DALL’ARGENTINA CON FURORE

Christian Javier Simari Birkner racconta l’insolita carriera di uno sciatore argentino.

Cristian Javier Simari Birkner, 31 anni, professione sciatore. Apparentemente non c’è nulla di strano: centinaia  sono gli atleti che praticano questo sport a livello agonistico. Ma la particolarità è che il ragazzo in questione è originario di una terra che certo, nell’immaginario collettivo, non viene mai affiancata allo sci alpino: l’Argentina. E con lui ci sono due sorelle, Macarena e Maria Belén, anch’esse presenze fisse nel Circo Bianco, senza perdersi un’edizione del Mondiale o dei Giochi Olimpici. Anche una terza sorella, la giovanissima Angelica, è in procinto di debuttare tra i big.

I Simari Birkner, famiglia di sciatori: che effetto fa rappresentare l’Argentina nel mondo con questo sport?

«Lo sci mi ha dato tutto, e dunque secondo me la cosa più importante non è tanto rappresentare il mio Paese in giro per il mondo, ma poter fare quello che più mi piace. E farlo bene. Certo che se non fosse stato per la mia famiglia, non avrei mai potuto arrivare a questi livelli».

Come mai hai scelto di praticare questo sport a livello agonistico? In Argentina non è certo la disciplina più popolare, sebbene non manchino le montagne.

«Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di sportivi, quasi tutti sciatori: i miei zii hanno partecipato anche ad un’edizione dei Giochi Olimpici e a più Campionati del Mondo. Da ragazzo vivevo le gare dei miei parenti molto da vicino, ma penso che la decisione definitiva di impegnarmi agonisticamente in questo sport l’ho presa vedendo meglio l’ambiente dello sci alpino, andando per dieci anni a Madonna di Campiglio a veder correre Tomba, Girardelli e gli altri campioni, svegliandomi alle quattro del mattino solo per poter arrivare sulla “3 Tre” (la pista di Madonna di Campiglio, ndr) per guardare le gare. È grazie a queste cose che ho capito di non volermi limitare ad osservare, ma di voler partecipare anch’io direttamente».

Chi è lo sciatore che ti ha fatto innamorare di questo sport? E adesso, chi stimi maggiormente?

«Come persona, e come atleta, ammiravo tantissimo Marc Girardelli: secondo me è riuscito a cambiare lo sci, a migliorarlo, e il fatto che lui corresse per il Lussemburgo praticamente da solo, con suo padre ed un gruppo di allenatori, si avvicina anche alla mia esperienza personale. Adesso lo sci è ancora diverso da prima, c’è maggiore equilibrio e quindi penso che ogni atleta della Coppa del Mondo meriti il mio rispetto e la mia stima».

Obiettivi per questa stagione? Anche se la tua è già iniziata d’estate, con una buona serie di vittorie nella South American Cup.

«Il primo obiettivo era rivincere la South American Cup e ce l’ho fatta: adesso sto recuperando da una piccola lesione al ginocchio sinistro rimediata durante la discesa di Chillan, e dunque spero di essere in forma per i primi di dicembre, in modo da poter gareggiare in Coppa del Mondo, Coppa Europa e North American Cup, preparandomi al meglio per il Campionato del Mondo di Garmisch-Partenkirchen».

Sei un atleta polivalente, gareggi dallo slalom alla discesa: qual è la tua disciplina preferita? E su che genere di tracciato ti trovi meglio?

«La specialità che mi piace maggiormente è il gigante, è anche quella in cui sono più allenato. Come tracciati, preferisco quelli duri, con delle pendenze davvero aspre, per cui mi trovo davvero benissimo sulla Podkoren di Kranjska Gora e in Val d’Isere».

6)Quali sono state la tua maggiore soddisfazione e la tua peggiore delusione in questa prima parte di carriera?

«La mia delusione più grande è quella di non essere ancora riuscito a chiudere nei 30 una gara di Coppa del Mondo: una volta sono uscito nella seconda manche a Kranjska Gora, dove oltretutto stavo facendo davvero bene. Ricordo con rammarico anche il Campionato del Mondo del 2001, a Sankt Anton: ero al nono posto dopo la prima manche dello slalom della combinata, e stavo scendendo come un pazzo nella seconda, prima di commettere un grave errore a sette porte dalla fine, compromettendomi la gara. La maggiore soddisfazione la lego invece ai Mondiali di Sankt Moritz di due anni dopo: ero ventiseiesimo e già contento dopo la prima prova del gigante, ma poi nella seconda mi sono scatenato realizzando il quarto tempo parziale e chiudendo al diciassettesimo posto complessivo, davanti a grandi atleti come Lasse Kjus e Christian Mayer».

Quali sono i tuoi hobby? Sei molto attivo su Facebook…

«Adoro la natura, andare a cavallo e in bicicletta, mi piace stare, quando posso, nella mia Argentina, magari mangiando un bel piatto di asado (un arrosto tipicamente sudamericano, ndr). In generale, prediligo le attività all’aria aperta, anche se ammetto che con tutti i viaggi e il tempo da trascorrere nei vari hotel utilizzo spesso il computer, che mi permette di comunicare con il mondo in ogni momento».

Ultima domanda: oltre a Cristian, Macarena e Maria Belén, c’è qualche altro sciatore argentino che può fare strada?

«Io credo dì sì. In Argentina abbiamo molti sportivi di livello mondiale, anche se in generale manca sempre una buona organizzazione. Spero quindi che si sviluppi una struttura migliore, in grado di permettere ai vari atleti di esprimere appieno il loro talento. Inoltre, penso anche che l’attuale sistema della Coppa del Mondo di sci non sia perfetto per le realtà minori: le gare si fanno solo in poche nazioni, e nelle seconde manche degli slalom e dei giganti partecipano solo trenta atleti, spesso solo austriaci, italiani, svizzeri e francesi. Questo secondo me non aiuta i paesi più giovani da un punto di vista sciistico che avrebbero bisogno di maggiore spazio, anche se resto convinto che l’Argentina abbia grandi potenzialità».

Marco Regazzoni

HOCKEY GHIACCIO: IL PUNTO DOPO IL PRIMO GIRONE D’ANDATA

Con la fine del primo girone d’andata il campionato italiano di hockey su ghiaccio è entrato oramai nel vivo. Poche le novità, molte le conferme. Come lo scorso anno infatti il Valpusteria è già in fuga, apparentemente irraggiungibili. I lupi di Brunico, allenati dal confermatissimo Mair e forti di una rosa pressoché immutata a cui è stato aggiunta un portiere affidabile come il finlandese Tommi Nikkila, non hanno ancora perso una partita. Primi con 24, punti frutto di otto vittorie piene, i giallo-neri hanno espresso ad oggi il miglior hockey della serie A. Resta però un interrogativo; saranno in grado di continuare a pattinare a questi livelli o crolleranno nel finale di stagione come accaduto nello scorso campionato?

Oltre alla capolista sono parecchie le similitudini con la passata stagione. Il Renon (3° a 16 punti), già vincitore della Supercoppa Italian, segue il Valpusteria a debita distanza pur dando l’impressione di estrema solidità grazie al duo Cloutier-Tudin e agli italiani sempre più protagonisti. Il Bolzano, che tra Palaonda e prima linea è stato letteralmente un cantiere aperto, si trova con 15 punti al 4° posto. Un ottima base di partenza per una squadra che, con un portiere super come Matt Zaba e un centro di tutto rispetto come l’ultimo arrivato Danny Irmen, non può non essere considerata fra le favorite allo scudetto.

E i campioni d’Italia? Esattamente come la passata stagione l’Asiago galleggia sornione a metà classifica (6° con 11 punti). Guai però a sottovalutare i leoni veneti.

Bene anche i friulani del Pontebba (5° con gli stessi punti dell’Asiago) che, anche con la nuova divisa bianconera, si stanno riconfermando come squadra di medio – alta classifica. Fra i friulani il difensore di scuola Renon, Andreas Lutz è diventato il nuovo recordman di presenze della squadra superando una bandiera come Fabio Armani.

Male, molto male invece il trio Alleghe (7° a 6 punti), Fassa (8° a 5 punti), e Cortina (9° a 1 solo punto). Gli agordini continuano a palesare drammatici problemi difensivi e, con 30 goal subiti, sono la peggior difesa della serie A. Il Fassa paga la perdita di Dennis e i problemi estivi nella costruzione della squadra, mentre il Cortina, ormai nobile decaduta, è ancora in attesa della prima vittoria stagionale.

A sparigliare le carte rispetto un film già visto ci ha pensato la Valpellice dei fratelli Aquino, seconda in classifica a 19 punti. Da squadra competitiva quasi esclusivamente fra le mura amiche la Valpe sta evolvendo in una potenziale squadra d’alto livello. È ancora presto per dire se i Piemontesi sono diventati grandi, quello che è certo è che non sono più una matricola.

Il mese di ottobre per altro è stato caratterizzato da un’intensa attività dell’hockeymercato. Detto di Irmen a Bolzano colpisce come ben tre squadre abbiano cambiato in corsa il proprio goalie. Certo il portiere resta un ruolo delicatissimo e spesso determinante per le sorti di una squadra ma è difficile pensare che i problemi di Asiago Alleghe e Cortina siano stati esclusivamente legati alle prestazione dei loro estremi difensori. Il campionato italiano riabbraccia quindi l’Mvp della passata stagione Daniel Bellissimo, tornato a difendere la gabbia dell’Asiago al posto di Perugini e l’ex portierone del Fassa Adam Dennis sbarcato ad Alleghe in sostituzione di un comunque discreto Gusten Tornqvist. A Cortina invece è stato chiamato in tutta fretta Adam Munro (17 presenze in Nhl) per fronteggiare la partenza oltreoceano di Adam Russo

Nicola Sbetti

LONGHI: “NIENTE SÖLDEN, MA GUARDO AVANTI”

Assente in Coppa del Mondo, lo sciatore trentino è già proiettato verso gli impegni futuri.

Sabato inizierà la Coppa del Mondo femminile di sci e domenica seguirà a ruota quella maschile, sempre con uno slalom gigante a Sölden, sul ghiacciaio del Rettenbach. La squadra azzurra, molto competitiva in questa disciplina grazie a big come Massimiliano Blardone, Davide Simoncelli e Manfred Moelgg, non schiererà l’esperto trentino Omar Longhi che, non facendo parte della selezione nazionale, si allenerà con i compagni del Gruppo Sportivo Fiamme Gialle per riconquistare un posto in Coppa del Mondo.

Longhi, trentenne di Cles Val di Non ma residente al Passo del Tonale, vanta tra l’altro quattro podi in Coppa Europa, tutti nella disciplina del gigante, tra i quali spicca la vittoria ottenuta a Val Thorens nello scorso dicembre. In vista di questa nuova stagione, siamo riusciti ad avere una sua interivsta.

Omar, domenica c’è Sölden, l’apertura della stagione: quali sono gli auspici per questa nuova annata?

«A Sölden purtroppo non ci sarò, perché il direttore tecnico ha deciso di non far disputare la prima gara a quegli atleti che, non facendo parte della selezione nazionale, si allenano con i rispettivi gruppi militari; io sarei potuto partire con un buon pettorale, penso con il 38 (visto il suo punteggio FIS, n.d.r.), ma ad ogni modo accetto la decisione e guardo avanti».

È da tante stagioni che ti si vede battagliare in CdM e in Coppa Europa: qual è stata sin qui la tua più grande gioia? E il più grande rammarico?

«Sicuramente le soddisfazioni maggiori sono venute dai podi e dai risultati brillanti in Coppa Europa, ma ovviamente non posso dimenticare le qualificazioni per le seconde manche nelle gare di Coppa del Mondo; le delusioni sono legate a tre infortuni che ho avuto in altrettanti momenti decisivi della mia carriera, quando mi sentivo davvero in forma e pronto finalmente per sfondare».

Quali sono le piste di gigante che ti entusiasmano maggiormente?

«Prediligo i tracciati che richiedono una buona tecnica, e quindi adoro la Gran Risa dell’Alta Badia, dove infatti ho ottenuto anche il mio primo piazzamento a punti in Coppa del Mondo».

Come definiresti il tuo modo di sciare?

«Credo di avere una sciata molto dolce e tecnica: fisicamente non ho una grandissima potenza, e dunque cerco di compensare sfruttando al massimo le doti tecniche».

Come ci si sente a doversi allenare col gruppo militare, non facendo parte della nazionale “ufficiale”? È facile accettare una decisione del genere?

«No, non è per niente facile. Penso che ci siano stati alcuni atleti, anche molto dotati tecnicamente, che si siano persi proprio per questa ragione, per non aver fatto parte della squadra nazionale. Sta ad ognuno di noi trovare le motivazioni giuste che ti fanno andare avanti, superando difficoltà di questo genere; non bisogna mai mollare la presa, perché la forza di volontà è assolutamente indispensabile per ottenere buoni risultati».

Com’è Omar Longhi fuori dalle piste da sci? Che interessi particolari ha?

«Mi reputo un ragazzo normalissimo, non a caso i miei migliori amici sono maestri di sci o semplici muratori. Cerco sempre di divertirmi quando sono in compagnia, sfruttando al massimo questi momenti».

Ultima domanda: tra i giovani del panorama sciistico azzurro, ce n’è uno in particolare che secondo te ha ottime chance di sfondare?

«Ci sono dei giovani davvero interessanti, ma è un po’ presto per fare qualche nome, hanno tutti bisogno di fare esperienza e di crescere agonisticamente in Coppa Europa, senza perdersi per strada. Tra l’anno in cui sono nato io e i primi anni novanta c’è un certo buco generazionale che non ha facilitato il ricambio, ma sono convinto che qualche nostro giovane possa fare davvero molta strada ed arrivare fra i primi al mondo».

Marco Regazzoni

MARSAGLIA, UNA ROMANA SULLA NEVE

Francesca Marsaglia si racconta in vista della prima prova di Coppa del Mondo di sci a Sölden.

Sabato, a Sölden, uno slalom gigante femminile aprirà ufficialmente la Coppa del Mondo 2010-2011 di sci alpino. Tra le nove italiane in gara ci sarà anche Francesca Marsaglia: vent’anni compiuti a gennaio, questa ragazza nativa di Roma ma residente a San Sicario ha esordito in Coppa del Mondo nel febbraio 2008 in una discesa a Sestriere, e la scorsa stagione ha partecipato a quasi tutti i supergiganti e le discese del Circo Bianco, con qualche puntata anche in gigante. Inoltre, chiudendo al terzo posto la classifica di supergigante in Coppa Europa, si è guadagnata il diritto di partecipare a tutte le gare di questa specialità nella CdM 2010-2011.

Francesca, che cosa ci fa una romana sulla neve? Chi ti ha spinto a intraprendere questa strada?

«Mi piace questa domanda. Sinceramente non saprei dirtelo, però so di sicuro chi devo ringraziare per essere arrivata dove sono: in primis mio padre, da sempre mio allenatore, ma anche  i miei fratelli maggiori Eugenio e Matteo (quest’ultimo fa parte del gruppo “Atleti di interesse nazionale” della squadra azzurra, ndr). Sin da piccola volevo imitarli in tutto, e quindi ci siamo presto ritrovati a sfidarci sulla neve, per la gioia di papà, ma non della mamma, amante del tennis e del mare».

Sei giovanissima: guardando ai primi anni di carriera, qual è la più grande soddisfazione che hai avuto? E la delusione più cocente?

«Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di riuscire, anno dopo anno, a fare sempre un passo in avanti, a migliorarmi, anche di poco per volta. Guardando ad un risultato, non posso non pensare al podio nella classifica finale di supergigante nell’ultima Coppa Europa, che mi ha permesso di conquistare quel posto fisso per la CdM tanto agognato.  La delusione più cocente riguarda i Mondiali juniores di quest’anno, sapevo di poter fare molto bene ma invece sono finita lontana dalle prime: non erano le mie giornate, ma si guarda avanti».

Lo scorso anno ti abbiamo vista impegnata prevalentemente in supergigante e discesa, eppure sabato a Sölden sarai in gara. Vuoi puntare sul gigante oppure sei attratta dalla polivalenza?

«Beh, sicuramente sono molto attratta dalla polivalenza: posso fare ottime cose in quasi tutte le discipline, e quindi mi allenerò sempre su questa strada»

Quali sono i tuoi obiettivi per questa nuova stagione?

«L’obiettivo principale di questa stagione è sicuramente quello di riuscire a chiudere nelle prime trenta un po’ di gare di CdM in modo da raggranellare più punti possibile, soprattutto nelle discipline veloci, visto che in supergigante ho il posto fisso».

Chi è la compagna di squadra più simpatica, con cui sei più legata?

«Sono molto fortunata, la nostra è davvero una gran bella squadra, ma sicuramente posso dire di avere un rapporto diverso con la mia compagna di stanza Elena Curtoni, anche perché è da quando abbiamo otto anni che gareggiamo sempre insieme».

E invece l’atleta, italiana o straniera, alla quale ti ispiri?

«Diciamo che non mi piace ispirarmi a qualcuno in particolare: ammiro e cerco di raccogliere le caratteristiche positive di molte atlete, anche se confesso di avere un debole da sempre per la statunitense Lindsay Vonn, la dominatrice delle ultime stagioni».

Come vivi l’agonismo? Nel senso, hai vent’anni: non pensi mai alla spensieratezza dei tuoi coetanei?

«Sì, è vero, ho vent’anni e non “posso” fare molte cose abituali per i miei coetanei. La vita d’atleta comporta indubbiamente molti sacrifici, eppure credo che, allo stesso tempo, ci sarebbero moltissime persone che pagherebbero per essere al nostro posto, per girare i posti che vediamo noi e per vivere le nostre esperienze. Mi reputo molto fortunata e cerco di vivere al meglio questa opportunità che la vita mi ha concesso».

Un’italiana su cui scommettere per questa stagione?

«Un italiano si può? Io dico mio fratello Matteo. Se la sfortuna, che si manifesta sotto forma di continui infortuni, lo abbandona una volta per tutte, fidatevi che farà benissimo».

Marco Regazzoni

AMERICA SOTTO SMACCO

Esattamente cinque anni il Maccabi Tel Aviv divenne la prima squadra europea di basket a sconfiggere una formazione NBA sul suolo americano.

No, gli Stati Uniti proprio non volevano saperne di ammettere di essere stati sconfitti dai “pivellini” europei. 8 settembre 1978: a Tel Aviv il Maccabi disputa un’amichevole contro i Washington Bullets, vincitori del loro primo – e, finora, unico – titolo NBA. Dick Motta, artefice del miracolo, porta in Israele appena nove giocatori, comprese le stelle Elvin Hayes e Wes Unseld. Ma i campioni americani sono fuori forma e con la testa ancora in vacanza: il raduno inizierà solamente tra un mese. I mediorientali intuiscono che può essere il momento propizio per scrivere una pagina di storia. E così è: Miki Berkovich, indiscusso trascinatore del Maccabi e della nazionale, segna da solo 26 punti. E contribuisce ad una clamorosa vittoria per 98-97. L’Europa batte l’America. O, data la nazionalità del Maccabi, David affossa Golia. Ma l’America non riconosce l’impresa compiuta dagli israeliani, che negli anni immediatamente successivi ottengono altri tre successi contro una selezione NBA, i New Jersey Nets ed i Phoenix Suns. Le amichevoli, però, si sono giocate nel mese di agosto: per il massimo organo cestistico d’oltreoceano le vittorie sono dunque da invalidare. Un boicottaggio che prosegue sino al 1987, anno di istituzione del McDonald’s Open, triangolare prima e quadrangolare poi che manda in pensione la Coppa Intercontinentale. Qui le squadre NBA, forse per la compartecipazione della Federbasket mondiale alla creazione dell’evento, non accettano semplicemente di confrontarsi ancora con avversari del Vecchio Continente: da questo momento, infatti, i confronti tra Europa e America acquisiscono il valore dell’ufficialità. Nello stesso anno la nazionale dell’URSS sconfigge, in amichevole, gli Atlanta Hawks con un pazzesco 132-123. Che facciamo, la riconosciamo? “No, non ancora. Il confronto è impari, è una nazionale opposta ad una franchigia NBA” bofonchiano dall’altra estremità dell’Atlantico. Le prime europee a sfiorare, questa volta sì, l’impresa sono le italiane: la Tracer Milano dà il via ai confronti ufficiali sull’asse America-Europa e la Scavolini Pesaro si arrende soltanto ai supplementari ai Knicks nel corso della quarta edizione del Mc Donald’s Open. Passano quattordici anni e la Benetton Treviso rischia un colpo ancor più grosso, perdendo 86-83 all’Air Canada Centre di Toronto contro i Raptors. La lacuna sembra ormai colmata.

17 ottobre 2005. Stesso scenario, stesso avversario. L’Europa lancia ancora il guanto di sfida ai Raptors e nella circostanza si affida alla vincitrice dell’Eurolega, il Maccabi Tel Aviv, seguito sugli spalti dell’arena canadese dalla numerosa comunità ebrea. Per quanto sia un’amichevole, il coach americano Sam Mitchell non vuol passare per il buon samaritano e fin da subito schiera Chris Bosh, Morris Peterson e Jalen Rose, i giocatori più talentuosi della sua squadra. Pini Gershon replica con un dispiegamento di forze tutt’altro che inferiore: Nikola Vujčić, Anthony Parker e l’ex di turno Maceo Baston sono della partita già dal primo minuto.
La trama dell’amichevole è paragonabile a quei libri gialli in cui nelle pagine iniziali si deduce già il nome dell’assassino, perché i Raptors mantengono sempre la situazione a proprio vantaggio e chiudono il primo quarto avanti per 24-20. Il Maccabi non abbassa la guardia e, anzi, durante il successivo parziale pareggia temporaneamente con una schiacchiata di Anthony Parker. I canadesi riordinano presto le loro idee: nella seconda metà del quarto segnano diciassette punti, concedendone appena sette, e arrivano così all’intervallo lungo con dieci lunghezze di vantaggio (56-46).

In America, esattamente in occasione del titolo NBA di Washington di ventisette anni prima, fu coniata una massima divenuta assai presto di uso comune: “L’opera non è finita fino a quando canta la donna grassa”. Mai darsi per spacciati nello sport, almeno fino a quando il direttore di gara non fischia la fine della contesa. Il Maccabi, sospinto dal calore degli ebrei canadesi, prova a giocarsi le sue carte vincenti anche quando si trova a dover saldare un debito da quattordici punti. Due tiri liberi di Baston avvicinano nuovamente gli israeliani che hanno il merito di decurtare di sei punti lo scarto: l’impresa non appare più così impossibile da portare a compimento. E, quando il tabellone dell’Air Canada Centre ricorda che ci sono meno di tre minuti da giocare, il Maccabi passa per la prima volta in vantaggio (95-93), spinto da una tripla di Will Solomon. Una prodezza preceduta dalla monumentale difesa di Yaniv Green, vigile custode del canestro israeliano che stoppa un tiro in sospensione di Mike James e, soprattutto, rende nullo il tentativo di lay-up di Rose. Le certezze dei canadesi si sono sgretolate, oramai si lotta punto su punto.

Diciannove secondi alla conclusione. James ha appena messo dentro il canestro del 103-103. Il Maccabi gestisce l’ultima azione dell’incontro. Gli israeliani puntano tutto su Anthony Parker, miglior giocatore dell’Eurolega vinta dai gialloblù di Tel Aviv. Lui è nato a Naperville, Illinois, ha giocato a Philadelphia e Orlando, il basket americano non è certo un mistero per lui. E la guardia del Maccabi si mette in testa di diventare un eroe. Otto decimi alla conclusione: Parker, tutto isolato in un angolo, mira il tabellone e spicca il volo, Peterson prova ad oscurargli la visuale ma invano. Il pallone si accoccola tra le maglie della retina. Canestro. 105-103. Il Maccabi riscrive la storia del basket: mai una formazione europea aveva sconfitto una franchigia NBA sul suolo americano. Gli Stati Uniti erano usciti malconci dai Mondiali di Indianapolis e dai Giochi olimpici di Atene, ma con le squadre di club avevano sempre salvato l’onore. Adesso no, non più. Inutili i puerili tentativi della NBA di occultare, sul proprio sito web, anche questa sconfitta, stavolta sì ufficiale: l’ultimo baluardo è stato abbattuto.

Simone Pierotti