 No, gli Stati Uniti proprio non volevano saperne di ammettere di essere stati sconfitti dai “pivellini” europei. 8 settembre 1978:  a Tel Aviv il Maccabi disputa un’amichevole contro i Washington  Bullets, vincitori del loro primo – e, finora, unico – titolo NBA. Dick  Motta, artefice del miracolo, porta in Israele appena nove giocatori,  comprese le stelle Elvin Hayes e Wes Unseld. Ma i campioni americani  sono fuori forma e con la testa ancora in vacanza: il raduno inizierà  solamente tra un mese. I mediorientali intuiscono che può essere il  momento propizio per scrivere una pagina di storia. E così è: Miki  Berkovich, indiscusso trascinatore del Maccabi e della nazionale, segna  da solo 26 punti. E contribuisce ad una clamorosa vittoria per 98-97.  L’Europa batte l’America. O, data la nazionalità del Maccabi, David  affossa Golia. Ma l’America non riconosce l’impresa compiuta dagli  israeliani, che negli anni immediatamente successivi ottengono altri tre  successi contro una selezione NBA, i New Jersey Nets ed i Phoenix Suns.  Le amichevoli, però, si sono giocate nel mese di agosto: per il massimo  organo cestistico d’oltreoceano le vittorie sono dunque da invalidare.  Un boicottaggio che prosegue sino al 1987, anno di istituzione del  McDonald’s Open, triangolare prima e quadrangolare poi che manda in  pensione la Coppa Intercontinentale. Qui le squadre NBA, forse per la  compartecipazione della Federbasket mondiale alla creazione dell’evento,  non accettano semplicemente di confrontarsi ancora con avversari del  Vecchio Continente: da questo momento, infatti, i confronti tra Europa e  America acquisiscono il valore dell’ufficialità. Nello stesso anno la  nazionale dell’URSS sconfigge, in amichevole, gli Atlanta Hawks con un  pazzesco 132-123. Che facciamo, la riconosciamo? “No, non ancora. Il  confronto è impari, è una nazionale opposta ad una franchigia NBA”  bofonchiano dall’altra estremità dell’Atlantico. Le prime europee a  sfiorare, questa volta sì, l’impresa sono le italiane: la Tracer Milano  dà il via ai confronti ufficiali sull’asse America-Europa e la Scavolini  Pesaro si arrende soltanto ai supplementari ai Knicks nel corso della  quarta edizione del Mc Donald’s Open. Passano quattordici anni e la  Benetton Treviso rischia un colpo ancor più grosso, perdendo 86-83  all’Air Canada Centre di Toronto contro i Raptors. La lacuna sembra  ormai colmata.
No, gli Stati Uniti proprio non volevano saperne di ammettere di essere stati sconfitti dai “pivellini” europei. 8 settembre 1978:  a Tel Aviv il Maccabi disputa un’amichevole contro i Washington  Bullets, vincitori del loro primo – e, finora, unico – titolo NBA. Dick  Motta, artefice del miracolo, porta in Israele appena nove giocatori,  comprese le stelle Elvin Hayes e Wes Unseld. Ma i campioni americani  sono fuori forma e con la testa ancora in vacanza: il raduno inizierà  solamente tra un mese. I mediorientali intuiscono che può essere il  momento propizio per scrivere una pagina di storia. E così è: Miki  Berkovich, indiscusso trascinatore del Maccabi e della nazionale, segna  da solo 26 punti. E contribuisce ad una clamorosa vittoria per 98-97.  L’Europa batte l’America. O, data la nazionalità del Maccabi, David  affossa Golia. Ma l’America non riconosce l’impresa compiuta dagli  israeliani, che negli anni immediatamente successivi ottengono altri tre  successi contro una selezione NBA, i New Jersey Nets ed i Phoenix Suns.  Le amichevoli, però, si sono giocate nel mese di agosto: per il massimo  organo cestistico d’oltreoceano le vittorie sono dunque da invalidare.  Un boicottaggio che prosegue sino al 1987, anno di istituzione del  McDonald’s Open, triangolare prima e quadrangolare poi che manda in  pensione la Coppa Intercontinentale. Qui le squadre NBA, forse per la  compartecipazione della Federbasket mondiale alla creazione dell’evento,  non accettano semplicemente di confrontarsi ancora con avversari del  Vecchio Continente: da questo momento, infatti, i confronti tra Europa e  America acquisiscono il valore dell’ufficialità. Nello stesso anno la  nazionale dell’URSS sconfigge, in amichevole, gli Atlanta Hawks con un  pazzesco 132-123. Che facciamo, la riconosciamo? “No, non ancora. Il  confronto è impari, è una nazionale opposta ad una franchigia NBA”  bofonchiano dall’altra estremità dell’Atlantico. Le prime europee a  sfiorare, questa volta sì, l’impresa sono le italiane: la Tracer Milano  dà il via ai confronti ufficiali sull’asse America-Europa e la Scavolini  Pesaro si arrende soltanto ai supplementari ai Knicks nel corso della  quarta edizione del Mc Donald’s Open. Passano quattordici anni e la  Benetton Treviso rischia un colpo ancor più grosso, perdendo 86-83  all’Air Canada Centre di Toronto contro i Raptors. La lacuna sembra  ormai colmata.
17 ottobre 2005. Stesso scenario, stesso avversario. L’Europa lancia ancora il guanto di  sfida ai Raptors e nella circostanza si affida alla vincitrice  dell’Eurolega, il Maccabi Tel Aviv, seguito sugli spalti dell’arena  canadese dalla numerosa comunità ebrea. Per quanto sia un’amichevole, il  coach americano Sam Mitchell non vuol passare per il buon samaritano e  fin da subito schiera Chris Bosh, Morris Peterson e Jalen Rose, i  giocatori più talentuosi della sua squadra. Pini Gershon replica con un  dispiegamento di forze tutt’altro che inferiore: Nikola Vujčić, Anthony  Parker e l’ex di turno Maceo Baston sono della partita già dal primo  minuto.
La trama dell’amichevole è paragonabile a quei libri gialli  in cui nelle pagine iniziali si deduce già il nome dell’assassino,  perché i Raptors mantengono sempre la situazione a proprio vantaggio e  chiudono il primo quarto avanti per 24-20. Il Maccabi non abbassa la  guardia e, anzi, durante il successivo parziale pareggia temporaneamente  con una schiacchiata di Anthony Parker. I canadesi riordinano presto le  loro idee: nella seconda metà del quarto segnano diciassette punti,  concedendone appena sette, e arrivano così all’intervallo lungo con  dieci lunghezze di vantaggio (56-46).
In America, esattamente in occasione del titolo NBA di Washington di ventisette anni prima, fu coniata una massima divenuta assai presto di uso comune: “L’opera non è finita fino a quando canta la donna grassa”. Mai darsi per spacciati nello sport, almeno fino a quando il direttore di gara non fischia la fine della contesa. Il Maccabi, sospinto dal calore degli ebrei canadesi, prova a giocarsi le sue carte vincenti anche quando si trova a dover saldare un debito da quattordici punti. Due tiri liberi di Baston avvicinano nuovamente gli israeliani che hanno il merito di decurtare di sei punti lo scarto: l’impresa non appare più così impossibile da portare a compimento. E, quando il tabellone dell’Air Canada Centre ricorda che ci sono meno di tre minuti da giocare, il Maccabi passa per la prima volta in vantaggio (95-93), spinto da una tripla di Will Solomon. Una prodezza preceduta dalla monumentale difesa di Yaniv Green, vigile custode del canestro israeliano che stoppa un tiro in sospensione di Mike James e, soprattutto, rende nullo il tentativo di lay-up di Rose. Le certezze dei canadesi si sono sgretolate, oramai si lotta punto su punto.
Diciannove secondi alla conclusione. James ha appena messo dentro il canestro del 103-103. Il Maccabi gestisce l’ultima azione dell’incontro. Gli israeliani puntano tutto su Anthony Parker, miglior giocatore dell’Eurolega vinta dai gialloblù di Tel Aviv. Lui è nato a Naperville, Illinois, ha giocato a Philadelphia e Orlando, il basket americano non è certo un mistero per lui. E la guardia del Maccabi si mette in testa di diventare un eroe. Otto decimi alla conclusione: Parker, tutto isolato in un angolo, mira il tabellone e spicca il volo, Peterson prova ad oscurargli la visuale ma invano. Il pallone si accoccola tra le maglie della retina. Canestro. 105-103. Il Maccabi riscrive la storia del basket: mai una formazione europea aveva sconfitto una franchigia NBA sul suolo americano. Gli Stati Uniti erano usciti malconci dai Mondiali di Indianapolis e dai Giochi olimpici di Atene, ma con le squadre di club avevano sempre salvato l’onore. Adesso no, non più. Inutili i puerili tentativi della NBA di occultare, sul proprio sito web, anche questa sconfitta, stavolta sì ufficiale: l’ultimo baluardo è stato abbattuto.
Simone Pierotti