IL DRAMMA DI ANDRIANOV

Nikolai Andrianov, il ginnasta ex sovietico, che tra il 1972 e il 1980 si aggiudicò quindici medaglie olimpiche, di cui sette d’oro, è in fin di vita. La notizia è stata divulgata questa sera dal sito online dell’International Gymnast Magazine, la rivista di ginnastica statunitense di proprietà di Nadia Comăneci.

Secondo quanto riferito alla rivista dallo stesso figlio di Andrianov, Sergei, l’ex campione sarebbe affetto da atrofia multi sistemica (AMS) in fase terminale, una malattia degenerativa del sistema nervoso dai sintomi molto simili a quelli del morbo di Parkinson; e da qualche tempo questa sindrome lo sta costringendo alla totale immobilità nella propria casa di Vladimir, a circa 200 km da Mosca.

Sempre il figlio Sergei, anche lui ex ginnasta, ha rivelato che il padre ha anche perduto l’uso della parola, e ha rivolto un appello per poterlo far visitare da alcuni specialisti statunitensi, in grado di sottoporlo a cure innovative per alleviargli almeno in parte le sofferenze.

Ragazzino ribelle e dal carattere difficile, era stato avvicinato alla ginnastica ad undici anni. E dal punto di vista pedagogico, questa scelta si era dimostrata azzeccata. Infatti, oltre che per l’impressionante collezione di medaglie conquistate (è tuttora il secondo atleta con più medaglie olimpiche nella storia, alle spalle del nuotatore statunitense Michael Phelps), Nikolai Andrianov si era trasformato in un ginnasta dal temperamento imperturbabile: proprio come richiedeva lo stereotipo dell’atleta sovietico dell’epoca.

Alle olimpiadi di Montreal del 1976 aveva vissuto la stagione di massimo successo, prima di vedere la propria stella parzialmente oscurata dal più giovane compagno di squadra Alexander Dityatin.

Sposato con l’olimpionica ex sovietica Lyubov Burda, aveva abbandonato la carriera agonistica dopo le olimpiadi di Mosca 1980, alle quali aveva recitato il solenne giuramento durante la cerimonia d’apertura, per dedicarsi all’attività di allenatore. E proprio in questa veste, nel 1994 si era trasferito in Giappone, invitato da un altro grande campione degli anni settanta, nonché rivale ed amico, Mitsuo Tsukahara.

Anche in questa attività Andrianov aveva ottenuto delle brillanti soddisfazioni, soprattutto quando ad Atene 2004 aveva trascinato il proprio pupillo, il figlio di Mitsuo Tsukahara, Naoya, alla conquista dell’oro nel concorso a squadre.

Dal 2002 era ritornato nella sua città natale di Vladimir, dove, prima dell’insorgere della malattia, dirigeva una scuola, ovviamente, di ginnastica artistica.

Giuseppe Ottomano

IERI & OGGI: JURY CHECHI DIVENTA IL SIGNORE DEGLI ANELLI

Alle Olimpiadi di Atlanta, Jury Chechi corona il suo inseguimento e conquista la medaglia d’Oro agli Anelli, primo italiano a conquistare un’Oro nella Ginnastica dopo Franco Menichelli (Tokyo 1964).

Jury ChechiHa un conto aperto con la dea bendata, Jury Chechi quando, la sera del 28 luglio 1996 , sale sulla pedana degli Anelli per eseguire il suo esercizio nella finale agli Anelli. Nato a Prato l’11 ottobre 1969, Jury (in memoria di Jury Gagarin) inizia a praticare la Ginnastica Artistica a 7 anni. Nel 1984 a soli 15 anni entra nel giro della nazionale juniores e lascia la famiglia per trasferirsi a Varese dove la sua vita adolescente diventa la faticosa routine dei ginnasti in erba: studio e sei ore di allenamento al giorno. Non ancora diciannovenne partecipa a Seul alle sue prime Olimpiadi dove conquista la finale agli Anelli con un sesto posto e la finale del Concorso generale dove chiude al diciassettesimo posto. L’anno successivo a Stoccarda conquista la medaglia di Bronzo ai Campionati Mondiali, sempre agli Anelli, e nel 1990, a Losanna, arriva il primo titolo europeo al quale si accompagna la medaglia di Bronzo nel Concorso Generale. Si deve accontentare del Bronzo ai Mondiali del 1991 che si disputano ad Indianapolis e nel 1992 inizia il percorso di avvicinamento a quelle che devono essere le “sue” Olimpiadi conseguendo il secondo titolo europeo consecutivo (saranno quattro). Il 7 luglio 1992, a tre settimane dalle gare di Barcellona, in una banalissima routine di allenamento Jury si procura una gravissima lesione: “rottura sottocutanea del tendine d’ achille del piede destro” dice il bollettino medico, per un ginnasta è simile ad un verdetto definitivo.

Iniziano nove mesi di sofferenza: due mesi e mezzo di gesso, due e mezzo di fisioterapia, quattro di lento recupero. Dolore, tanto dolore, e la consapevolezza di non essere più competitivi negli attrezzi che richiedono esplosività nelle caviglie. Jury soffre e lavora duro e il 17 aprile 1993 conquista il suo primo totale mondiale (ne vincerà cinque consecutivi) a Birmingham: era dal 1964 che la Ginnastica italiana non arrivava così in alto, dall’Oro di Franco Menichelli a Tokyo.

Le vittorie a Mondiali ed Europei diventano festosa routine e si arriva alle Olimpiadi del Centenario, al Georgia Dome di Atlanta: al ragazzo di Prato, diventato uomo, manca solo la consacrazione olimpica. Negli esercizi per la gara a squadre che determinano gli 8 finalisti agli attrezzi, sbaraglia la concorrenza. Si qualifica per la finale con il miglior punteggio, 9.675 e 9.837, precedendo il bulgaro Jovtchev e il tedesco Wecker.

Quando la sera del 28 luglio, Jury sale sulla pedana del Georgia Dome, sa che l’asticella è posta a 9.812 punti, il risultato del rumeno Burincă e dell’ungherese Csollány. Ma lasciamo il racconto a Vittorio Zucconi, inviato di Repubblica:

Nella prima verticale le gambe sembrano tremare un poco, i piedi giunti in alto paiono pencolare un filino verso il canapo di destra, quanto basta a separare un oro da un quinto posto, in una disciplina di torturatori e di suppliziati come la ginnastica. Ecco, adesso cede, adesso molla. E’ finito il sogno per il rosso di Prato, per questo giovane di 27 anni che i giornali assetati di frasi fatte hanno già ribattezzato il “signore degli anelli”, che persino la televisione americana, indifferente ormai a qualunque atleta che non sia di apparente sesso femminile e nata nei 50 Stati Uniti, ha ammirato con qualche stupore.

Nessun “italian boy” può reggere a questi sforzi, alla disciplina infernale di un ginnasta, alla sofferenza di perdere un’Olimpiade (Barcellona) per un tallone d’Achille saltato per tornare al fronte 4 anni dopo. Noi siamo l’armata sagapò, il popolo degli spaghettari cialtroni e intonati, i buffoni del calcio che si fanno eliminare dal Ghana, non le creature fatte di filo di ferro che vincono le medaglie ginniche. Ma i fotogrammi del videoregistratore non mentono. Jury esce dalla prima verticale, volteggia, lancia la seconda, perfetta, poi si allunga nella posizione detta “a rondine” , le braccia raccolte sul torso, le gambe puntate all’indietro parallele al suolo, che avrebbe fatto piangere di invidia Torquemada.

Vittorio Zucconi, Repubblica 3o luglio 1976

“Vola vola, Jury Chechi, vola, vola verso il podio” è l’urlo liberatorio del telecronista quando Jury chiude l’esercizio con una uscita perfetta: 9.887, Chechi è il Signore degli Anelli.

Massimo Brignolo