SCIARE PER DIVERTIRSI: LA STORIA (TUTTA DA SCRIVERE) DI SABRINA FANCHINI

Sabrina FanchiniTre sorelle cresciute a pane e neve: potrebbe essere questa una buona definizione per Elena, Nadia e Sabrina Fanchini (in rigoroso ordine di età). Native di Lovere, nella parte bergamasca della Val Camonica, vivono da sempre a Montecampione di Artogne, piccolo paradiso che domina la vallata bresciana. Il papà Sandro, addetto agli impianti di risalita, le mette sugli sci sin dalla tenera età, e i risultati sono immediati: le tre ragazze dominano le categorie giovanili, lasciando le briciole alle rivali.

Elena si focalizza gradualmente sulla discesa libera, e in questa disciplina, nonostante moltissimi infortuni, vince la medaglia d’argento ai Mondiali di Santa Caterina Valfurva nel 2005, oltre ad una gara di Coppa del Mondo a Lake Louise; Nadia, talento di cristallo, si aggiudica un supergigante nella magica località canadese e poi, nel 2009, il bronzo iridato in discesa libera. E Sabrina? Sabrina, classe 1988, è la più giovane, la più “piccolina”. Lotta per anni, da vera Leonessa bresciana, sulle piste della Coppa Europa, la challenge continentale dello sci alpino, sperimentando un po’ tutte le discipline. Ma un pizzico di sfortuna e alcune contestabili scelte federali, che la escludono costantemente dalle squadre nazionali, la portano a valutare seriamente l’ipotesi del ritiro, nel corso dell’estate 2010. Poteva finire così? No. Sabrina è una “Fanchini” a tutti gli effetti: testa bassa, riprende a lavorare con gli amici dello Sci Club Rongai e, in questo inverno, ottiene alcuni buoni risultati in Coppa Europa, che le valgono la convocazione per lo slalom speciale di Courchevel in Coppa del Mondo. Sabrina non spreca l’occasione: prima gara e primi punti, nonostante un numero di partenza altissimo. Stesso copione a Semmering, mentre a Zagabria e a Flachau qualche sbavatura di troppo e una fastidiosa influenza le hanno impedito di conquistare altri punti. Abbiamo avuto il piacere di sentire questa brillante ragazza, gentilissima a rispondere alle nostre domande.

Sabrina, cosa ci fa una Fanchini tra i paletti stretti dello slalom?

Mah, veramente non so neanche io cosa ci faccio tra i pali stretti! Lo slalom è sempre stata la disciplina in cui ho fatto più fatica, ma quest’anno ho trovato maggiore serenità che mi ha permesso di andar forte sin da subito in Coppa Europa, ed è andata davvero bene.

Che cosa significa avere due sorelle come Elena e Nadia? Non ti sei mai sentita “obbligata” a ripetere i loro successi?

Sicuramente è stato un vantaggio sotto molti aspetti, ma uno svantaggio per quanto riguarda altri: è vero, in certi momenti, con due “fenomeni” del genere davanti, mi sentivo quasi obbligata ad andare forte, e non è stato facile.

Quali erano i pensieri che ti passavano per la testa quest’estate? Si vociferava di un tuo ritiro dall’agonismo…

Sì, quest’estate volevo smettere: mi era passata la voglia di lottare. Ottenevo ottimi risultati in Coppa Europa e nelle gare FIS, ma sentivo attorno a me una cronica mancanza di fiducia, non venivo considerata: ma poi ho pensato a quanto mi divertivo con gli sci ai piedi e nell’atmosfera delle gare, decidendo così di continuare.

Poi però è arrivato questo dicembre d’oro: ottime cose in Coppa Europa e le prime chance, subito ben concretizzate, in Coppa del Mondo. Che sensazioni hai provato al cancelletto di partenza di Courchevel?

Questa stagione è partita davvero alla grande. Mi sono sorpresa io stessa della tranquillità che provavo a Courchevel, pochi istanti prima di partire: pensavo di essere più tesa ed agitata, invece ho vissuto la mia prima gara di Coppa del Mondo in assoluta serenità.

A parte le tue bravissime sorelle, ti ispiri a qualche altro atleta?

Ho sempre ammirato Hermann Maier, il mio vero idolo da ragazza; ma adesso, sia come personaggio che come modo di sciare, apprezzo molto Ted Ligety. É semplicemente spettacolare, e il suo dominio totale nel gigante mi fa venire voglia di imitarlo.

Adesso che ti sei guadagnata il posto in CdM, a suon di qualificazioni con numeri impossibili, che obiettivi hai per il prosieguo della stagione?

Quest’anno punto ancora prevalentemente sulla Coppa Europa; andando forte lì, potrò abbassare il mio punteggio FIS e quindi guadagnare pettorali migliori anche per la Coppa del Mondo. Ma il mio vero obiettivo é sempre quello di divertirmi!

In questo momento, cosa ti senti di dire ai tuoi tifosi e agli appassionati dello sci azzurro?

Che sono felice. Ho passato dei momenti realmente difficili, ma adesso finalmente sto bene. Penso solo a divertirmi…e, se mi diverto, è anche facile andare il più forte possibile e dare tutto in ogni circostanza.

DALL’ARGENTINA CON FURORE

Christian Javier Simari Birkner racconta l’insolita carriera di uno sciatore argentino.

Cristian Javier Simari Birkner, 31 anni, professione sciatore. Apparentemente non c’è nulla di strano: centinaia  sono gli atleti che praticano questo sport a livello agonistico. Ma la particolarità è che il ragazzo in questione è originario di una terra che certo, nell’immaginario collettivo, non viene mai affiancata allo sci alpino: l’Argentina. E con lui ci sono due sorelle, Macarena e Maria Belén, anch’esse presenze fisse nel Circo Bianco, senza perdersi un’edizione del Mondiale o dei Giochi Olimpici. Anche una terza sorella, la giovanissima Angelica, è in procinto di debuttare tra i big.

I Simari Birkner, famiglia di sciatori: che effetto fa rappresentare l’Argentina nel mondo con questo sport?

«Lo sci mi ha dato tutto, e dunque secondo me la cosa più importante non è tanto rappresentare il mio Paese in giro per il mondo, ma poter fare quello che più mi piace. E farlo bene. Certo che se non fosse stato per la mia famiglia, non avrei mai potuto arrivare a questi livelli».

Come mai hai scelto di praticare questo sport a livello agonistico? In Argentina non è certo la disciplina più popolare, sebbene non manchino le montagne.

«Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di sportivi, quasi tutti sciatori: i miei zii hanno partecipato anche ad un’edizione dei Giochi Olimpici e a più Campionati del Mondo. Da ragazzo vivevo le gare dei miei parenti molto da vicino, ma penso che la decisione definitiva di impegnarmi agonisticamente in questo sport l’ho presa vedendo meglio l’ambiente dello sci alpino, andando per dieci anni a Madonna di Campiglio a veder correre Tomba, Girardelli e gli altri campioni, svegliandomi alle quattro del mattino solo per poter arrivare sulla “3 Tre” (la pista di Madonna di Campiglio, ndr) per guardare le gare. È grazie a queste cose che ho capito di non volermi limitare ad osservare, ma di voler partecipare anch’io direttamente».

Chi è lo sciatore che ti ha fatto innamorare di questo sport? E adesso, chi stimi maggiormente?

«Come persona, e come atleta, ammiravo tantissimo Marc Girardelli: secondo me è riuscito a cambiare lo sci, a migliorarlo, e il fatto che lui corresse per il Lussemburgo praticamente da solo, con suo padre ed un gruppo di allenatori, si avvicina anche alla mia esperienza personale. Adesso lo sci è ancora diverso da prima, c’è maggiore equilibrio e quindi penso che ogni atleta della Coppa del Mondo meriti il mio rispetto e la mia stima».

Obiettivi per questa stagione? Anche se la tua è già iniziata d’estate, con una buona serie di vittorie nella South American Cup.

«Il primo obiettivo era rivincere la South American Cup e ce l’ho fatta: adesso sto recuperando da una piccola lesione al ginocchio sinistro rimediata durante la discesa di Chillan, e dunque spero di essere in forma per i primi di dicembre, in modo da poter gareggiare in Coppa del Mondo, Coppa Europa e North American Cup, preparandomi al meglio per il Campionato del Mondo di Garmisch-Partenkirchen».

Sei un atleta polivalente, gareggi dallo slalom alla discesa: qual è la tua disciplina preferita? E su che genere di tracciato ti trovi meglio?

«La specialità che mi piace maggiormente è il gigante, è anche quella in cui sono più allenato. Come tracciati, preferisco quelli duri, con delle pendenze davvero aspre, per cui mi trovo davvero benissimo sulla Podkoren di Kranjska Gora e in Val d’Isere».

6)Quali sono state la tua maggiore soddisfazione e la tua peggiore delusione in questa prima parte di carriera?

«La mia delusione più grande è quella di non essere ancora riuscito a chiudere nei 30 una gara di Coppa del Mondo: una volta sono uscito nella seconda manche a Kranjska Gora, dove oltretutto stavo facendo davvero bene. Ricordo con rammarico anche il Campionato del Mondo del 2001, a Sankt Anton: ero al nono posto dopo la prima manche dello slalom della combinata, e stavo scendendo come un pazzo nella seconda, prima di commettere un grave errore a sette porte dalla fine, compromettendomi la gara. La maggiore soddisfazione la lego invece ai Mondiali di Sankt Moritz di due anni dopo: ero ventiseiesimo e già contento dopo la prima prova del gigante, ma poi nella seconda mi sono scatenato realizzando il quarto tempo parziale e chiudendo al diciassettesimo posto complessivo, davanti a grandi atleti come Lasse Kjus e Christian Mayer».

Quali sono i tuoi hobby? Sei molto attivo su Facebook…

«Adoro la natura, andare a cavallo e in bicicletta, mi piace stare, quando posso, nella mia Argentina, magari mangiando un bel piatto di asado (un arrosto tipicamente sudamericano, ndr). In generale, prediligo le attività all’aria aperta, anche se ammetto che con tutti i viaggi e il tempo da trascorrere nei vari hotel utilizzo spesso il computer, che mi permette di comunicare con il mondo in ogni momento».

Ultima domanda: oltre a Cristian, Macarena e Maria Belén, c’è qualche altro sciatore argentino che può fare strada?

«Io credo dì sì. In Argentina abbiamo molti sportivi di livello mondiale, anche se in generale manca sempre una buona organizzazione. Spero quindi che si sviluppi una struttura migliore, in grado di permettere ai vari atleti di esprimere appieno il loro talento. Inoltre, penso anche che l’attuale sistema della Coppa del Mondo di sci non sia perfetto per le realtà minori: le gare si fanno solo in poche nazioni, e nelle seconde manche degli slalom e dei giganti partecipano solo trenta atleti, spesso solo austriaci, italiani, svizzeri e francesi. Questo secondo me non aiuta i paesi più giovani da un punto di vista sciistico che avrebbero bisogno di maggiore spazio, anche se resto convinto che l’Argentina abbia grandi potenzialità».

Marco Regazzoni

LONGHI: “NIENTE SÖLDEN, MA GUARDO AVANTI”

Assente in Coppa del Mondo, lo sciatore trentino è già proiettato verso gli impegni futuri.

Sabato inizierà la Coppa del Mondo femminile di sci e domenica seguirà a ruota quella maschile, sempre con uno slalom gigante a Sölden, sul ghiacciaio del Rettenbach. La squadra azzurra, molto competitiva in questa disciplina grazie a big come Massimiliano Blardone, Davide Simoncelli e Manfred Moelgg, non schiererà l’esperto trentino Omar Longhi che, non facendo parte della selezione nazionale, si allenerà con i compagni del Gruppo Sportivo Fiamme Gialle per riconquistare un posto in Coppa del Mondo.

Longhi, trentenne di Cles Val di Non ma residente al Passo del Tonale, vanta tra l’altro quattro podi in Coppa Europa, tutti nella disciplina del gigante, tra i quali spicca la vittoria ottenuta a Val Thorens nello scorso dicembre. In vista di questa nuova stagione, siamo riusciti ad avere una sua interivsta.

Omar, domenica c’è Sölden, l’apertura della stagione: quali sono gli auspici per questa nuova annata?

«A Sölden purtroppo non ci sarò, perché il direttore tecnico ha deciso di non far disputare la prima gara a quegli atleti che, non facendo parte della selezione nazionale, si allenano con i rispettivi gruppi militari; io sarei potuto partire con un buon pettorale, penso con il 38 (visto il suo punteggio FIS, n.d.r.), ma ad ogni modo accetto la decisione e guardo avanti».

È da tante stagioni che ti si vede battagliare in CdM e in Coppa Europa: qual è stata sin qui la tua più grande gioia? E il più grande rammarico?

«Sicuramente le soddisfazioni maggiori sono venute dai podi e dai risultati brillanti in Coppa Europa, ma ovviamente non posso dimenticare le qualificazioni per le seconde manche nelle gare di Coppa del Mondo; le delusioni sono legate a tre infortuni che ho avuto in altrettanti momenti decisivi della mia carriera, quando mi sentivo davvero in forma e pronto finalmente per sfondare».

Quali sono le piste di gigante che ti entusiasmano maggiormente?

«Prediligo i tracciati che richiedono una buona tecnica, e quindi adoro la Gran Risa dell’Alta Badia, dove infatti ho ottenuto anche il mio primo piazzamento a punti in Coppa del Mondo».

Come definiresti il tuo modo di sciare?

«Credo di avere una sciata molto dolce e tecnica: fisicamente non ho una grandissima potenza, e dunque cerco di compensare sfruttando al massimo le doti tecniche».

Come ci si sente a doversi allenare col gruppo militare, non facendo parte della nazionale “ufficiale”? È facile accettare una decisione del genere?

«No, non è per niente facile. Penso che ci siano stati alcuni atleti, anche molto dotati tecnicamente, che si siano persi proprio per questa ragione, per non aver fatto parte della squadra nazionale. Sta ad ognuno di noi trovare le motivazioni giuste che ti fanno andare avanti, superando difficoltà di questo genere; non bisogna mai mollare la presa, perché la forza di volontà è assolutamente indispensabile per ottenere buoni risultati».

Com’è Omar Longhi fuori dalle piste da sci? Che interessi particolari ha?

«Mi reputo un ragazzo normalissimo, non a caso i miei migliori amici sono maestri di sci o semplici muratori. Cerco sempre di divertirmi quando sono in compagnia, sfruttando al massimo questi momenti».

Ultima domanda: tra i giovani del panorama sciistico azzurro, ce n’è uno in particolare che secondo te ha ottime chance di sfondare?

«Ci sono dei giovani davvero interessanti, ma è un po’ presto per fare qualche nome, hanno tutti bisogno di fare esperienza e di crescere agonisticamente in Coppa Europa, senza perdersi per strada. Tra l’anno in cui sono nato io e i primi anni novanta c’è un certo buco generazionale che non ha facilitato il ricambio, ma sono convinto che qualche nostro giovane possa fare davvero molta strada ed arrivare fra i primi al mondo».

Marco Regazzoni

MARSAGLIA, UNA ROMANA SULLA NEVE

Francesca Marsaglia si racconta in vista della prima prova di Coppa del Mondo di sci a Sölden.

Sabato, a Sölden, uno slalom gigante femminile aprirà ufficialmente la Coppa del Mondo 2010-2011 di sci alpino. Tra le nove italiane in gara ci sarà anche Francesca Marsaglia: vent’anni compiuti a gennaio, questa ragazza nativa di Roma ma residente a San Sicario ha esordito in Coppa del Mondo nel febbraio 2008 in una discesa a Sestriere, e la scorsa stagione ha partecipato a quasi tutti i supergiganti e le discese del Circo Bianco, con qualche puntata anche in gigante. Inoltre, chiudendo al terzo posto la classifica di supergigante in Coppa Europa, si è guadagnata il diritto di partecipare a tutte le gare di questa specialità nella CdM 2010-2011.

Francesca, che cosa ci fa una romana sulla neve? Chi ti ha spinto a intraprendere questa strada?

«Mi piace questa domanda. Sinceramente non saprei dirtelo, però so di sicuro chi devo ringraziare per essere arrivata dove sono: in primis mio padre, da sempre mio allenatore, ma anche  i miei fratelli maggiori Eugenio e Matteo (quest’ultimo fa parte del gruppo “Atleti di interesse nazionale” della squadra azzurra, ndr). Sin da piccola volevo imitarli in tutto, e quindi ci siamo presto ritrovati a sfidarci sulla neve, per la gioia di papà, ma non della mamma, amante del tennis e del mare».

Sei giovanissima: guardando ai primi anni di carriera, qual è la più grande soddisfazione che hai avuto? E la delusione più cocente?

«Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di riuscire, anno dopo anno, a fare sempre un passo in avanti, a migliorarmi, anche di poco per volta. Guardando ad un risultato, non posso non pensare al podio nella classifica finale di supergigante nell’ultima Coppa Europa, che mi ha permesso di conquistare quel posto fisso per la CdM tanto agognato.  La delusione più cocente riguarda i Mondiali juniores di quest’anno, sapevo di poter fare molto bene ma invece sono finita lontana dalle prime: non erano le mie giornate, ma si guarda avanti».

Lo scorso anno ti abbiamo vista impegnata prevalentemente in supergigante e discesa, eppure sabato a Sölden sarai in gara. Vuoi puntare sul gigante oppure sei attratta dalla polivalenza?

«Beh, sicuramente sono molto attratta dalla polivalenza: posso fare ottime cose in quasi tutte le discipline, e quindi mi allenerò sempre su questa strada»

Quali sono i tuoi obiettivi per questa nuova stagione?

«L’obiettivo principale di questa stagione è sicuramente quello di riuscire a chiudere nelle prime trenta un po’ di gare di CdM in modo da raggranellare più punti possibile, soprattutto nelle discipline veloci, visto che in supergigante ho il posto fisso».

Chi è la compagna di squadra più simpatica, con cui sei più legata?

«Sono molto fortunata, la nostra è davvero una gran bella squadra, ma sicuramente posso dire di avere un rapporto diverso con la mia compagna di stanza Elena Curtoni, anche perché è da quando abbiamo otto anni che gareggiamo sempre insieme».

E invece l’atleta, italiana o straniera, alla quale ti ispiri?

«Diciamo che non mi piace ispirarmi a qualcuno in particolare: ammiro e cerco di raccogliere le caratteristiche positive di molte atlete, anche se confesso di avere un debole da sempre per la statunitense Lindsay Vonn, la dominatrice delle ultime stagioni».

Come vivi l’agonismo? Nel senso, hai vent’anni: non pensi mai alla spensieratezza dei tuoi coetanei?

«Sì, è vero, ho vent’anni e non “posso” fare molte cose abituali per i miei coetanei. La vita d’atleta comporta indubbiamente molti sacrifici, eppure credo che, allo stesso tempo, ci sarebbero moltissime persone che pagherebbero per essere al nostro posto, per girare i posti che vediamo noi e per vivere le nostre esperienze. Mi reputo molto fortunata e cerco di vivere al meglio questa opportunità che la vita mi ha concesso».

Un’italiana su cui scommettere per questa stagione?

«Un italiano si può? Io dico mio fratello Matteo. Se la sfortuna, che si manifesta sotto forma di continui infortuni, lo abbandona una volta per tutte, fidatevi che farà benissimo».

Marco Regazzoni

GILBERT CONCEDE IL BIS AL LOMBARDIA

Il ciclista belga vince il Giro della Lombardia, ultima grande classica della stagione.

Il Giro di Lombardia è da sempre la tradizionale chiusura della stagione ciclistica: è vero, ancora per un mese ci saranno gare e garette in ogni parte del globo, ma la cosiddetta classica delle Foglie Morte rappresenta l’ultimo appuntamento con il grande ciclismo di ogni annata, l’ultima occasione di riscatto per i corridori delusi, l’ennesima chance di splendere per chi ha dominato nei mesi precedenti.

Il percorso odierno si snoda sull’asse Milano-Como, 265 km attraverso la pianura attorno al capoluogo, le asperità della Val d’Intelvi, gli splendidi panorami del Lago di Como, la storica salita del Ghisallo, la ritrovata Colma di Sormano e il decisivo San Fermo della Battaglia, prima di arrivare sul lungolago della città lariana.

Come previsto, è battaglia sin dai primissimi chilometri, nel tentativo di portar via una fuga che caratterizzi la gara: riescono nell’intento, al chilometro 16, sei corridori. Si tratta del ventiduenne parigino Tony Gallopin (Cofidis), dell’esperto ticinese Michael Albasini (Team HTC-Columbia), del trentaquattrenne finlandese Kjell Carlström (Team Sky), del veneto Mauro Da Dalto (Lampre-Farnese Vini), e del duo della ISD-Neri composto dal del ventiseienne catanese Gianluca Mirenda e dal bergamasco Diego Caccia. Già da Porlezza la pioggia inizia a condizionare le corsa, e non si contano le scivolate di vari corridori lungo le discese disseminate lungo il percorso: anche un ottimo passista come il trentino Leonardo Bertagnolli finisce a terra ed è costretto al ritiro. Il vantaggio dei fuggitivi, che tocca quota 8 minuti, si riduce drasticamente quando si avvicinano le salite decisive, e già sul Ghisallo il campione nazionale Giovanni Visconti si fa vedere con un’azione importante, ma viene presto raggiunto e staccato dall’olandese Bauke Mollema (Rabobank). Nella discesa da Sormano, il siciliano Vincenzo Nibali, il vallone Philippe Gilbert, il marchigiano Michele Scarponi e lo spagnolo Pablo Lastras si ricongiungono con il fuggitivo; Nibali, tuttavia, è anch’esso vittima dell’asfalto reso scivoloso dalla pioggia e dalle foglie cadute, terminando a terra e staccandosi definitivamente dagli altri attaccanti. Già dai 20 km al traguardo, si capisce che gli uomini con la maggiore freschezza atletica sono Gilbert e Scarponi: i due restano appaiati in vetta alla corsa sino all’ultima ascesa, quella del San Fermo della Battaglia, guardandosi spesso negli occhi con atteggiamento di sfida. Ma Scarponi, tuttavia, non può portare fino in fondo la sua battaglia: nel momento in cui il rivale si alza sui pedali e scatta, il marchigiano è vittima di un salto di catena che gli impedisce di rispondere come avrebbe potuto.

Philippe Gilbert arriva dunque in solitaria sul lungolago Trento di Como, aggiudicandosi il Giro di Lombardia per la seconda volta consecutiva, in una stagione che lo ha visto vincere anche l’Amstel Gold Race, due tappe della Vuelta e, pochi giorni fa, il Gran Piemonte. Per Scarponi un secondo posto molto amaro, date le circostanze in cui è maturato: anche Nibali, quinto sul traguardo, ha da recriminare per la sfortuna avuta. Gilbert, con il trionfo odierno, suggella così una stagione che lo ha definitivamente consacrato come uno dei migliori interpreti delle corse di un giorno, nel solco della tradizione di tantissimi suoi connazionali, da Van Steenbergen a Van Looy, dall’inarrivabile Merckx a Musseuw.

Ordine d’arrivo:

1) Philippe GILBERT (Omega Pharma-Lotto) in 6h46’32’’;

2) Michele SCARPONI (Androni Giocattoli-Diquigiovanni) a 12’’;

3) Pablo LASTRAS (Caisse d’Epargne) a 55’’;

4) Jakob FUGLSANG (Saxo Bank) a 1’08’’;

5) Vincenzo NIBALI (Liquigas-Doimo) stesso tempo.

Marco Regazzoni