ANDRÉ VILLAS BOAS , LO SPECIAL TWO

La favola di André Villas Boas, per otto anni secondo di Josè Mourinho

André Villas BoasPiù che una storia sembra una favola, la sua. Perché André Villas Boas sta dominando il campionato portoghese alla tenerissima età – per un allenatore – di trentatre anni. E senza aver praticamente mai tirato calci ad un pallone. I suoi inizi sono stati realmente molto particolari:  si dice infatti che abitasse nello stesso palazzo dell’allora allenatore del Porto Robson, cui faceva continuamente trovare nella cassetta delle lettere alcune sue considerazioni sulla squadra ed il suo inquadramento tecnico-tattico. Il tutto, è bene sottolinearlo, quando aveva solo diciassette anni. La cosa, manco a dirlo, impressionò molto il tecnico inglese che propose alla società lusitana di assumerlo come scout prima ed allenatore poi.

Tra il 2000 ed il 2001, quindi, fece la sua prima esperienza come mister quando accettò l’incarico, ricoperto per 18 mesi, di Commissario Tecnico delle Isole Vergini Britanniche, che non riuscì però a qualificare al Mondiale nippo-coreano (ma l’impresa, posso garantirvelo, sarebbe stata impossibile per chiunque). Lasciato l’incarico di C.T. ecco il suo ritorno al Porto, dove guiderà per un certo periodo la formazione under 19 dei Dragões.

Dopo l’ingaggio di Mourinho, quindi, ecco la sua promozione a vice proprio del futuro Special One. Il tutto sino allo scorso anno, quando accetterà l’offerta dell’Academica che prenderà all’ultimo posto in campionato per condurla ad una molto più tranquilla undicesima posizione.
Lo scorso tre giugno, poi, l’ennesimo ritorno al Porto, ma questa volta da allenatore in capo: dopo aver vinto tutto al fianco di Mou, insomma, il delfino di uno dei migliori allenatori del mondo è finalmente pronto a spiccare il volo.  E sembra averlo spiccato con buona lena, il volo. Perché al suo primo anno disputato sedendo sin dall’inizio su di una panchina il tecnico di Oporto sta compiendo delle grandissime imprese. Dopo aver vinto la Supercoppa nazionale contro il Benfica si è da poco aggiudicato il campionato con ben cinque giornate di anticipo, imponendosi proprio contro la squadra guidata, a livello societario, da Rui Costa. Porto che è inoltre ai quarti di Europa League. Anzi, potremmo dire in semifinale dato che il 5 a 1 dell’andata contro lo Spartak sa molto di qualificazione.

Villas Boas ha costruito una macchina da guerra praticamente perfetta. Basti pensare che in campionato ha totalizzato ventiquattro vittorie e due pareggi senza mai venire sconfitto, con ben sessantuno reti realizzate (otto più del Benfica secondo) e sole undici subite (quattordici meno del Benfica, secondo anche come miglior difesa). Il tutto in special modo grazie ad un percorso netto fatto registrare davanti al proprio pubblico che ha quasi dell’incredibile: tredici vittorie in tredici match, con trentasette reti realizzate a fronte di sei sole subite.

Le cose non vanno certo peggio in Europa: il Porto parte infatti dal turno di playoff dell’EL, dove si sbarazza facilmente dei belgi del Genk con un 3 a 0 alla Cristal Arena cui farà seguito il 4 a 2 dell’Estádio do Dragão. Inseriti nel Gruppo L con Besiktas, Rapid Vienna e CSKA Sofia, quindi, i lusitani raccoglieranno cinque vittorie ed un pareggio. Nella fase ad eliminazione diretta, poi, arriverà la sconfitta contro il Siviglia, che sarà comunque eliminato grazie alle due reti segnate fuori casa all’andata. Dopo aver posto fine anche al torneo del CSKA Mosca i lusitani sono destinati a chiudere ora i giochi anche per lo Spartak.

Questa sequela di numeri e risultati dimostra la bontà del lavoro svolto da Villas Boas in quel di Oporto. Villas Boas che predilige un 4-3-3  che non lascia niente al caso. Al solito, infatti, bisogna ricordare che parlare di moduli in sé e per sé è riduttivo. Si tratta di freddi numeri che vogliono dire davvero poco. Perché Leonardo schiera tre centrocampisti e tre punte, di fatto, ma dimostra di non curare al meglio la fase difensiva, che è spesso gestita da sei soli giocatori. Villas Boas, invece, fa proprio l’opposto: partendo dall’assunto che la miglior difesa è l’attacco (e che più la palla la si tiene là davanti meno rischi si corrono) dà anche mandato ai suoi di tornare quantomeno a coprire gli spazi, quando non a fare legna nella propria metà campo.

Ed allora ecco che oltre ad una classica linea di difesa a quattro schiera un mediano a protezione della stessa, e con compiti ben precisi: fare filtro a centrocampo scoprendo la linea arretrata il meno possibile per non far perdere il giusto equilibrio alla squadra. Al suo fianco, poi, due mezz’ali tecnicamente dotate che siano ben in grado, come nella miglior tradizione lusitana, di effettuare buon palleggio a centrocampo ma, nel contempo, di aiutare la squadra in fase di non possesso (ruolo questo ricoperto magistralmente, ad esempio, dal colombiano Guarin, piuttosto abile in entrambe le fasi di gioco).

Davanti, poi, un tridente amalgamato se non alla perfezione comunque in maniera magistrale: una prima punta rapace e dotata di senso del goal unico come Falcao affiancato da punte esterni agili, veloci e soprattutto dedite al sacrificio. In questo senso è bene sottolineare la presenza di quella che assieme – se non più – allo stesso Falcao è un po’ la stella della squadra, il brasiliano Hulk: fisico notevole, potenza rara, tecnica più che discreta e buona abilità nel dribbling. Non è e non sarà mai un Fenomeno in quanto tale, ma resta giocatore molto solido e che varrebbe bene un investimento importante.

Il titolo di questo articolo parla chiaro ed è un riferimento che sicuramente tutti avrete colto. Ma attenzione, come chi sa chi segue più o meno assiduamente quanto scrivo il mio non è affatto un paragone campato per aria. Come avrete potuto capire anche grazie a questo pezzo, difatti, i punti in comune tra Mourinho e Villas Boas sono molti. Innanzitutto la nazionalità ed il fatto che entrambi siano sbocciati nel Porto. Ma anche che ambedue diano un’attenzione particolarissima alla fase difensiva, così come che esattamente come era per Mourinho il modulo preferito da André è il 4-3-3 (che certo ricorderete essere lo stesso modulo che Mou provò ad imporre anche al suo arrivo a Milano, quando proprio per quel motivo si fece comprare i flop Mancini e Quaresma).

Insomma, diverse assonanze tra i due. E chissà che lo Special Two non superi il maestro, un giorno.

5 pensieri riguardo “ANDRÉ VILLAS BOAS , LO SPECIAL TWO”

  1. Non c’è dubbio che sia uno dei tecnici più interessanti della nuova generazione, però continuo a pensare che nel calcio si dia troppa importanza alla figura dell’allenatore. In una vittoria, i meriti dell’allenatore secondo me non superano il 30% (che è già tanto). Ad esempio, nel Barcellona i goal li segna Messi o Guardiola? Nell’Italia campione del mondo le parate le faceva Buffon o Lippi? Il Grande Torino e il Grande Real Madrid ogni anno cambiavano allenatore eppure vincevano ugualmente…

  2. Partendo dal presupposto che giustamente ognuno ha le proprie idee io personalmente non mi sento di concordare con te.

    Parto da un presupposto: non saprei dare un percentuale, anche perché in realtà credo che ogni situazione faccia storia a sè… e quindi in determinate situazioni la presenza di un determinato allenatore fa tanto, in altre sono invece i giocatori a spiccare nettamente da questo punto di vista.
    Volendo fare un esempio potrei riallacciarmi proprio al discorso Guardiola laddove il Barcellona – come è noto a tutti (ed al riguardo scrissi anche un articolo proprio su questo sito in cui analizzai tatticamente la loro Juvenil B) – ha una sorta di canovaccio tattico che vale per TUTTE le loro rappresentative. E allora via al 4-3-3 costruito tendenzialmente sempre da giocatori con determinate caratteristiche (difensori che non spazzano mai, regista dai piedi buoni capace di dettare i tempi e far girare la squadra, ali rapide e dal buon dribbling, prima punta tendenzialmente sempre più rapida che possente, ecc).
    In una situazione simile l’allenatore specifico conta relativamente. Perché se Guardiola domani si alzasse male e decidesse di cambiare modulo verrebbe licenziato. Quindi lui ha uno schema piuttosto rigido cui attenersi, e su quello può solo fare qualche lieve correttivo o scegliere un interprete piuttosto che un altro proprio per dare la sua impronta all’impianto di gioco.

    Detto questo però c’è anche l’altro lato della medaglia.
    A fare la differenza sono sempre i giocatori, evidentemente… ma è altresì vero che o metti in campo 11 Campioni oppure pure i giocatori, per quanto dotati, possono aver problemi, se non sfruttati nel modo giusto.
    Penso di averne già parlato anche qui ma comunque ribadiamolo: se prendi l’Inter di Mourinho e l’Inter di Leonardo noterai notevolissime differenze. Eppure guarda, ad esempio, quelle partite in cui schiera il trio Eto’o-Sneijder-Pandev dietro ad un’unica punta… esattamente come spesso fece Mou.
    La differenza tra le due squadre è netta e non si può ridurre solo in problemi di forma o di fame.
    Perché l’allenatore portoghese era stato capace di creare un gruppo assolutamente compatto e soprattutto una vera e propria macchina in cui ognuno rappresentava un ingranaggio che doveva svolgere determinate funzioni. L’Inter di Mourinho faceva fase difensiva, quando era necessario, con NOVE uomini. Se non dieci (tipo contro il Barça, appunto).
    Quella di Leo ha giocato il derby (praticamente decisivo per lo Scudetto, perché come dissi ad amici qui perdendo quella partita hanno salutato lo Scudo, anche se poi di fatto l’addio definitivo l’hanno dato oggi e la matematica ancora non li condanna) facendo fase difensiva con 6 uomini. E tra questi c’era Chivu centrale e il non certo dinamicissimo Motta unico supporto a Cambiasso davanti alla difesa (che, ripeto, proponeva Chivu centrale).

    Dal tuo punto di vista Mourinho conta poco rispetto al Triplete nerazzurro?
    Secondo me no. Non saprei darti una percentuale, ma di certo è molto elevata. Ed in realtà tutto sommato se gli dai un 30% è già ottimo, perché gli altri undici giocatori (che poi in realtà sono stati di più quelli coinvolti “pesantemente” nella conquista dei tre trofei) si devono spartire il 70%, andando quindi a guadagnarsi una fetta inferiore a quella del tecnico!
    Al tempo stesso: dal tuo punto di vista Leonardo conta poco rispetto al brutto finale di stagione che sta costruendo l’Inter?
    Secondo me no. Sicuramente c’è un problema evidente di stato di forma… che probabilmente non dipende dal tecnico brasiliano. Al di là di quello ci sono però scelte che dal mio punto di vista sono palesemente errate ma che Leonardo ha compiuto. Errori suoi imputabili a lui solo, rispetto cui i giocatori possono fare poco.
    Anche qui non saprei dare una percentuale della colpa da attribuire a lui e della colpa da attribuire ai giocatori… ma di certo non sarebbe trascurabile.

    Insomma, personalmente non me la sento proprio di trascurare la figura dell’allenatore, che credo in determinate situazioni possa rivelarsi determinante (sia nel bene che nel male).
    E ti dico ciò senza essere minimamente allenatore, eh. Non vorrei che poi potesse passare l’idea che difendo la mia categoria! 🙂

  3. Sono d’accordo: Mourinho l’anno scorso ha fatto un lavoro incredibile, ma se fosse stato sulla panchina dell’Inter quest’anno, con la crisi di Milito, gli infortuni di Sneijder e Samuel e con una società immobile sul mercato fino a gennaio, siamo sicuri che avrebbe centrato un altro Triplete? Io penso di no. Lo stesso Sacchi, se al posto di van Basten, Baresi e Gullit avesse avuto Cornacchini, Carobbi e Lantignotti, avrebbe vinto tutto quello che ha vinto? Alla fin fine, tutto (o quasi) ruota intorno agli 11 che vanno in campo.

  4. Molto difficilmente Mourinho – allenatore dal mio punto di vista indubbiamente più preparato di Leonardo – avrebbe potuto ripetere il Triplete quest’anno. Almeno con questa squadra.
    E’ anche vero però che sono valutazioni difficili da fare. Chi ci dice che Sneijder, Maicon e compagnia non avrebbero reso di più se allenati dal tecnico lusitano?
    E mi riferisco sia alla tipologia di allenamento che alle motivazioni che si sarebbero trovati ad avere.

    Insomma, penso che le vittorie siano sempre un mix della componente calciatori con la componente allenatori.
    Hai ragionissima quando dici che senza i primi nemmeno il miglior allenatore del mondo saprebbe vincere… è altresì vero, però, che anche un gruppo di buoni giocatori potrebbe fare la stessa fine se non guidato da mani sapienti!

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