IL GIORNO DOPO LA RIVOLUZIONE

Caduto il regime di Mubarak, il calcio egiziano cerca di rimettersi in gioco. E intanto il resto del nord Africa continua a bruciare.

Piazza Tahrir si svuota. Torna alla normalità. A un mese dall’inizio della rivolta del Cairo e a una decina di giorni dalle dimissioni rassegnate dal presidente Hosni Mubarak, l’Egitto cerca di tornare sui binari soliti della vita quotidiana. Molti dei giovani coinvolti nelle proteste e negli scontri erano tifosi di calcio: fianco a fianco, uniti dalla volontà di rovesciare il regime trentennale dell’Ultimo Faraone, hanno protestato tifosi dell’al-Ahly e dello Zamalek, squadre cittadine del Cairo la cui rivalità è spesso sfociata in episodi di violenza. Dovranno attendere ancora prima di riversarsi di nuovo negli stadi, visto che probabilmente il resto del campionato verrà disputato a porte chiuse. C’è da chiedersi se, una volta di nuovo sulle gradinate, le due tifoserie continueranno ad essere solidali dopo aver combattuto spalla a spalla contro il regime, o se torneranno ad odiarsi con violenza.

Hassan Shehata è conosciuto come el-Embrator, l’Imperatore. Il suo è un Impero calcistico: nel 2004 ha preso le redini della nazionale di calcio egiziana da Marco Tardelli, portandola alla vittoria in Coppa d’Africa tre volte di seguito, nel 2006, nel 2008 e nel 2010. Un Impero che sembra però avere una data di scadenza, quella del 26 marzo, quando l’Egitto incontrerà al Soccer City di Johannesburg il Sudafrica in una gara decisiva per le qualificazioni alla Coppa d’Africa 2012. Per i Faraoni di Shehata è imperativo vincere: dopo un pareggio con il Niger e una sconfitta con la Costa d’Avorio da questa partita passano le ultime possibilità per staccare un biglietto per il torneo che si terrà tra Guinea Equatoriale e Gabon. La federazione egiziana sta tentando di far rinviare la partita a giugno per permettere al campionato, sospeso il 27 gennaio, di riprendere con regolarità: una decisione simile è già stata presa dalla FIFA con il rinvio, per motivi di ordine pubblico, dell’incontro tra Yemen e Singapore in seguito alle proteste in corso nello stato arabo per rovesciare il regime del presidente Ali Abdullah Saleh, in carica dal 1978.

La mancata qualificazione alla Coppa d’Africa potrebbe essere il colpo di grazia per il commissario tecnico, già criticato per il suo bigottismo religioso (“Faccio sempre il possibile per assicurarmi che chi veste la maglia dell’Egitto sia pio e in buoni rapporti con Dio”, dichiarò in un’occasione) e ora sotto accusa per la sua partecipazione alle manifestazioni in sostegno a Mubarak. Shehata si è difeso sostenendo che difendeva la stabilità e la tranquillità dell’Egitto e che non era spinto da sentimenti di odio per il popolo di piazza Tahrir: quello che gli premeva era che il campionato potesse riprendere con regolarità. Non è bastata come giustificazione ai manifestanti, che hanno inserito il commissario tecnico nella lista nera dei nemici della Rivoluzione. Su un commento postato sul quotidiano online Ahmad dall’utente Waleed si legge: “Hai insultato i giovani che ti avevano sostenuto nella conquista delle tre coppe. Ti sei schierato in favore della tirannia e contro la libertà. È tempo che tu ti faccia da parte, mentre noi abbiamo ancora nel cuore i ricordi e l’ammirazione per i traguardi che hai raggiunto. La libertà viene prima dello sport, capitano Hassan”.

Nel frattempo la federazione sta muovendosi per organizzare un’amichevole della nazionale contro la Tunisia. Quella tra Egitto e Tunisia è stata una rivalità che non ha mai mancato di infiammarsi con episodi violenti. In ottobre undici tunisini erano stati arrestati per vandalismo e attacchi ai danni della polizia dopo un incontro tra l’al-Ahly e l’Esperance di Tunisi. Come i tifosi egiziani, anche i supporter tunisini sono stati in prima linea nelle proteste che hanno portato alla fuga del presidente Zine El-Abidine Ben Ali: la partita non ha ancora una data, ma è già stata soprannominata il derby dei rivoluzionari. La partecipazione del popolo del calcio alle rivolte è stata una costante dell’incendio che ha colpito il nord Africa e il medio Oriente. I tifosi sono scesi in piazza, oltre che in Egitto e Tunisia, anche in Algeria, Libia, Sudan, Giordania e Iran. Le autorità di Algeri, Tripoli, Teheran e il Cairo hanno tutte ricorso alla sospensione dei campionati e alla cancellazione degli impegni internazionali delle squadre locali per ragioni di ordine pubblico e per cercare di disinnescare le proteste. In Iran l’allenatore portoghese Carlos Queiroz, pronto a prendere la guida della squadra nazionale, ha fatto un passo indietro per “comprendere meglio il clima politico iraniano”.

Il primo importante passo per la normalizzazione in Egitto è arrivato pochi giorni fa: domenica i club si sono riuniti per formalizzare al Consiglio Supremo delle Forze Armate la richiesta di far riprendere il campionato terminando la stagione a porte chiuse e con le retrocessioni bloccate. Il campionato è fermo dal 27 gennaio e nel frattempo è stata cancellata la Coppa d’Egitto e la FIFA ha posto come condizione per la ripresa dell’attività che fosse ristabilito l’ordine e che l’accordo tra i club fosse unanime. Un segnale di ripresa è stato l’inizio di un’investigazione per corruzione all’interno della EFA (Egyptian Football Association) che coinvolgerebbe anche il presidente federale Samir Zaher e Hassan Shehata, el-Embrator. In marzo la lega dovrebbe riprendere, ma non sarà facile capire come cambieranno i sentimenti della popolazione nei confronti delle squadre. Secondo Piers Edwards della BBC, dopo la Rivoluzione gli egiziani saranno meno propensi ad accettare che alcuni enti governativi investano nei club sportivi, come avviene per le squadre al-Jaish, Harras al-Hadoud e Ittihad al-Shorta, sostenute rispettivamente dalle guardie di frontiera, dall’esercito e dalla polizia.

Come se non bastasse, l’atteggiamento di freddezza mantenuto dal calcio nei confronti del movimento di piazza Tahrir ha sollevato diverse critiche da parte dei manifestanti. Lo Zamalek, per esempio, è considerata una squadra tradizionalmente vicina alle sfere del potere in Egitto, opinione che è stata rafforzata dall’adesione dei dirigenti della squadra Ibrahim e Hossam Hassan e delle stelle Shikabala e Mido alle manifestazioni controrivoluzionarie. Tra le personalità che si sono esposte in supporto alla Rivoluzione invece figurano Nader el-Sayed, ex portiere dello Zamalek con oltre cento presenze in nazionale, coinvolto in prima persona alle dimostrazioni di piazza Tahrir. Parole di sostegno sono arrivate anche dall’allenatore portoghese dell’al-Ahly Manuel José, che ha chiesto pubblicamente scusa per essere tornato in Portogallo e non aver contribuito alla causa donando sangue alle vittime degli scontri. Per riguadagnare l’approvazione dell’opinione pubblica, i club hanno acconsentito a tagliare il 25% degli stipendi dei giocatori per devolverli alle famiglie delle vittime.

La prima partita di calcio dell’Egitto post-rivoluzionario sarà disputata domenica: lo Zamalek affronterà allo stadio dell’Accademia Militare del Cairo i kenyoti dell’Ulinzi Stars, in una gara valida per i preliminari della Champions League africana. Nella gara d’andata gli egiziani avevano espugnato Nakuru portando a casa una vittoria 4-0, per poi trovarsi impossibilitati a disputare il turno di ritorno per via dello scoppio della rivolta. Le autorità militari, dopo diversi tentennamenti, hanno autorizzato lo svolgimento della partita. Una delle opzioni prese in considerazione dalla dirigenza dello Zamalek era stata lo spostamento dell’incontro in campo neutro in Libia. Una proposta poco felice, visto il rapido degenerare degli eventi nell’ex colonia italiana: le rivolte contro il leader libico Muammar al-Gaddafi hanno portato il paese in una situazione di guerra civile aperta. Secondo il sito Mideastsoccer a capeggiare la repressione nella città di Bengasi, roccaforte dei ribelli, sarebbe Sa’adi al-Gaddafi, il figlio del colonnello, personaggio che ha legato il suo nome al calcio in diversi modi: come dirigente della Juventus, come presidente della federcalcio libica e come giocatore con due brevi presenze in serie A, con le maglie di Perugia e Udinese, intervallate da una squalifica per doping. L’ultimo tesseramento italiano di Sa’adi al-Gaddafi è stato stipulato con la Sampdoria del petroliere ERG Riccardo Garrone, ennesimo esempio di una carriera pilotata più dagli interessi nei combustibili fossili che dal talento sportivo. Sarebbe stato proprio l’attaccante ed ex capitano della nazionale libica a disporre i bombardamenti del regime contro i suoi stessi cittadini, in una brutale repressione costata oltre seicento vittime.