UN NUOVO FILM SU BILL JOHNSON: LA STORIA TRISTE DI UN DISCESISTA TEMERARIO

Il 30 gennaio sarà proiettato in anteprima al Film Festival di Santa Barbara “Downhill: The Bill Johnson Story”, documentario sulla vita di Bill Johnson.

Bill JohnsonQuando la fama e il successo arrivano all’improvviso, altrettanto all’improvviso possono andarsene via.” Phil Mahre, campione statunitense di sci alpino degli anni ’80, a proposito di Bill Johnson.

Un nuovo film documentario storico sportivo sta per essere presentato in prima visione domenica 30 gennaio al Film Festival di Santa Barbara, in California. Prodotto dal network statunitense di video on demand, The Sky Channel, è stato diretto dall’esordiente trentasettenne regista californiano Zeke Piestrup, che vanta anche una breve carriera di discesista a livello juniores nel proprio curriculum. Il film tratteggia la storia di una meteora dello sci alpino degli anni ’80, Bill Johnson, che negli USA visse un momento di gloria nel febbraio del 1984, quando si aggiudicò a sorpresa, primo americano della storia, la medaglia d’oro nella discesa libera, lasciandosi alle spalle campioni del calibro degli svizzeri Peter Müller e Pirmin Zurbriggen, e dell’austriaco Franz Klammer.

La sua inaspettata vittoria mandò in delirio gli sportivi statunitensi, anche se fece storcere il naso ai puristi dello sci del nostro continente, presi in contropiede da questo discesista che affrontava le curve in modo spericolato, e proprio quando sembrava perdere l’equilibrio, riusciva a rimettersi in perfetto assetto, ancora più saettante di prima. Il giorno dopo la gara, ironizzando sulla sua adolescenza difficile, durante la quale aveva conosciuto il riformatorio, un quotidiano britannico era arrivato ad intitolare: “Sarajevo: un ladro d’auto ha rubato la medaglia d’oro.

Insensibile alle frecciate, il ventitreenne Bill Johnson si sentiva trascinare dal vento del successo, e con un pizzico di cinico ottimismo, a una domanda di un giornalista sul significato della sua vittoria olimpica aveva replicato: “Vuol sapere che significa per me? Milioni. Tanti milioni.” Come personaggio aveva raccolto subito la simpatia del pubblico americano, e un anno dopo sarebbe stato realizzato un film televisivo sul suo trionfo di Sarajevo.

Ma dopo avere vinto altre due gare di coppa del mondo nelle discese di Aspen in Colorado e di Whistler Mountain in Canada nel marzo 1984, un infortunio prima al ginocchio e poi alla spalla avevano oscurato la stagione successiva. Il recupero auspicato non sarebbe avvenuto, e le sue successive apparizioni non lo avrebbero più visto nelle posizioni di alta classifica. Gli allenatori della squadra statunitense erano dell’avviso che la sua condizione di forma non era più ottimale, e quando glielo avevano rinfacciato, lo avevano fatto schiumare di rabbia. Ne era scaturito un alterco verbale che il passionale Bill aveva condito con insulti da caserma. Si stavano avvicinando i giorni delle Olimpiadi di Calgary 1988, e si era così giocato le proprie ultime chance di prendervi parte con lo squadrone a stelle e strisce.

L’anno dopo, ad appena ventinove anni, annuncia il ritiro dalla vita sportiva, ed insieme alla moglie intraprende una nuova esistenza itinerante in giro per gli Stati Uniti, con un camper che fungerà da nuova casa per quasi dieci anni. Ma passato l’entusiasmo romantico per questa avventura sulle orme dei personaggi di Kerouac, e dilapidati rapidamente i guadagni del dopo olimpiade, la coppia si troverà alle prese con gravi difficoltà economiche, e sopravvivrà di espedienti, come l’organizzazione, poi fallita, di un circo bianco di vecchie glorie dello sci, insieme ad altre sfortunate incursioni nell’imprenditoria sportiva.

A questo si aggiungerà nel 1992 la tragedia della perdita del primo dei tre figli per un incidente domestico, finché alla fine degli anni novanta Bill Johnson verrà abbandonato dalla moglie col resto della famiglia al seguito. Questa batosta gli si rivela particolarmente difficile da sopportare; e a quel punto il suo desiderio principale diventa quello di riconquistare la compagna perduta. Comincia così a balenargli nella mente un colpo ad effetto: ritornare a gareggiare nella discesa libera, possibilmente per le imminenti olimpiadi di Salt Lake City. Anche in questo caso però la realtà si rivela più complicata dei sogni; e nonostante i duri allenamenti a cui si sottopone, ormai ultraquarantenne, non riesce ad essere sufficientemente competitivo nei confronti dei più giovani e fisicamente più esuberanti avversari.

La granitica volontà di farcela è superiore alla consapevolezza dei limiti fisici, e il 22 marzo 2001, mentre scende in prova prima di una gara nel Montana perde il controllo degli sci e rovina violentemente contro un blocco di neve ghiacciata. Gli spettatori ai bordi della pista sentono un grido d’aiuto straziante e disperato. I primi soccorsi arrivano dopo pochi istanti, ma il volto dell’ex campione è già coperto dal sangue che cola copiosamente dalla bocca e da un orecchio. Il trasporto in ospedale è altrettanto puntuale, e Johnson viene operato per rimuovere una vistosa emorragia cerebrale. La sua fibra da atleta riesce a salvargli la vita, ma gli effetti dell’incidente sono devastanti: le sue facoltà cognitive sono definitivamente compromesse, e l’intera parte destra del corpo è paralizzata irreversibilmente.

Dopo cento giorni di degenza in un centro di riabilitazione, la sua assicurazione sanitaria non gli ha permesso di restare altro tempo, e viene rimandato a casa per essere affidato alle cure dell’anziana madre. La notizia del suo incidente ha colpito profondamente il mondo dello sci americano, che si è prontamente mobilitato per raccogliere i fondi necessari alla sua assistenza. In particolare l’ex campione statunitense Phil Mahre, suo amico e protagonista del documentario “Downhill: The Bill Johnson Story” insieme a Franz Klammer e a lui stesso, non ha mai smesso di impegnarsi in iniziative di beneficienza per la sua causa.