PAOLO FORNACIARI, CUORE DI GREGARIO

Dai successi tra i dilettanti al treno di Re Leone: un profilo di Paolo Fornaciari, quindici anni da gregario di lusso

Paolo FornaciariFilastrocca del gregario
corridore proletario,
che ai campioni di mestiere
deve far da cameriere,
e sul piatto, senza gloria,
serve loro la vittoria
.

Ci sono quei corridori che vincono e stravincono, sempre sul podio o a caccia di tappe, di classiche, di grandi giri. E ci sono quei corridori che aiutano a vincere e a stravincere, ad andare sul podio e a caccia di tappe, di classiche, di grandi giri. Il termine che identifica questo genere di atleti è “gregario”, già in uso nell’antica Roma per indicare i soldati semplici privi di gradi. Il grande Gianni Rodari, con la filastrocca riportata sopra, li ha definiti meglio di moltissimi esperti di ciclismo. E in questa definizione rientra appieno Paolo Fornaciari. Il nome sarà forse noto solo a qualche vero appassionato delle due ruote, proprio perché il “lavoro oscuro” è stata la sua forza, come quella di tutti i gregari.

Paolo Fornaciari nasce nella splendida Viareggio il 2 febbraio 1971, figlio di Mario e Graziella. La Toscana è da sempre terra di ciclisti, per le sue colline verdeggianti alternate a interminabili pianure: il ragazzo non fa eccezione, e a 7 anni inizia a gareggiare tra i giovanissimi con la maglia dell’U.C. Stiava, cogliendo qualcosa come 100 vittorie in cinque anni di gare. Il salto di categoria, prima tra gli esordienti e poi tra gli allievi, non gli fa perdere la mentalità vincente, visto che il Fornaciari in divisa U.S. Versilia porta a casa 75 successi spalmati su quattro stagioni. Dal 1988 al 1992 gareggia poi con i colori del G.S. Bottegone, squadra dell’entroterra pistoiese, dove trova un grande feeling con la gente del paese e con il presidente della società Renzo Bardelli. Del resto, Paolo è un toscano a tutti gli effetti: cresciuto col mito di Gino Bartali, ha un carattere schietto e guascone, che non può non renderlo simpatico ai più. I successi diminuiscono di numero ma sono di grande qualità, considerando le difficoltà delle categorie juniores e dilettanti: fa suo un durissimo Giro del Casentino, vince il campionato regionale toscano, fa parte del quartetto che trionfa ai Mondiali Militari in Olanda nel 1990 e sfiora il Mondiale juniores di Mosca 1988, raggiunto ai 3 km dal traguardo dopo un’interminabile fuga con vista sul Cremlino. In quegli anni i suoi duelli con Michele Bartoli e Francesco Casagrande, altre gemme del ciclismo toscano, riempiono le pagine dei quotidiani locali, convinti che queste tre stelle regaleranno grandissime soddisfazioni anche tra i professionisti.

A ventuno anno, Fornaciari firma per la Mercatone Uno diretta da Antonio Salutini e Flavio Miozzo: prima uno stage e poi questa squadra, che dal 1996 cambierà il main sponsor in Saeco, sarà casa sua dal 1993 al 1998. Proprio il team manager Salutini, toscano come lui, gli fa capire che potrà avere una lunga carriera al servizio dei compagni: qui avviene il cambiamento, qui il Fornaciari vincente delle categorie giovanili diventa il Fornaciari “gregario d’oro” che passerà in un lampo dalla testa alla coda del gruppo, dal tirare a ritmi forsennati al recuperare borracce e panini, sorridendo e scherzando, magari discutendo con qualche moto della carovana troppo vicina ai corridori (anche se il ruolo di “Brontolo” ufficiale del gruppo in quegli anni spettava a Fabio Baldato e Roberto Conti). Corre al fianco degli stessi Bartoli e Casagrande, oltre che del veloce Martinello, e fa sempre il suo lavoro con grande professionalità: che ci sia da recuperare sui fuggitivi o da essere il primo ad attaccare, da tirare una volata o da prendere le prime rampe di una salita a tutta, lui c’è, e viene rispettato e stimato da tutti per la sua propensione al sacrificio, oltre che per la sua simpatia. Nel 1994 arriva anche l’unico successo tra i professionisti: una tappa all’Herald Sun Tour, in Australia, sotto un caldo infernale, al termine di una fuga infinita. Valente passista col fisico da corazziere (191 cm x 80 kg, quando la buona cucina non lo tradisce), è al fianco di Ivan Gotti che vince il Giro d’Italia 1998, ed è uno degli immancabili componenti del “treno rosso” che lancia gli sprint del Re Leone Cipollini. Nel 1999 passa alla Mapei di patron Squinzi, dove ritrova Michele Bartoli, Paolo Bettini e Andrea Tafi: l’atleta di Fucecchio si aggiudica la Parigi-Roubaix di quell’anno anche grazie alla straordinaria prova dello stesso Fornaciari, che marca a uomo i suoi rivali e che lo “protegge” sino agli ultimissimi chilometri. Poi, sempre più esperto e sempre più gregario, torna alla Saeco nel 2003: il team, diretto da Giuseppe Martinelli, si fonde con la Lampre nel 2006 e sarà l’ultima squadra di Fornaciari. Gilberto Simoni (Giro d’Italia 2003) e Damiano Cunego, vincitore della corsa rosa l’anno successivo, possono contare sull’immortale “Forna”, pedina preziosissima per i loro successi, soprattutto nelle lunghe tappe di pianura dove occorre far girare le gambe a ritmi forsennati per tenere compatto il plotone. Non è raro vedere il toscano all’attacco in alcune frazioni dei grandi giri, per fare in modo che i suoi compagni possano stare al riparo nella pancia del gruppo principale.

Nel 2008, a 37 anni suonati, Paolo decide che è il momento di appendere la bicicletta al chiodo, dopo sedici stagioni di gioie e sacrifici, con la partecipazione ad undici edizioni del Giro d’Italia, 5 Tour de France, 4 Vuelta, 10 Gand-Wevelgem e 8 Parigi-Roubaix, tanto per fornire qualche numero indicativo.

Nella “su ‘asa” di Buggiano, dove risiede da molti anni a questa parte,, si dedica a smontare e rimontare motorini e a leggere i libri di Ken Follett: a differenza di molti colleghi, non resta nell’ambiente delle due ruote, ma, anche per rimanere vicino alla moglie Maddalena e alle figlie Greta ed Arianna, apre una gelateria in paese, mettendo a frutto le sue ottime abilità culinarie che, a causa della ferrea dieta dei ciclisti, venivano di molto limitate durante le stagioni in bici. Stranamente, la bottega si chiama “Ultimo Kilometro” ed è simboleggiata da un triangolo rosso, proprio come il segnale che contraddistingue gli ultimi mille metri di una corsa ciclistica. Perché corridori si resta sempre, anche quando si è scesi di sella.