludendo anche a tempo di record il recupero di Franco Baresi, leader carismatico di quella squadra: il 23 giugno nella partita contro la Norvegia, il capitano si procura una lesione al menisco. Operazione immediata e rientro a tempo di record pianificato per la finale a 24 giorni dall’intervento.

Alla lettura delle formazioni il mistero è svelato: Franco Baresi sarà al centro della difesa e, lo si scoprirà nello sviluppo della finale, Roberto Baggio, più per onore di sponsor che per reale efficienza, occupa il suo posto. Con due giocatori sul filo del rasoio della ricaduta, al 35′ del primo tempo arriva la tegola di un ulteriore infortunio: si stira anche Mussi e Apolloni prende il suo posto. La partita è oggettivamente brutta con l’Italia impegnata più a difendere che offendere e il Brasile che si infrange contro il muro azzurro. In 120 minuti le conclusioni a rete si contano sulle dita della mano e si arriva, per la prima volta in una finale mondiale, ai calci di rigore.

Nella lista dei rigoristi lo staff azzurro sceglie più sulla base del carattere e della fiducia che sulle condizioni fisiche dei reduci e la scelta si paga sino in fondo: è Franco Baresi il primo ad andare sul dischetto e calcia alto, ma Pagliuca devia il penalty di Marcio Santos ristabilendo l’equilibrio. Albertini ed Evani per l’Italia, Romario e Branco per il Brasile non sbagliano e tocca a Massaro. La conclusione dell’attaccante del Milan, debole e centrale, viene respinta senza problemi. La fredda realizzazione del capitano brasiliano Dunga costringe Baggio a segnare a tutti i costi per tenere in piedi l’Italia. Per ristabilire una verità storica spesso dimenticata anche in nome dell’intoccabilità di alcuni dei protagonisti di questa storia occorre ricordare che anche in caso di rete di Baggio sarebbe stato necessario un miracolo di Pagliuca o un errore degli ultimi rigoristi verdeoro per ritornare in parità. Il Divin Codino spara alto, Taffarel esulta e il Brasile si laurea campione del mondo per la quarta volta. Da quel momento e fino ad ora in Italia, la finale di Pasadena verrà sempre ricordata, ingenerosamente, per l’errore di Roberto Baggio.


Massimo Baggio

IERI & OGGI: BARTALI TRIONFA A AIX-LES-BAINS E L’ITALIA SI PLACA

Il trionfo di Bartali sulle strade del Tour nei giorni dell’attentato a Togliatti: era il 16 luglio 1948 quando Ginettaccio ipotecò la vittoria nella Grande Boucle.

Gino BartaliEstate del 1948. Le prime elezioni che si sono svolte il 18 marzo di quello stesso anno in un clima arroventato tra fantasmi di cosacchi che abbeverano i cavalli in Piazza San Pietro e di servi del nemico a stelle e strisce hanno diviso l’Italia e la netta vittoria della Democrazia Cristiana ha portato alla guida del governo Alcide De Gasperi mentre Palmiro Togliatti, superando la sua base, in una responsabile scelta sulla via della normalizzazione della situazione ha accettato di guidare una opposizione accorta ed oculata. La situazione esplode nuovamente il 14 luglio quando Antonio Pallante, studente venticinquenne, esplode quattro colpi di pistola ferendo in modo grave il segretario del Partito Comunista. Alla notizia in tutta Italia partono manifestazioni spontanee che portano a gravi incidenti in molte città, la situazione sembra sfuggire di mano al governo. A Genova i dimostranti disarmano la polizia, a Torino sequestrano l’amministratore delegato della Fiat, Vittorio Valletta.

Le cronache narrano che Alcide De Gasperi, la sera del 14 luglio preoccupato per l’evolversi della situazione, riesca a pensare anche ad un uso dello sport come diversivo sociale e telefoni a Cannes dove la squadra italiana impegnata nel Tour de France sta vivendo la giornata di riposo prevista dal calendario chiedendo ad un Gino Bartali, preoccupatissimo per le sorti della sua famiglia, una grande impresa.

Il toscano a 34 anni è ritornato al Tour dopo la vittoria del 1938 e arriva alla giornata di riposo con un fardello di 21′ di distacco dalla maglia gialla, il bretone Louison Bobet. Il giorno successivo è in programma il primo dei tre tapponi alpini, la Cannes – Briançon con Allos, Vars e Izoard ad arricchire l’altimetria di 274 km di corsa. In una giornata di grande freddo, Bartali va all’attacco sul Vars e sull’Izoard: all’arrivo saranno sei i minuti di distacco del secondo, il belga Schotte, terzo l’italiano Camellini a nove minuti. Bobet arriverà con più di 18′ di ritardo e Bartali balza al secondo posto della classifica a 1’06” dal bretone. In una tesissima Piazza del Duomo dove sarebbe bastata una scintilla per scatenare una nuova guerra civile, la radio porta la notizia e la tensione, per qualche minuto, si scioglie.

Ma Bartali racconta di aver promesso a De Gasperi non solo la vittoria di una tappa ma la vittoria finale e il 16 luglio 1948 Ginettaccio si scatena. E’ una giornata da tregenda che prevede 5 passi alpini da Briancon a Aix-Les-Bains: il Galibier in mezzo ad una tormenta di neve, la Croix-de-Fer in un mare di fango, il Col de Porte nella nebbia e Cucheron e Granier sotto la neve. Bartali lascia sfogare Bobet sul Galibier e passa sulla vetta in un gruppetto a 2′ dalla testa della corsa che nella discesa opera il ricongiungimento.  E’ sulla Croix-de-Fer che parte l’attacco alla maglia gialla: Bartali scatta a 23 km dalla vetta e solo Bobet e l’altro francese Brulè gli stanno dietro mentre i distacchi iniziano a farsi abissali. L’italiano vince il Gran Premio della Montagna e guadagna 1′ di abbuono mentre Bobet si deve accontentare di 30″. Nella discesa una foratura ferma Gino mentre i due francesi filano via.

I corridori sono attesi dalla valle della Romanche sferzata da un forte vento contrario; in un capolavoro di tattica, Alfredo Binda suggerisce a Bartali di attendere gli inseguitori (Schotte, Ockers, Van Dijck, Camellini e Kirchen).  L’inseguimento (6 contro 2 in una anomala crono a squadre controvento) riesce  e il gruppetto si ritrova compatto all’attacco del col de Porte. Bartali piazza un altro attacco dei suoi e nessuno riesce a contrastarlo; un Bobet distrutto dalla fatica non resista neanche all’attacco di Ockers a 2 km dalla vetta dove l’italiano transita con 6’22” di vantaggio sul bretone indossando ormai la maglia gialla virtuale. L’arrivo a Aix-les-Bains è trionfale: 6′ minuti di vantaggio su Ockers, più di 7′ su Bobet. La maglia gialla è sulle spalle di Bartali che ha messo una seria ipoteca sulla vittoria finale. A mettere il sigillo finale arriveranno ancora le vittorie di tappa il giorno successivo a Losanna e nell’ultima settimana a Liegi.

Sul traguardo di Parigi, Bartali trionfa con un vantaggio di 26’16” sul belga Schotte e di 28’48” sul francese Lapébie. Louison Bobet si deve accontentare del quarto posto a 32’59” dall’italiano ma si rifarà vincendo tre Grande Boucle consecutive dal 1953 al 1955.

Al ritorno in Italia, Bartali è accolto come un eroe da Alcide De Gasperi: ancora una volta, come molte altre in futuro, lo sport è servivo come ottimo diversivo sociale.

Massimo Brignolo

IERI & OGGI: JIM THORPE VINCE IL DECATHLON ALLE OLIMPIADI DI STOCCOLMA

Novantotto anni fa, Jim Thorpe “Sentiero Lucente” dopo aver vinto il titolo olimpico nel pentathlon domina la concorrenza nel primo ed unico decathlon della sua vita.

Jim ThorpePur non essendo il primo indiano d’America a partecipare alle Olimpiadi – nel 1904 il primo in assoluto fu Frank Pierce della tribù dei Seneca e quattro anni dopo Frank Mount Pleasant (Tuscalosa) e Tewanima (Hopi) conquistarono due sesti posti – “Sentiero Lucente“, al secolo Jim Thorpe irruppe sulla scena olimpica nel 1912 con tutta la sua potenza fisica per passare alla storia come uno degli atleti più forti della storia.

Nato in una riserva indiana ma di sangue misto – entrambi i genitori avevano madri native americane e padri europei, Thorpe fu cresciuto come un pellerossa e si avvicinò durante l’adolescenza allo sport con doti spiccate di polivalenza: atletica, football americano, baseball, lacrosse. Nel 1911 Thorpe iniziò ad eccellere nell’atletica e partè un grande operazione pubblicitaria ante litteram per favorire la sua partecipazione alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 alle quali si qualificò vincendo i Trials del Pentathlon, prova consistente in salto in lungo, lancio del giavellotto, 200 m piani, lancio del disco e 1500 m. La qualificazione gli valse anche l’ammissione alle gare olimpiche di salto in lungo, salto in alto e del decathlon di nuova introduzione.

A Stoccolma nel suo primo giorno di gara, Thorpe stravinse la medaglia d’Oro nel Pentathlon con quattro vittorie e un terzo posto (giavellotto). Il giorno successivo si classificò al quarto posto nel Salto in Alto e quattro giorni dopo finì il Salto in Lungo al settimo posto. L’ultima fatica era rappresentata dal Decathlon che nei programmi dell’epoca distribuiva i dieci eventi in tre giornate. Il 13 luglio, Sentiero Lucente ottenne il terzo tempo nei 100 metri (11″2), la terza misura nel salto in lungo (6.79) e il miglior lancio nel getto del peso (12.89). Il giorno successivo si impose nell’alto (1.87), ottenne il quarto tempo nei 400 metri (52″2), la terza misura nel disco (36.98) e il miglior tempo nei 110 hs (15″6). Il 15 luglio 1912, nell’ultima giornata del suo primo e unico Decathlon della carriera, Jim Thorpe concluse trionfalmente le sue fatiche saltando 3.25 nel salto con l’asta (terzo), ottenendo la quarta misura  nel giavellotto (45.70) e chiudendo al primo posto i 1500 metri in 4’40″1.

Accolto da trionfatore al suo ritorno in patria, venne presto bandito dal movimento olimpico per il suo passato da giocatore professionista in squadre di infima lega di baseball e mentre dal 1913 al 1919, dopo tale decisione, giocò nella MLB con i New York Giants.

Solo nel 1982, Thorpe fu riabilitato dal Comitato Olimpico per vizi procedurali nella sua squalifica: ai suoi familiari vennero restituite le medaglie e Sentiero Lucente ricomparve, al fianco di coloro che furono proclamati vincitori dopo la sua squalifica, nelle classifiche ufficiali.

Massimo Brignolo

IERI & OGGI: TAFFAREL PRIMO PORTIERE STRANIERO DI SERIE A

Parte Ieri & Oggi, una nuova rubrica dedicata ai ricordi sull’onda dei giorni del calendario: ad inaugurarla è l’arrivo di Claudio Taffarel in Italia.

Claudio TaffarelNell’ultimo campionato di serie A su 46 portieri che sono scesi in campo almeno una volta ben 14 erano stranieri e le mosse del calciomercato con l’acquisto di Eduardo da parte del Genoa e di Boruc da parte della Fiorentina sembrano rafforzare questa tendenza eppure non più tardi di 20 anni fa, nonostante le frontiere ai calciatori stranieri fossero state riaperte nel 1980, non vi era ombra di portiere non di scuola italiana tra i pali.

E’ proprio il 14 luglio 1990 che fu ufficializzato l’acquisto del primo portiere straniero: si trattava del brasiliano Claudio Taffarel acquistato dal neopromosso Parma. Già estremo difensore della nazionale brasiliana che proprio venti giorni prima era stata estromessa dai Campionati Mondiali di Italia ’90 da un beffardo gol dell’argentino Caniggia, Taffarel fu acquistato dal neo patron del Parma e proprietario della Parmalat, Calisto Tanzi per motivi commerciali. Dopo più di un decennio, la Parmalat non era ancora riuscita a sfondare nel mercato sudamericano e fu lo stesso Tanzi a definire il portiere brasiliano come “un nostro uomo immagine per il mercato brasiliano, al quale teniamo in modo particolare”. Le città brasiliane furono invase di cartelloni pubblicitari con il portiere della Nazionale intento a bere latte e succhi targati Parma.

Commercialmente l’acquisto non fu un successo come previsto al punto che Tanzi l’anno successivo provò addirittura una ulteriore penetrazione sul mercato, via calcio, con l’acquisto di una squadra, il Palmeiras di San Paolo, ma dal punto di vista tecnico la scelta fu azzeccata. Taffarel vestì per tre anni la maglia del Parma contribuendo alla vittoria della Coppa Italia del 1992 e della Coppa delle Coppe del 1993 ma proprio alla fine di quella stagione gli fu preferito Bucci e partì mestamente alla volta di Reggio Emilia e dell’Atletico Mineiros. Negli anni successivi si prese le sue rivincite confermandosi grande portiere:  determinante nella vittoria del Brasile nella Coppa del Mondo del 1994 dove concesse solo tre reti in tutto il torneo e stregò Baresi, Massaro e Roby Baggio nei rigori decisivi e nella qualificazione per la finale del 1998 quando parò gli ultimi due rigori all’Olanda.

Massimo Brignolo