ALLEGRI 3 – LEONARDO 0

Massimiliano Allegri e LeonardoLeonardo contro il suo passato, Allegri alla prova del nove. Ecco cosa rappresentava, per i due tecnici, il derby milanese giocato nel corso dell’ultimo week-end. A spuntarla, alla fine, è stato proprio l’ex coach del Cagliari di Cellino, che ha schierato una squadra molto compatta e determinata, abile a sfruttare al meglio tutte le mancanze degli avversari. In campo scendono i giocatori, certo. Ed in questo senso espressi sul mio blog il mio punto di vista, con i giocatori del Milan tutti oltre la sufficienza e quelli dell’Inter in più casi incapaci di profondere le giuste energie.  Per ciò che riguarda questa partita nello specifico, però, credo che una chiave di lettura importante sia data proprio nel confronto tra quanto svolto tra i due tecnici perché mai come in questo caso le scelte dell’uno e dell’altro hanno inciso così profondamente una partita.

Iniziamo dallo sconfitto, allora: Leonardo che schiera il suo solito 4-2-1-fantasia che, e dovrebbe averlo ormai capito, risulta totalmente inadeguato in partite di questa importanza e contro avversari così dotati.
I più attenti potrebbero ora obiettare che quello adottato dal tecnico brasiliano sia fondamentalmente lo stesso modulo utilizzato da Mourinho nella stagione del Triplete: una punta centrale, Eto’o, Sneijder e Pandev a dare sostanza alla fase offensiva, due mediani ed una difesa a quattro a protezione del solito Julio Cesar. La realtà dei fatti è però ben diversa. Perché non sono sempre i numeri possono spiegare tutto, ed anche volendo davvero azzardare questo parallelismo finiremmo col cadere in errore. Perché un modulo in sé e per sé vuol dire poco. Molto più importante è come lo stesso viene interpretato.

Facciamo un esempio slegato dalla situazione di cui stiamo parlando per provare a spiegare meglio. Il modulo classico nel calcio di oggi è il 4-4-2. Modulo che però può variare molto a seconda degli interpreti in campo ed a seconda di come gli stessi occupino le posizioni a loro assegnate. Pensate ad un 4-4-2 con Marchisio a sinistra, Aquilani e Melo centrali e Krasic a destra: facile vedere sovente – e così è successo più volte, infatti – il serbo arrivare quasi ad allinearsi con le punte, con lo scivolamento degli altri centrocampisti a formare, in buona sostanza, una linea a tre. Ben diverso, invece, sarebbe utilizzare due ali di ruolo che limitandosi a giocare solo sugli esterni darebbero un volto molto più lineare a questo modulo. O, ancora, ben diverso è trovarsi a giocare con un 4-4-2 utilizzando i terzini bloccati piuttosto che mettere in campo lo stesso modulo ma farlo sfruttando dei terzini dalla buona capacità di spinta e capaci di andare ad effettuare continue sovrapposizioni.

Allo stesso modo nel caso in esame ecco che non si può fare un facile parallelismo tra il modulo utilizzato sovente da Mourinho e quello schierato nel derby da Leonardo. Perché non basta notare certe somiglianze, bisogna entrare più nel merito dell’approccio tattico al modulo stesso. E allora ecco che si può subito vedere come il tecnico lusitano partisse dalla costruzione di una fase difensiva solida, prima che da trame offensive efficaci. Perché schierava sì tre punte, ma solo a livello nominale. Il tutto a differenza di quanto fatto da Leo, laddove Eto’o, Pazzini e Pandev si sono davvero comportati da punte effettive. Insomma, mentre lo scorso anno tutti, partendo da Milito, erano impegnati nella costruzione di una fase difensiva solida (emblematica, in tal senso, la partita del Camp Nou) nell’ultimo derby meneghino la stessa era limitata a sei giocatori: i quattro difensori ed i due mediani. E con questo approccio tattico è davvero impensabile poter portare a casa vittorie importanti contro squadre di livello. Che poi la casualità lo possa consentire è altrettanto vero, ma in linea di massima si soffrirà davvero più del dovuto. E Leonardo non può non porvi rimedio.

Proprio questa questione è, a mio avviso, il tema tattico centrale del match andato in scena sabato sera. Perché proprio attorno a questa scelta si è deciso un match che ha visto l’Inter subire quasi costantemente gli avversari. Al di là di questa questione meramente tattica si possono comunque trovare anche altre colpe al tecnico nerazzurro. Innanzitutto la mollezza dei suoi giocatori: trovo sia piuttosto incredibile che una squadra come l’Inter possa scendere in campo per affrontare quella che è probabilmente la partita chiave di tutto il suo campionato con uno spirito così poco combattivo. E se in ciò hanno sicuramente parzialmente colpa i giocatori stessi non si può certo dire sia esente da colpe il tecnico, che dovrebbe lavorare nel corso della settimana precedente il match proprio anche su questi aspetti psicologici. Una partita del genere, insomma, dev’essere affrontata con ben altro mordente: ogni singolo uomo in campo ha l’obbligo di aggredire gli avversari su ogni pallone, di giocare con la massima attenzione e di lasciare il minor numero di spazi possibili, per poi cercare di sfruttare gli errori altrui al meglio. Esattamente il contrario rispetto a quanto accaduto a Zanetti e compagni, che sono scesi sul terreno di gioco molli come non mai e si sono fatti lungamente dominare dagli avversari, capaci di riportare una vittoria assolutamente meritatissima.

Tornando a parlare di scelte compiute da Leonardo, poi, va detto che il tecnico brasiliano ha perso la partita a centrocampo: ad una mediana schierata a tre con il supporto di Boateng sulla trequarti, infatti, Leo ha risposto, come detto, con due soli centrocampisti di ruolo a supporto del trequartista Sneijder. Finendo così sotto costantemente nel reparto nevralgico del campo. L’avanzamento di Zanetti sulla linea di Cambiasso e Motta, con magari la freschezza e la vivacità di Nagatomo a coprire la fascia sinistra e Sneijder alle spalle di Eto’o e Pazzini (con Pandev quindi relegato in panchina) avrebbe forse garantito all’Inter di andare meno in difficoltà e, se non altro, di schermare indubbiamente meglio la propria difesa, che avrebbe quindi probabilmente sofferto meno gli attacchi altrui.

In tutto ciò bisogna comunque dare anche i giusti meriti ad Allegri e ad i suoi ragazzi. Ma prima di entrare nello specifico delle scelte compiute dal tecnico rossonero due paroline vorrei spenderle proprio riguardo agli interpreti milanisti, che hanno giocato in linea generale davvero una buona gara. E allora oltre a fare i complimenti ad una linea difensiva molto solida ed attenta (dove il solo Zambrotta, rientrante dopo quattro mesi, è sembrato soffrire qualcosina, ma sicuramente la ruggine che si porta ancora addosso non l’ha aiutato in questo senso) e ad un attacco che ha messo ripetutamente in difficoltà la retroguardia avversaria (con Pato assolutamente decisivo ed un Robinho capace di far vedere i sorci verdi a Ranocchia e soci… se solo trovasse più freddezza sotto porta sarebbe davvero un giocatore difficilmente relegabile in panchina) non posso non soffermarmi proprio su quel centrocampo che ha saputo sfruttare al meglio le scelte avventate – di cui ho appena parlato – compiute da Leonardo per prendere possesso del reparto nevralgico del campo. In questo senso, quindi, non posso che complimentarmi con tutti e quattro i centrocampisti rossoneri: da Van Bommel, che ha interpretato alla grande il ruolo di vertice basso guidando molto bene il reparto e schermando al meglio la coppia Nesta-Silva, passando per Gattuso, che fino a che è rimasto in campo è stato utilissimo nel dare nerbo al centrocampo raddoppiando poi sovente su Eto’o, e Boateng, magistrale nel supportare gli attaccanti dando inoltre sostanza al proprio reparto grazie alle sue notevoli qualità fisiche, finendo con un Seedorf davvero magistrale che, al solito, si è esaltato nelle occasioni che contano. Sublime il match disputato dall’olandese, che ha insegnato calcio a tutto San Siro.

E proprio nella costruzione di questo predominio a centrocampo possiamo trovare i maggiori meriti di Allegri. Meriti che però non si esauriscono tutti lì. Di certo il tecnico di Livorno deve aver studiato a fondo la partita. Perché questo dominio a centrocampo non è frutto del caso, così come frutto del caso non può essere l’utilizzazione di Seedorf come mezz’ala, laddove da tempo ormai lo stesso veniva usato quasi solamente in appoggio alle punte. Riportarlo in una posizione più arretrata in un’occasione del genere, però, gli ha permesso di sfruttare tutta la sua classe senza, nel contempo, rinunciare alla straripante forza fisica di Boateng. Affiancare a Clarence due mastini come Van Bommel e Gattuso (sostituito in seguito da Flamini, col discorso che quindi non cambia), poi, significa proprio essere a conoscenza anche dei limiti del colored olandese, andando quindi a bilanciare la sua sempre più scarsa capacità di ripiegare con prontezza con due giocatori capaci di colmare, alla bisogna, le eventuali mancanze del più creativo compagno di reparto.

Sfida studiata nei minimi dettagli, insomma. Perché anche l’esclusione di Cassano a favore del duo Pato-Robinho non può essere certo stata frutto del caso. Così come proprio a seguito della mancanza di Ibrahimovic Allegri ha dovuto ridisegnare un po’ le manovre offensive dei suoi, con la squadra che in determinate circostanze ha cercato di più la profondità e che in linea di massima ha comunque cercato di sfruttare al meglio la rapidità dei due furetti là davanti.

In linea di massima, devo ammetterlo, a livello tattico più che di sfida vinta da Allegri mi verrebbe da parlare di sfida persa da Leonardo, capace di compiere errori marchiani. E’ altresì vero, però, che l’ex allenatore del Cagliari ha, come detto, grandi meriti, ed è assolutamente giusto riconoscerglieli. Sono ora curioso di sapere, in questo senso, cosa ne pensi Buffa del derby: dopo aver un po’ attaccato il tecnico livornese gli riconoscerà i tanti meriti per la splendida vittoria ottenuta in quest’importantissima stracittadina?

MILAN-BARI: SPUNTI DA STADIO

Milan-BariDomenica ho avuto l’onore ed il piacere di recarmi a San Siro, su invito della Gazzetta della Sport, in occasione dello scontro tra Milan e Bari, ovvero sia il più classico dei testa-coda. E proprio seguendo la partita dalle tribune anziché dalla televisione ho potuto fare caso a delle sfumature che vengono perse nel seguire i match da casa (va comunque altresì detto che ce ne sono altrettante che vengono invece perse nel guardare una partita allo stadio piuttosto che in tv). Ecco quindi qualche spunto interessante su cui mi è venuto da riflettere in merito a questo match.

Innanzitutto Van Bommel: giocatore ormai molto navigato, difatti, il centromediano metodista olandese mette tutta la sua esperienza al servizio della squadra. E se ciò è apprezzabile già seguendo il match comodamente spaparanzati in poltrona va detto che diventa ancor più palese dalle tribune. Splendido, in tal senso, vedere l’ex capitano del Bayern Monaco dare disposizioni ai compagni (quand’anche altrettanto esperti come Gattuso, giù fino agli esordienti come Merkel), sia in merito alle posizioni da tenere, che ai movimenti da eseguire che alla miglior gestione possibile del pallone. Intendiamoci: non sto certo dicendo di aver trovato il giocatore perfetto, ma ogni qual volta mi reco allo stadio ed ho l’opportunità di vedere dal vivo calciatori come lui resto sempre e comunque stregato dalla loro sagacia tattica. Così come un Messi nasce con la capacità di fare ciò che vuole palla al piede, del resto, ragazzi come Van Bommel nascono con un’intelligenza tattica superiore alla media. E quando la stessa si unisce ad un bagaglio esperitivo come il suo il gioco è fatto: ecco servito un ottimo direttore d’orchestra.

Dopo averne tessuto le lodi mi tocca però sottolinearne anche una gravissima mancanza. Per la più classica delle operazioni “un colpo al cerchio, uno alla botte”, quindi, ecco che non posso fare a meno di sottolineare il suo grave errore in occasione della rete barese. E qui va detta una cosa: lascia a bocca aperta vedere come Rudolf sia lasciato liberissimo di tagliare dall’out sinistro dell’area di rigore sino oltre al dischetto delle massime punizioni per poi colpire a rete incrociando il pallone in maniera imparabile per Abbiati. Il perché la punta ungherese possa compiere indisturbatamente tutto ciò è presto detto: il Milan marca a zona in situazione di calcio piazzato e nell’occasione specifica si viene a creare un buco laddove andrà ad infilarsi proprio l’ex Genoa che non venendo seguito da nessuno avrà gioco facile nel completare la sua manovra.
Difesa del Milan quantomeno rivedibile nell’occasione, quindi.

Ma perché le colpe maggiori le ha proprio uno dei giocatori tatticamente più intelligenti dell’undici di Allegri?
E’ presto detto: è proprio Van Bommel il giocatore ultimo cui Rudolf passa davanti nel suo tentativo di taglio. Ed è lui, quindi, che dovrebbe seguire l’avversario, impedendogli di entrare in possesso di palla sul tocco di Almiron o, quantomeno, di calciare agevolmente a rete. Il centrocampista Oranje, però, compie un peccato di sufficienza, nell’occasione e resta praticamente inchiodato al proprio posto, potendosi poi quindi solo limitare a seguire con lo sguardo il termine, nefasto, dell’azione. La sua reazione al goal mostra comunque chiaramente la sua grande intelligenza tattica: Mark capisce difatti subito di aver commesso un errore piuttosto grave, e si dispera. La frittata, però, è ormai fatta.

Interessante, tornando alla lettura tattica del gioco milanista, anche stare a guardare i movimenti dei tre d’attacco. Perché l’occhio della telecamera solitamente segue il pallone, facendo perdere tutto il resto. Ecco quindi che osservando il match dalle tribune si può notare subito come lo schieramento di base sia un classico 4-3-1-2 con Robinho alle spalle del duo Pato – Ibrahimovic ma anche che questo modulo non sia assolutamente rigido. I tre lì davanti, difatti, hanno tutti buona libertà di svariare, rendendo il gioco molto fluido da questo punto di vista. Ecco quindi che non deve stupire una situazione nella quale buttando l’occhio verso l’attacco rossonero, anche a palla piuttosto lontana, si possano trovare le due punte piuttosto larghe, con il presunto trequartista in posizione di prima punta. Scarsa rigidità nel mantenere una data posizione che comunque non sortisce grandissimi effetti: il Bari si difende infatti con dieci uomini (portiere compreso) praticamente sempre dietro la linea del pallone e la fluidità di movimento dei tre d’attacco non porta comunque il Milan a rendersi pericoloso con continuità, in special modo nel primo tempo.

Detto dell’attacco rossonero non posso quindi che chiudere parlando della fase difensiva barese (perché di quella offensiva mi verrebbe sinceramente difficile parlarne, non avendo, i pugliesi, prodotto praticamente nulla, nemmeno in contropiede), in particolar modo a quella del secondo tempo. Piuttosto incredibile, in tal senso, la disposizione tattica in fase di non possesso. Se sulla carta, ad esser buoni, potremmo dire che i Galletti si schieravano con un 4-5-1 di stampo prettamente difensivista ecco che la realtà dei fatti deve portarmi a parlare, più che altro, di un 6-3-1 quasi folle, che ha, a parer mio, consegnato il pareggio agli avversari. Fa un certo effetto, per altro, parlare di difesa a sei. Ma così è stato. Ogni qual volta i rossoneri superavano la metà campo, difatti, i quattro difensori in linea andavano a stringersi molto, portandosi tutti nello specchio dell’area e favorendo l’arretramento di due centrocampisti che allineandosi a loro andavano, appunto, a formare una difesa che folta è dir poco. A questo va poi aggiunto il fatto che nel contempo i tre giocatori rimasti a centrocampo si mettevano tutti a protezione della linea difensiva, andando a muoversi all’unisono verso destra o verso sinistra a seconda della zona in cui in quel momento stazionava la sfera.

Perché dico che quest’atteggiamento ha regalato il pareggio agli avversari?
Semplice. Non puoi regalare completamente un tempo di gioco. A maggior ragione quando ad un certo punto dello stesso ti ritrovi anche a giocare in superiorità numerica. Schierarsi con una difesa di questo tipo però vuol proprio dire quello: rinunciare a giocare e regalare completamente il pallino di gioco agli avversari, che a quel punto dovranno solo aspettare il momento buono per colpire. Momento che arriverà in tre diverse occasioni, perché poi, con tutto il rispetto, i difensori del Bari non sono nemmeno i fenomeni della situazione e prima o poi qualche buco te lo lasciano, quand’anche schierati a sei. Ecco quindi che dapprima Robinho è lasciato solo sul secondo palo e può colpire a rete su sponda aerea di Ibrahimovic, vedendosi però annullare il goal per fuorigioco millimetrico. Poi lo stesso svedese penetra centralmente su di un lancio stoppando, pare di braccio, per andare a bucare Gilet, anche questa volta inutilmente. Ed infine Antonini farsi lanciare da Emanuelson sull’out di sinistra riuscendo a penetrare la linea difensiva barese per crossare poi in mezzo all’area, dove Cassano sarà lasciato inspiegabilmente solo.

Difendersi ad oltranza è molto spesso controproducente. Farlo lasciando si creino queste falle è quasi deleterio.